Usa, per Jeb Bush una falsa partenza

Jeb Bush, fratello di George W, non ha ancora ufficialmente annunciato la sua candidatura per le prossime presidenziali, ma la sua campagna parte già sul piede sbagliato. Ci sono difficoltà nella raccolta fondi: il super-Pac (aggregatore di comitati politici) vicino alla sua macchina elettorale, ha difficoltà a raccogliere i primi 100 milioni di dollari nei primi sei mesi del 2015. Se alla scadenza (30 giugno) quella cifra non verrà raggiunta, sarà un primo sintomo di difficoltà. Dentro la stessa macchina elettorale del Bush-fratello (che potrebbe succedere al padre e al figlio), secondo fonti del filo-democratico Washington Post, ci sarebbero già screzi, purghe e rimpasti.

L’attenzione mediatica è tutta rivolta, già adesso, a un anno e mezzo dalle elezioni, su un possibile duello Bush-Clinton, le due dinastie che si sfidano direttamente. Ma stando così le cose, la prima delle due dinastie, quella dei Bush, potrebbe essere esclusa dalla competizione sin dalle primarie. Come mai? Prima di tutto, proprio perché è una dinastia. Se il popolo del Grand Old Party (Gop) repubblicano fosse uscito da spettacolari vittorie, si potrebbe anche pensare a una continuità col passato. Ma il Gop è reduce di ben due sconfitte alle presidenziali e rischia, stando ai sondaggi, di subirne una terza l’anno prossimo. Ha vinto tutte le elezioni per il Congresso di medio termine, ma anche in questo caso solo perché aveva candidato personaggi di rottura. In particolar modo, hanno vinto i candidati del Tea Party e quelli più anti-establishment, soprattutto nelle elezioni del 2010, ma anche in quelle dell’anno scorso la loro percentuale sul totale degli eletti è molto alta. In pratica, i repubblicani non vogliono l’establishment e Bush lo incarna più di ogni altro candidato, perché è figlio e fratello di presidenti. E perché, anche se pochi lo ricordano, il movimento del Tea Party è nato prima di tutto contro l’amministrazione di George W. Bush e la sua decisione di aiutare le banche in crisi con soldi pubblici.

Jeb Bush piace abbastanza ai media, non solo perché è facilmente identificabile come un Bush, ma anche perché il suo programma politico è più pragmatico di quello dei suoi rivali conservatori. Perché è favorevole alle unioni civili dei gay, ha un atteggiamento più liberal sull’immigrazione e sostiene anche alcuni aspetti dell’affirmative action, cioè della legislazione a favore delle minoranze. Per questi motivi, l’elettorato conservatore lo giudica come uno smidollato. Come minimo. Questi che sono visti come dei pregi dai media e dall’opinione pubblica europea, in America, nell’elettorato repubblicano sono visti come gravi handicap. E se Bush perderà le primarie, sarà soprattutto per questi motivi. Oltre al fatto di avere quel cognome, ovviamente.

Ma qui si presenta, ancora, come nel 2012, il dilemma conservatore: l’uomo che vince le primarie, perde la nazione. L’elettorato americano sta diventando sempre più liberal nelle questioni sociali. Sta diminuendo il numero dei cattolici (la singola religione più numerosa d’America) e dei protestanti, a vantaggio di atei e agnostici, che ora arrivano a costituire il 23% della popolazione, diffusi soprattutto nelle fasce più colte e urbanizzate, quelle che influenzano maggiormente l’opinione pubblica. E solo il Partito Democratico domina incontrastato fra gli elettori laici e laicisti (i.e.: anticlericali). Se il trend è questo, il candidato alla presidenza repubblicano dovrà avere delle posizioni sulla società più simili a quelle di un Bush che non a quelle di un Huckabee (integralista protestante) o di un Santorum (integralista cattolico), tanto per fare due esempi estremi. Eppure, nelle primarie, prevalgono i candidati più religiosi e più fermi nella difesa dei valori non negoziabili, perché è questa l’offerta che piace all’elettorato di destra, specialmente negli stati rurali. Nella campagna del 2012, lo stesso Mitt Romney, pur avendo tutta la macchina elettorale del Gop a sua disposizione, ha dovuto ricordare ai suoi elettori di esser stato, nel 2008, il più religioso e conservatore fra i candidati della destra. Nonostante tutto, Rick Santorum gli ha dato filo da torcere per tutta la durata delle elezioni primarie. Nonostante la vittoria, l’elettorato repubblicano lo ha giudicato con una certa diffidenza. Mentre l’elettorato laico ha continuato a considerarlo come un “fanatico” mormone.

Questo dilemma riguarda Bush così come tutti gli altri candidati. Per arrivare a competere per la Casa Bianca, si devono vincere le primarie. E per le due sfide occorrono caratteri opposti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:04