La vittoria di Corbyn cambia verso alla politica italiana

Da oggi la sinistra europea ha un nuovo idolo da amare. Si chiama Jeremy Corbyn ed è il nuovo leader del Labour Party britannico. Sessantaseienne e un passato d’irriducibile contestatore, lo si può definire l’anti- Blair. Il suo programma si ispira a una visione di radicalismo democratico centrato sul leitmotiv dell’uguaglianza conseguibile attraverso la giustizia sociale.

Le sue ricette politiche sono semplici come il suo stile di vita: pacifismo e non-interventismo in politica estera, aggressione fiscale ai grandi patrimoni, controllo dei mercati finanziari, statalizzazione delle imprese che forniscono i servizi primari alla cittadinanza, acqua e corrente elettrica in primis, protezione dell’ambiente, aumento del salario minimo garantito, maggiore welfare pubblico e, naturalmente, più accoglienza per gli immigrati. Corbyn, nell’immaginario collettivo, incarna un modello ideale di cittadino e di politico di cui a sinistra, dopo anni di ammiccamento al rampantismo del capitalismo finanziario, si avverte il bisogno.

Più dei suoi pubblici proclami, in realtà rari essendo egli personaggio asciutto anche nella prosa, contano l’andare in bicicletta, il non possedere un automobile, il coltivare il suo pezzetto di terra a patate e pomodori, l’essere dal 1983 alla Camera dei Comuni a difendere gli ultimi – il suo collegio elettorale è a Islington, sobborgo della periferia povera di Londra – e, soprattutto, l’aver votato ben 500 volte contro il governo Blair, privilegiando la propria coscienza alla disciplina di partito. Corbyn è la personificazione del “sogno socialista” che torna a vivere dopo gli anni di realismo politico e di politiche centriste del “Labour” di Tony Blair.

C’è da scommettere che nei prossimi giorni il neo-leader, spalleggiato dai maggiori sindacati operai, suoi sponsor nella corsa per la conquista del partito, rilancerà su larga scala il progetto del People’s Quantitative Easing: una sorta di fondo di compensazione alla liquidità concessa alle banche private, da destinare al finanziamento di imprese e opere pubbliche. Su queste premesse le idee di Corbyn non si fermeranno in Gran Bretagna ma attraverseranno la Manica dove ad attenderle è schierata una sinistra confusa e in cerca d’identità, desiderosa di voltare pagina in Europa. E in Italia. Non vi è dubbio che il risultato inglese funzionerà da tonico anche per il radicalismo nostrano.

Se finora i vari Fassina, Civati, Cofferati e Vendola non avevano trovato gli stimoli giusti per mettersi insieme, dopo lo shock londinese, sapranno osare di più. E, forse, ostenterà maggior coraggio anche quella minoranza “dem” dei Cuperlo e dei Bersani la cui costante insicurezza circa la strada da intraprendere è stata il miglior viatico per il successo del bleariano d’Italia, Matteo Renzi,. Non è un caso se Massimo D’Alema, che con Corbyn condivide una dichiarata simpatia per Hamas e per gli Hezbollah, si sia riferito alla scissione nel Partito Democratico come a uno tra gli scenari possibili. Per quanto riguarda la destra, la vittoria di Corbyn potrebbe avere positive conseguenze.

Sicuramente le avrà per David Cameron il quale potrà sfruttare a proprio vantaggio la vocazione testimoniale, non egemonica, del progetto disegnato da Corbyn. Anche in Italia vi saranno interessanti ricadute. Ad esempio, il voto inglese servirà a rendere più chiaro il quadro politico complessivo delle alleanze. L’auspicio è che si esca una buona volta dall’odierna Babele nella quale prospera il governo Renzi. La nascita di un partito socialista identitario porrebbe fine alla cuccagna renziana dei consensi raccolti a sinistra e spesi in politiche che piacciono ai moderati: abolizione articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori docet. Sarà l’avvento di Jeremy Corbyn a restituire senso alla destra e alla sinistra in Europa e in Italia? È presto per dirlo, non per sperarlo.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:40