Il successo di Erdogan

Alle elezioni politiche anticipate che si sono svolte domenica scorsa in Turchia, il Partito di Giustizia e Sviluppo (Akp) di Recep Tayyip Erdogan ha ottenuto un successo che anche i più ottimisti sostenitori del presidente turco non si aspettavano: il 49,4 per cento dei voti, nove punti percentuali in più rispetto alle elezioni precedenti, e la maggioranza assoluta di 316 dei 550 seggi parlamentari. I partiti dell’opposizione, il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), di destra, e il Partito Democratico della Gente (Hdp), pro-curdo, hanno registrato invece una netta diminuzione di consensi rispetto al passato, stabile è rimasto il Partito Repubblicano del Popolo.

Il presidente Erdogan ha vinto dunque la sua scommessa. Cinque mesi dopo aver perso la maggioranza assoluta, Erdogan e il primo ministro Ahmet Davutoglu hanno disatteso le stime dei commentatori politici in Turchia e all’estero e ribaltato i sondaggi elettorali - che davano il partito in ribasso rispetto alle elezioni di giugno - e condotto l’Akp al trionfo. Perfino il primo ministro Ahmet Davutoglu, alla vigilia del voto, aveva confidato ai suoi collaboratori più stretti che si attendeva nella migliore delle ipotesi un 44 per cento dei voti.

Nei cinque mesi che hanno separato le due elezioni il clima in Turchia è decisamente cambiato e la situazione della sicurezza interna si è notevolmente deteriorata. Il 20 luglio scorso trenta persone erano morte in un’esplosione a Suruc, una città nel Sud-Est della Turchia al confine con la Siria, durante una riunione di un’associazione di volontari per la ricostruzione della città siriana di Kobane. Nei giorni successivi l’aviazione turca aveva risposto bombardando pesantemente posizioni dell’Isis lungo la frontiera e anche basi curde erano state prese di mira. Poi si erano susseguiti scontri e cannoneggiamenti dell’esercito turco contro i miliziani curdi vicini al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Il 10 ottobre, a pochi giorni dal voto, nella piazza della stazione centrale della capitale Ankara, due terroristi suicidi si erano fatti esplodere uccidendo oltre cento giovani che partecipavano insieme ad altre migliaia di persone ad una manifestazione per la pace, organizzata per chiedere la fine del conflitto con i separatisti curdi.

Qual è dunque il segreto della vittoria di Erdogan? L’Akp e il suo indiscusso leader hanno innanzi tutto giocato alla grande la carta dell’orgoglio nazionalista, punto debole di ogni turco, laico, religioso, conservatore o progressista che sia. In ogni discorso elettorale, Erdogan e Davutoglu hanno richiamato a viva voce il pericolo della minaccia terroristica e negli occhi dei milioni di elettori turchi erano ancora vivide le immagini drammatiche dei corpi straziati dei giovani assassinati ad Ankara. 1: gli elettori turchi hanno quindi scelto la stabilità, votando Erdogan e il suo partito, gli unici che possono garantirla nell’attuale contesto di tensioni interne e crisi regionali. Anche se la maggior parte dei turchi è sicuramente consapevole degli abusi del loro presidente, della sua svolta autoritaria, dei modi spicci con i quali l’apparato di regime tratta le opposizioni e di una certa disinvoltura nei rapporti con alcuni esponenti del Califfato – e nella stampa locale, malgrado la censura del governo, ogni giorno escono fuori nuove storie - la gente è convinta che solo l'Akp, e solo Erdogan, siano capaci di controllare la situazione e risolvere la crisi. 

