Ma chi è che ha paura del genocidio armeno?

Chi ha paura del genocidio armeno? Tanti, troppi. Oggi, venerdì 24 aprile, ricorre il centenario di quello che fu il primo genocidio del Novecento. Fra l’inizio del 1915 e la fine del 1916, 1 milione e 400mila armeni vennero sistematicamente sterminati dall’Impero Ottomano, allora guidato dal regime nazionalista dei Giovani Turchi e impegnato nella Prima Guerra Mondiale, al fianco di Germania, Impero Austro-Ungarico e Bulgaria. Purtroppo non fu l’ultimo genocidio, ma solo il prototipo di quel metodo di sterminio di massa che poi venne applicato da Hitler, da Stalin, da Mao e da Pol Pot, solo per citare i maggiori sterminatori del “secolo breve”.

La Turchia, dopo un secolo di negazionismo di Stato sul crimine commesso dall’Impero Ottomano nel 1915 (di cui è erede), ha concesso un momento di ricordo delle vittime. A Istanbul, come ha annunciato il premier Ahmet Davutoglu, sarà ricordata anche la tragedia delle vittime armene. Ma è sincero pentimento? E’ un’assunzione di responsabilità per il genocidio di un secolo fa? No. Da nessun punto di vista. Definire con quel termine lo sterminio degli armeni, infatti, è ancora illegale in Turchia, un reato punito dall’articolo 301 del Codice Penale (“vilipendio all’identità nazionale”), con pene detentive che vanno dai 6 mesi a 2 anni. I turchi, però, non da oggi, ma da sempre, ammettono che vi furono molte vittime armene nel 1915 e 1916. Dice, infatti: “Ridurre tutto a una sola parola (genocidio, ndr), attribuire tutta la colpa alla sola nazione turca attraverso generalizzazioni, è legalmente e moralmente problematico”. Poi, per smorzare la polemica ancora una volta, aggiunge: “Ancora una volta ricordiamo, con rispetto, e condividiamo il dolore dei figli e dei nipoti degli armeni ottomani che hanno perso la vita nel corso delle deportazioni del 1915”. Ma di cosa sta parlando, allora? Secondo la storia ufficiale turca, quella che si può scrivere senza finire in galera, non c’è stato un genocidio, ma una “guerra civile”. Un po’ come se i tedeschi di oggi parlassero di una “guerra civile tedesco-ebraica” del 1939-45 invece che di Shoah. Solo secondo la storiografia turca, in questa “guerra civile” le vittime sarebbero state equamente distribuite da entrambe le parti: meno di mezzo milione di armeni contro circa mezzo milione di turchi. Ovviamente questa visione della storia è completamente falsa e indimostrabile. Episodi sporadici di resistenza armena vi furono, come nei casi di Zeitun, Van, Urfa, Shabin-Karahisar e nel Mussa Dagh. Ma si trattò di nuclei di uomini armati, sfuggiti allo sterminio, che ressero disperatamente contro forze turche preponderanti. Le vittime del genocidio armeno furono circa 1 milione e 400mila. I caduti turchi nelle azioni armate contro i resistenti armeni, ammontano a poche migliaia. Come nacque la leggenda della “guerra civile”? Venne diffusa dall’Impero Ottomano fin dall’inizio del genocidio. Sin dall’ingresso dell’Impero in guerra nel novembre del 1914, gli armeni vennero dipinti dalla propaganda ottomana come una minoranza sovversiva, pronta a pugnalare alle spalle l’esercito. Anche quei volenterosi che lavoravano per l’esercito, allestendo ospedali con soldi propri per accogliere i feriti di guerra, furono accusati di tradimento, arrestati e i loro beni confiscati. Anche coloro che, fino a quel momento, avevano combattuto nelle file dell’esercito regolare, vennero separati dagli altri commilitoni e assassinati: 200mila coscritti vennero sommariamente eliminati in questo modo. Quando il genocidio entrò nella sua fase “calda”, nell’aprile del 1915, la macchina della propaganda turca lavorò incessantemente per spacciarlo come guerra civile, un movimento sovversivo armeno. Migliaia di cadaveri di armeni vennero rivestiti con uniformi turche, fotografati e spacciati come caduti in battaglia nella fantomatica guerra civile, come poté testimoniare anche Rafael De Nogales, un volontario venezuelano che divenne ispettore generale delle truppe ottomane in Armenia. Riconoscere l’identità cristiana o musulmana fu reso fisicamente impossibile: le vittime vennero evirate in gran numero, per non poter più verificare se fossero circoncisi (dunque musulmani) o no.

