Cameron vince contro i sondaggisti

La sconfitta dei sondaggisti britannici, che segue a ruota quella dei sondaggisti israeliani, è uno degli aspetti più dibattuti di questi due giorni. In questo caso specifico, avevano dato Conservatori e Laburisti testa a testa. A giorni alterni era superiore la destra o la sinistra, dando l’idea di un Regno Unito diviso sulla sua identità politica. Invece la destra ha ottenuto una vittoria schiacciante. Con la conquista del 330mo seggio alla Camera dei Comuni, annunciata ieri pomeriggio, hanno ottenuto la maggioranza assoluta e possono formare un governo mono-colore. L’altro risultato un po’ meno sorprendente (perché in questo caso i sondaggisti avevano visto giusto, anche se non fino a questo punto) è il dilagare dello Scottish National Party (Snp) in Scozia, con 58 seggi conquistati su 59. La Scozia è adesso una terra gialla (il colore del Snp) a Nord di una terra blu (colore dei Conservatori) ed è questa la mappa d’Inghilterra.

Buttiamo pure via tutte le analisi che sono state fatte finora. L’Inghilterra non è un Paese diviso, non ha un Parlamento frammentato fra partiti minori. Il bi-partitismo ha retto bene e una delle due parti ha vinto in modo decisivo. E allora, perché? Sia nelle elezioni israeliane che in quelle britanniche, ma anche (andando un po’ più indietro nel tempo) nelle elezioni statunitensi del 2004, destra e sinistra erano date testa-a-testa e invece la destra ha stravinto. Dove la destra è data per perdente e distaccata di molti punti indietro rispetto alla sinistra, invece, arriva ad essere testa-a-testa al momento del voto, come abbiamo potuto constatare per due volte in Italia, nel 2006 e nel 2013. Perché sempre lo stesso errore? Esiste un fenomeno detto “shy Tory”, sia in Gran Bretagna che in tutto il resto del mondo occidentale. L’elettore di destra è socialmente invisibile, socialmente “squalificato”, timido, appunto. Non dichiara di votare a destra, ma nel segreto dell’urna lo fa, con un qual certo senso di sfida contro la società che lo obbliga al silenzio. Anche se politicamente maggioritaria, la destra resta culturalmente minoritaria, quindi...

Ma la teoria del voto non dichiarato è un po’ riduttiva per poter spiegare un tale divario tra le previsioni e i risultati. Soprattutto è troppo poco per spiegare un errore così seriale. C’è evidentemente un errore di metodo e di scelta dei campioni da intervistare. Se il divario è così ampio, vuol dire che i metodi statistici impiegati non sono più così rappresentativi della società reale. Ma c’è un fattore ideologico che è impossibile non notare. I risultati dei sondaggi sono sempre, puntualmente e incredibilmente, coincidenti con i desideri delle classi colte, degli opinion makers e dei media. Mai con quelli dell’elettorato reale. Nel caso delle elezioni israeliane, gli intellettuali di tutto il mondo erano uniti contro Netanyahu. E il leader conservatore ha stravinto. In Gran Bretagna, il laburista Ed Miliband aveva sintetizzato nel suo programma il non plus ultra del pensiero progressista: più tasse per i ricchi, redistribuzione delle ricchezze, ecologia, più Europa, più solidarietà. E su questi punti ha perso.

Un altro effetto che puntualmente si sta presentando in questo periodo è l’enfasi sui piccoli partiti di sinistra, quelli in grado di essere mediaticamente attraenti. In Israele, ad esempio, tanta enfasi era stata posta sul partito centrista di Tzipi Livni, ex ministro degli Esteri, alleata dei laburisti. È uscita dal voto con risultati tutt’altro che memorabili. Nel 2010, in Inghilterra è uscito vincente il Partito Liberaldemocratico e questo, probabilmente, ha dato spunto alla vulgata attuale, secondo cui il bi-partitismo britannico era tramontato. Questa volta i Verdi hanno fatto notizia come se fossero stati alla vigilia di uno sfondamento. Hanno solo mantenuto il seggio che avevano. Punto. Anche in questo caso, con la Chiesa (sia cattolica che anglicana) che punta sulla green economy e il Papa che annuncia la sua enciclica “ambientalista”, il decrescitismo che va di moda e tutto il gran parlare di energie rinnovabili, i Verdi si sono dimostrati essere solo una bolla mediatica. L’elettore medio, evidentemente, continua a non prenderli in considerazione.

Al contrario, in queste ultime elezioni, si tende a dare per spacciato il partito piccolo di destra, demonizzato dall’inizio alla fine della campagna elettorale. In Gran Bretagna questo trattamento è toccato all’Ukip. Il partito ha subìto una battuta di arresto, sicuramente. Ma con i suoi 4 milioni di voti (quasi il doppio di quelli andati ai Liberaldemocratici) è il terzo partito del Regno Unito. Per correttezza comunque il suo leader, Nigel Farage - così come gli altri sconfitti Nick Clegg (liberaldemocratico) ed Ed Miliband - ha rassegnato immediatamente le dimissioni.

È chiaro che se si fosse votato nei dipartimenti delle università, o nelle redazioni dei giornaloni di sinistra, Miliband avrebbe vinto, i Verdi sarebbero diventati il terzo partito, i Liberaldemocratici sarebbero stati puniti (ma solo per la loro alleanza con i “perfidi Tories”) e l’Ukip sarebbe scomparso dalla mappa dell’Inghilterra. L’unico risultato “socialmente accettabile” era la vittoria dell’Snp in Scozia e infatti è l’unico in cui le previsioni e la realtà sono arrivate più vicine. Ma dove li fanno i sondaggi: nei dipartimenti e nelle redazioni, o fra la gente comune?

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:11