Tempi duri per gli stranieri nel Golfo

Mentre l’Europa, tra problemi infiniti e mille distinguo, si affanna a predisporre una decente accoglienza comune per migliaia di migranti in fuga dai paesi in guerra e poveri del mondo, le ricche monarchie del Golfo cacciano gli stranieri residenti. E’ di questi giorni la decisione del governo del Kuwait di espellere oltre 20.000 stranieri dal paese, per presunte violazioni delle leggi locali che regolano il soggiorno e il permesso di lavoro.

Secondo quanto comunicato dal capo della polizia kuwaitiana, gli allontanati sono cittadini di varie nazionalità, in maggior parte provenienti dai paesi del subcontinente indiano e dall’Indonesia; tra quelli colpiti dal provvedimento di espulsione risultano persone che hanno perso il lavoro, mendicanti, gente implicata nella vendita di bevande alcoliche – vietatissimo nel paese arabo - o che hanno gestito o lavorato come portieri e guardiani in immobili dove sono stati scoperti dalla polizia lavori illeciti; non mancano donne e uomini sospettati di esercitare atti immorali, in altre parole di prostituirsi, attività illegale ma molto diffusa in alcuni quartieri di Kuwait City. Il governo, su ordine dell’emiro Sabah, ha adottato una politica di tolleranza zero nei confronti degli stranieri che si rendono colpevoli di violazioni della legge sull’immigrazione o che restano coinvolti in attività illegali o immorali. L’espulsione, dopo l’espiazione della pena nelle rigide carceri dell’emirato, è automatica.

Nei prossimi mesi le autorità kuwaitiane procederanno all’espulsione di altri 7.000 espatriati che sono stati già individuati e che sono al momento trattenuti in campi di detenzione. Molti di questi sono in realtà disperati, provenienti da zone poverissime dell’India o da altri paesi asiatici con il miraggio di trovare un lavoro in Kuwait; hanno sovente pagato ad agenzie di collocamento che operano tra l’India e il golfo, tutti i loro miseri risparmi, accumulati in anni di sofferenze, per venire nel ricco paese petrolifero, trovare un’occupazione e poter inviare soldi alle famiglie nei paesi di origine. Le loro rimesse costituiscono spesso l’unica fonte di sostentamento dei familiari rimasti nelle case lontane. La realtà che a volte trovano invece è crudele; i mediatori locali che avevano promesso un visto di ingresso e un lavoro, spariscono nel nulla non appena i migranti hanno messo piede in Kuwait. I paesi del Golfo prevedono criteri molto stringenti per il rilascio del visto di ingresso per lavoro; l’età – superati i quaranta anni non si può ottenere il visto -, la buona salute, la professionalità, la condotta immacolata nel paese d’origine. Il rilascio del visto può avvenire solo se un cittadino locale residente, il cosiddetto sponsor, abbia invitato formalmente lo straniero a ricoprire un determinato posto di lavoro; lo sponsor diviene a quel punto responsabile anche del corretto comportamento del lavoratore, ne custodisce il passaporto e ne risponde agli organismi di sicurezza; lo straniero, specialmente quello impiegato nei lavori più umili e proveniente dai paesi più poveri, non gode praticamente di nessun diritto. In ogni momento lo sponsor può chiedere l’annullamento del visto d’ingresso e la conseguente espulsione del lavoratore straniero. Il garante locale è però tenuto al pagamento delle spese per il rimpatrio dello straniero allontanato.

La polizia kuwaitiana ha scoperto, non senza grandi reticenze, una rete di criminali che aveva avviato un lucrosissimo traffico di visti di ingresso che venivano rilasciati, con la complicità di qualche addetto disonesto, senza gli opportuni requisiti, spesso anche sfruttando la buona fede e l’ingenuità di poveri emigranti dai paesi del subcontinente indiano. Il ministro degli affari sociali e del lavoro, la sceicca Hind Al Sabah, ha reso noto che sono state chiuse oltre 150 agenzie di reclutamento fittizie, coinvolte nel traffico di visti illegali e che il fenomeno sarà represso duramente dal governo. La sceicca, nota per le sue idee progressiste, ha detto di vergognarsi per i connazionali che hanno truffato poveri emigranti disperati in cerca di lavoro, ma che le autorità kuwaitiane non possono derogare dall’espellere quanti non si trovano in regola con le leggi sulla residenza e sull’immigrazione. Migliaia di persone pur non avendo commesso alcun crimine si ritrovano così senza permesso di soggiorno, senza soldi, senza lavoro e con un provvedimento di espulsione: dopo il danno, la beffa. Chi subisce un’espulsione non può poi rientrare in Kuwait per i successivi cinque anni e trova porte sbarrate anche negli altri ricchi paesi del Golfo.

Circa due terzi dei 3,3 milioni della popolazione totale del Kuwait sono stranieri; la maggior parte di essi proviene dai paesi del subcontinente indiano e trova impiego i più fortunati come camerieri presso le ricche famiglie kuwaitiane, gli altri nei lavori più duri, dalla raccolta dei rifiuti al settore delle costruzioni. Chi non vive presso una famiglia, viene alloggiato nelle modeste baracche dei grandi campi attrezzati per gli operai stranieri fuori dalle città. La vita di questi espatriati è durissima, i servizi messi a loro disposizione dai datori di lavoro sono davvero essenziali e il modo in cui vengono trattati dalla popolazione locale è al limite della decenza. E molti dei lavoratori stranieri sono anche di religione mussulmana, ma le cose non cambiano. Non capita giorno che qualcuno di loro, i più deboli psicologicamente ed emotivamente, colpito da inguaribile depressione e nostalgia della casa lontana, decida di suicidarsi.

E’ forse anche per questo che solo pochissimi, tra le migliaia di persone in fuga dai paesi in guerra o in gravi difficoltà economiche, anche da quelli arabi o a maggioranza mussulmana, abbiano scelto le ricche monarchie del Golfo come destinazione. L’Europa, dopo tutto, tra mille problemi ed inefficienze, riconosce ancora il valore dell’umanità e dietro ad ogni muro che viene costruito c’è sempre un varco e gente disponibile a un sorriso e a una carezza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07