Quanto alle marce della morte, in cui un milione e mezzo di civili, soprattutto donne, vecchi e bambini, venne deportato a piedi verso le regioni desertiche della Siria orientale, i turchi le spiegano come “trasferimenti”, più raramente come “deportazioni”, come ha appena fatto Davutoglu, ma mai come un metodo di sterminio. Quale invece era: di coloro che partivano alla volta della Siria, nessuno tornava vivo. Chi era “fortunato” moriva sgozzato da paramilitari turchi o da guerriglieri curdi aizzati dal governo e attratti dal bottino delle vittime. Chi fu sufficientemente forte da arrivare vivo fino alla provincia di Deir Ezzor, in Siria orientale (la stessa che ora è occupata dall’Isis), morì di stenti nei campi di concentramento, che erano veri e propri campi di sterminio nel deserto. Nelle grandi marce della morte sopravvisse, stando alle fonti di allora, sopravvisse solo 1 deportato su 10. “Dopo ispezioni è stato confermato che il 10% dei deportati armeni ha raggiunto il luogo di esilio. Il resto è morto durante il percorso – scriveva in un telegramma del 10 gennaio 1916 il vicedirettore generale dei campi profughi – Siete informati che simili risultati sono stati ottenuti con l’uso di metodi severi contro i sopravvissuti”.

Se per la Turchia è vietato parlare di genocidio (con tutte le implicazioni morali, politiche e giuridiche che la parola comporta), quanti Stati hanno il coraggio di parlarne, fuori dalla Turchia? L’unico che lo ha fatto, in questo centenario, apertamente e senza giri di parole, è stato Papa Francesco, il 12 aprile scorso, nella Domenica della Misericordia, celebrando la messa in San Pietro assieme ai cattolici armeni. La reazione turca alle parole del Papa (che parlava da religioso, in chiesa, non da capo di Stato) è stata durissima, sproporzionata, ai limiti della rottura delle relazioni diplomatiche con il Vaticano. Erdogan ha addirittura minacciato di espellere dalla Turchia i 100mila armeni che ci vivono e lavorano, giusto per sottolineare l’assenza di ogni pentimento sul passato.

Nel resto del mondo, solo 20 Stati, fra cui l’Italia, riconoscono ufficialmente che fu genocidio. A questo gruppo di nazioni si unirà anche la Germania, anche se la formula adottata dal parlamento di Berlino è abbastanza ambigua: “Il destino degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale è esemplare della storia dei crimini di massa, delle epurazioni etniche, delle espulsioni di popolazione e dei genocidi del Ventesimo Secolo”. Angela Merkel, però, ha annunciato che riconoscerà apertamente il genocidio, chiamandolo per quello che fu.

L’Europarlamento si è già espresso in merito, sostenendo le parole del Papa e condannando la reazione turca. Con una risoluzione, votata a gran maggioranza, ha condannato ogni negazionismo del genocidio e ha proposto l’istituzione di una giornata internazionale per la memoria delle vittime. Stupisce ancora una volta, invece, il silenzio degli Stati Uniti. Nonostante fosse proprio l’ambasciatore Henry Morgenthau a Costantinopoli, nel 1915, a denunciare per primo l’inizio dell’eccidio e nonostante la diaspora armena negli Usa sia una delle più numerose, Washington, nel nome dell’alleanza con Ankara, hanno finora evitato di irritare i governi turchi. Barack Obama non rinnega questa brutta tradizione e non sarà presente al memoriale di Erevan, oggi, per la commemorazione del genocidio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07