“Essendo uomo non dire mai ciò che accadrà domani, ne vedendo un uomo felice per quanto tempo lo sarà. Il cambiamento è più rapido dello scarto di una mosca”. Una reminiscenza liceale di un frammento del lirico greco – ritengo sia pure con il possibile errore di memoria dovuta al tempo – Simonide di Ceo. Comunque conta il concetto, universale, più di chi lo ha espresso.
Questa citazione classica perché anche noi abbiamo sperimentato quanto veloce sia il rimescolamento delle carte in scenari apparentemente stabilizzati, come quello della “guerra tra civiltà”, ripuntualizzata nell’articolo pubblicato mercoledì 25 novembre come “Guerra non convenzionale fortemente asimmetrica”. L’abbattimento del caccia bombardiere russo da parte della Turchia, pur non creando una situazione completamente nuova, mette sotto diversa luce il contesto, in quanto, pur trattandosi di un incidente che dovrebbe rimanere circoscritto ed isolato, si caratterizza nell’ambito delle tensioni militari convenzionali, con l’aggravante del fatto che la Turchia è membro della Nato, quindi una misura di ritorsione militare nei suoi confronti da parte della Federazione Russa avrebbe potuto innescare implicazioni catastrofiche.
Cerchiamo di vedere comunque la cosa con freddo distacco, con l’approccio con la quale, al di là del commento a caldo della “pugnalata alla schiena”, probabilmente la sta valutando Vladimir Putin, determinato e deciso, ma anche con nervi d’acciaio, se non altro per la sua formazione di provenienza.
Prima domanda da porsi è quella sul reale peso della Turchia in un quadro strategico più ampio, oltre che nelle complesse relazioni all’interno del mondo islamico e nel ruolo alquanto ambiguo che sta giocando nell’area, sia in relazione ad Isis che ai ribelli siriani. L’attuale classe dirigente turca sogna una riedizione dell’impero ottomano, con relativa espansione territoriale. Un disegno che si poteva cogliere sin dal novembre del 2014 e da chi scrive tratteggiato in quei giorni in una conferenza (vedere video dal minuto 33 in poi https://www.youtube.com/watch?v=l-j7svTRCMc) svoltosi a Roma presso la Residenza di Ripetta. Fondamentali a tal fine i corridoi lasciati aperti dalla Turchia al passaggio di guerriglieri e di armi e, soprattutto, l’avere reso possibile il contrabbando di greggio che ha garantito e garantisce il sostentamento economico di Isis, mai realmente preso di mira dai bombardamenti occidentali, anche se è del 3 dicembre la notizia che la Gran Bretagna si impegnerà militarmente con bombardamenti finalizzati a colpire questa filiera.
Questo traffico ha, però, anche causato il crollo del prezzo dl barile, mettendo economicamente in crisi l’Iran ed i Paesi del Golfo, aspetto non sgradito agli Stati Uniti d’America e ad Israele, ad entrambi in quanto in grado di fortemente condizione sotto il profilo economico gli sforzi iraniani per un nucleare militare, agli Usa, in particolare, in quanto diffidenti verso alcuni alleati del Golfo inclusi nella famosa lista dei neocons come “stati senza scrupoli” da destabilizzare alla fine del gioco.
Questo cambio di scenario, forse più apparente che reale, può essere sintetizzato nel concetto caratterizzante la filosofia di Protagora di Abdera: “L’uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono”, dove in questo caso l’uomo è personificato da un Vladimir Putin dai nervi di acciaio, determinato e razionale. Non una ritorsione militare classica, critica proprio per l’appartenenza della Turchia alla Nato, ma una serie di misure asimmetriche a cominciare dalla rappresaglia economica, in grado di colpire la tenuta del fronte interno già in crisi per vari fattori destabilizzanti, quali l’azione dei curdi e degli armeni.
Sul campo del conflitto armato l’intensificarsi dei bombardamenti su obiettivi penalizzanti anche per i turchi, in primo luogo la filiera del contrabbando del greggio, poi il sostegno alle milizie curde ed alle milizie sciite, queste ultime sostenute dall’Iran, impegnate sul campo contro Isis, in grado di non solo compromettere i piani di Erdogan, ma di mettere in pericolo la tenuta e l’integrità territoriale della Turchia. Il tutto senza mettere in conto possibili azioni delle truppe speciali russe, gli spetsnaz, tra le migliori al mondo per quanto riguarda la conflittualità non convenzionale, comprese azioni di eliminazioni mirate per le quali disporrebbero di armi letali di non pubblico dominio, persino capaci di simulare decessi per cause naturali.
Se l’atteggiamento della Turchia è ambiguo, quello dei suoi formali alleati potrebbe essere anche mellifluo, con espressioni di apparente sostegno espresso con un “Dear Recep Tayyip …”, omologo a quello di una affettuosa lettera inviata ad un noto personaggio italiano, poi caduto in disgrazia, dopo essersi reso inviso Oltreoceano. Già, ma quale l’atteggiamento della controparte statunitense?
Oltre la sopra menzionata decisione britannica di intervenire con bombardamenti diretti a colpire la filiera del contrabbando del greggio di Isis, che sembra un affare anche per la famiglia Erdogan, c’è da fare riferimento ad una intervista (http://www.ilgiornale.it/news/mondo/luttwak-jet-abbattuto- scoppier-guerra-turchia-ed-iran-1198349.html) ad Edward Luttwak apparsa su “il Giornale” del 25 novembre, nella quale il politologo statunitense ipotizza che la situazione potrebbe sfociare in un conflitto tra Iran e Turchia, concludendo letteralmente «Se Erdogan dovesse appellarsi alla Nato e chiamarla in causa otterrebbe come risposta un netto rifiuto. Gli altri stato dell’Alleanza Atlantico risponderebbero picche e, anzi, manderebbero la Turchia a quel paese».
È appunto quanto la Gran Bretagna sembra avere cominciato a fare colpendo l’affare del contrabbando del greggio tra Isis e Turchia. Il resto potrebbe venire considerato un affare interno turco a causa di componenti indipendentiste e separatiste, quali appunto i curdi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08