Anche il migliorato andamento dell’economia turca può spiegare la vittoria dell'Akp: i primi dati del 2015 riportano valori di crescita superiori alle stime previste e il Governo è stato in grado di adottare misure di sostegno economiche in favore di fasce sempre maggiori della popolazione. Erdogan è riuscito a far tornare al voto a suo favore anche quegli elettori che avevano abbandonato l'Akp nel mese di giugno, soprattutto coloro che hanno avuto paura di un futuro incerto e pericoloso. L’Hdp, il partito moderato curdo, che alle elezioni di giugno era stato la vera sorpresa con un sorprendente 16,5 per cento, è uscito dalle urne di domenica ridimensionato, con il 10,75 per cento dei voti e ventuno deputati in meno. Accusato dagli esponenti dell'Akp di essere contiguo al Pkk del famoso Abdullah Ocalan, che il regime di Ankara ritiene responsabile di attentati terroristici, l’Hdp ha fortemente risentito della recrudescenza del conflitto con i curdi. Il partito moderato curdo, del giovane leader Selahattin Demirtas che domenica sera ha offerto le sue dimissioni, è riuscito peraltro a salvare la sua presenza in Parlamento con cinquantanove deputati e diventare il terzo gruppo, dopo il Partito Repubblicano del Popolo (Chp), che conta 134 deputati e prima dei conservatori di destra del Mhp. Grazie alla sua maggioranza assoluta in Parlamento, l’Akp non avrà bisogno di formare un Governo di coalizione, ma nonostante la netta vittoria molte sfide attendono ora il presidente. Erdogan non potrà coronare i suoi sogni di diventare super presidente; non essendo riuscito infatti a ottenere la maggioranza dei due terzi in Parlamento, non potrà proporre di cambiare la Costituzione per adottare la forma di Governo presidenzialista alla francese come avrebbe voluto, a meno che forte del consenso elettorale non voglia invece perseguire ora la strada del referendum popolare.

Potrebbero anche sorgere problemi di delimitazione dei poteri tra il Presidente e il Primo Ministro Davutoglu, che Erdogan chiamò dall’università di Istanbul al ministero degli Esteri nel suo Governo e che ha guadagnato stoffa da leader sul campo e grandi consensi popolari; parte del successo elettorale dell’Akp viene unanimemente riconosciuto al professor Davutoglu. Erdogan però dalla sua elezione presidenziale nel 2014 si è di fatto comportato come il vero padrone del potere, considerando il suo primo ministro come semplice esecutore delle sue volontà. 2: il leader turco dovrà anche cercare di porre fine all’estrema polarizzazione della società; è vero che ha sempre trattato con durezza e distacco gli oppositori ma la Turchia ha, oggi più che, mai bisogno di coesione nazionale se intende sconfiggere il terrorismo.

La schiacciante vittoria di Erdogan lo mette anche in grado di dettare le condizioni all’Unione Europea, divisa tra la preoccupazione per gli eccessi autoritari del presidente turco e la necessità di considerarlo un alleato per affrontare l’immensa crisi migratoria che si è abbattuta sul Vecchio Continente. È verosimile che gli europei dovranno ora scendere a patti con un partner che chiederà un prezzo elevato per la sua collaborazione. Ankara ha già cominciato ad alzare la posta, pretendendo da Bruxelles massicci aiuti finanziari per arginare i migranti ed esigendo procedure di concessione di visti di ingresso in Europa più facili e veloci per i cittadini turchi.

Erdogan rilancerà, probabilmente da una posizione più forte, anche sui negoziati di adesione della Turchia all'Ue, iniziati nel 2005 e in stallo negli ultimi anni, per le sospette violazioni dei principi democratici da parte del regime di Ankara. La Turchia, con la Russia, è il Paese con il maggior numero di denunce depositate presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. Solo la scorsa settimana, un portavoce della Commissione europea aveva espresso preoccupazione dopo l’assalto da parte della polizia turca di due canali televisivi vicini all’opposizione. “Come ogni Paese che sta negoziando l’adesione - aveva detto il portavoce - la Turchia deve garantire il rispetto dei diritti umani, compresa la libertà di espressione”. Saranno ora probabilmente tempi duri per i negoziatori europei che dovranno lavorare sul dossier turco.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:07