La Mecca, e adesso  si litiga sui morti

È trascorsa già una settimana dalla tragedia di Mina, la città santa a 5 chilometri dalla Mecca, ma le Autorità saudite non sono ancora riuscite ad identificare tutti i morti e i feriti ricoverati negli ospedali. Sono stati 769 i pellegrini, di diverse nazionalità, rimasti uccisi nella drammatica calca formatasi nel primo giorno di Eid al-Adha, la Festa del Sacrificio, una delle più importanti per i musulmani, e più di 900 sono stati gravemente feriti. Oltre due milioni, dei quali 1,4 di stranieri, erano assiepati nelle strade tra Mecca, Mina e Medina per partecipare all’hajj, uno dei cinque doveri dell’Islam che ogni credente dovrebbe fare almeno una volta nella vita.

È il più grave incidente degli ultimi venticinque anni di pellegrinaggi ai luoghi santi dell’Islam; la settimana precedente altre 100 persone erano morte intrappolate sotto una pesante gru caduta improvvisamente sulla massa dei fedeli assiepati davanti alla Grande Moschea della Mecca. Le autorità saudite sono in notevole imbarazzo per quanto è accaduto. Ancora poco chiare sono le cause della calca che ha portato alla tragedia e non poche responsabilità avrebbero i dirigenti e i comandanti delle forze di polizia e sicurezza dei luoghi santi. Il ministro saudita degli Esteri, Al-Jubeir, parlando nei giorni scorsi ai giornalisti alle Nazioni Unite a New York, ha assicurato che le indagini saranno pubbliche e trasparenti e nulla verrà nascosto. Verranno severamente puniti i dirigenti sauditi sui quali dovessero emergere responsabilità o errori di gestione e valutazione nel tragico evento.

Le prime reazioni ufficiali delle autorità saudite hanno attribuito la tragedia alla mancanza di disciplina dei pellegrini che avrebbero intasato le vie di accesso e uscita dal “muro di Satana” a Mina, generando il panico tra la massa presente che avrebbe spinto sul flusso dei pellegrini in arrivo creando la calca. Più fatalista è stato il Gran Mufti del Regno, la massima autorità religiosa sunnita, lo sceicco Abdul Aziz Al Sheikh, che ha sollevato le autorità da qualsiasi responsabilità richiamando “l’inevitabilità del destino”.

Le autorità hanno duramente smentito invece le voci che la fuga precipitosa fosse stata causata da gas velenosi, come era apparso in alcuni blog e testimonianze di sopravvissuti. I soccorritori della Mezzaluna Rossa accorsi sul posto della tragedia 1 hanno infatti riferito di decessi per asfissia, altri calpestati a morte, fratture causate dalla fuga precipitosa e dalla calca. Alcuni sarebbero morti anche per colpi di sole a causa della temperatura elevatissima, aggravata dalla mancanza di vie di fuga e dalla poca aria in circolazione.

L’estrema lentezza nelle operazioni di identificazione delle vittime – tutti i pellegrini indossano lo stesso abito tradizionale, fatto per gli uomini in due pezzi di stoffa bianca senza cuciture e per le donne in una semplice tunica nera e non portano documenti o altri oggetti personali che possano facilitarne il riconoscimento – le difficoltà nelle indagini sulla causa del disastro e l’ingorgo che si è creato nell’aeroporto della Mecca hanno ulteriormente ritardato le pratiche di rimpatrio dei morti stranieri e causato le reazioni nervose degli Iraniani e di altri governi di paesi islamici.

L’ayatollah Ali Khamenei, suprema guida islamica dell’Iran, ha rimproverato duramente le autorità saudite accusandole di incompetenza e incapacità nella gestione delle operazioni di soccorso. Teheran reclama l’immediato rimpatrio delle salme delle vittime iraniane che al momento sono 239, mentre altri 241 pellegrini iraniani risultano ancora dispersi. Il governo iraniano ha anche inviato una task force di medici e diplomatici per assistere le decine di connazionali gravemente feriti nell’incidente, alcuni dei quali anche in coma.

Khamenei ha dichiarato che il suo paese ha finora dimostrato moderazione, cortesia e la fratellanza islamica verso il Regno Saudita, ma ha aggiunto che si aspetta che i funzionari sauditi facciano a pieno e in fretta il loro dovere. L’Iran è il paese che ha pagato il prezzo più alto di vittime nella tragedia di Mina. Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha anticipato il rientro da New York, dove si trovava per partecipare alla 70esima Assemblea generale delle Nazioni Unite e dove ha avuto anche un incontro con il Premier Matteo Renzi, per accogliere nell’aeroporto della capitale iraniana i resti dei primi 130 connazionali. A Teheran il ministro degli Esteri ha convocato nuovamente, per la quarta volta dalla tragedia del 24 settembre, l’ambasciatore saudita, informandolo con toni severi delle aspettative di tutte le famiglie delle vittime iraniane per un immediato rimpatrio delle salme dei loro congiunti, senza ulteriori indugi e senza che vengano celebrate cerimonie funebri in Arabia Saudita.

Il dramma di Mina ha esacerbato ulteriormente le già alte tensioni tra l’Iran sciita e il Regno Saudita sunnita, i due grandi rivali da sempre nella regione del Golfo. I 2 rapporti fra Riyad e Teheran, che sono freddi dopo l’avvento della Repubblica islamica nel 1979, si sono deteriorati negli ultimi anni con la crisi siriana, la guerra in Yemen e, più recentemente, l’accordo nucleare raggiunto tra l’Iran e le grandi potenze. Oltre agli addebiti di incompetenza, inettitudine e mancanza di cooperazione lanciati a Riad, gli iraniani pretendono che l’Arabia Saudita presenti le scuse all’intera comunità musulmana e alle famiglie delle vittime per il tragico accaduto. Critiche e scuse che il governo di Riad ha rinviato al mittente, accusandolo di sfruttare cinicamente per fini politici il dramma di Mina. Critiche verso l’Arabia Saudita sono giunte però anche da altri paesi islamici, con articoli polemici apparsi sulla stampa in Egitto, Marocco e Sudan. In Turchia, uno dei principali leader del Partito al governo ha proposto di far gestire l’haji da commissioni di esperti di più nazioni perché “i luoghi santi dell’Islam appartengono a tutti i musulmani” e non solo all’Arabia Saudita; dichiarazione da cui ha preso però le distanze il presidente Erdogan.

Gli organi di stampa e i media sauditi non hanno ovviamente gradito le critiche, sostenendo che si tratta di una campagna concertata di diffamazione contro il Regno da parte dei suoi storici nemici e hanno respinto come ridicole le proposte di internazionalizzare i luoghi santi dell’Islam. Quali che siano le reazioni pubbliche alle critiche dall’estero, nei palazzi del potere a Riad sta montando un forte nervosismo. Il monarca Salman ha ordinato al principe ereditario, Mohammad bin Nayef, suo nipote, e al vice erede, Mohammad bin Salman, suo figlio, di agire con decisione per chiarire quanto è successo al “muro di Satana” e recuperare più in fretta possibile la reputazione internazionale del Regno.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:11