Nemtsov, la morte  di una Russia liberale

I funerali di Boris Nemtsov si sono svolti ieri a Mosca, dopo una grande manifestazione in memoria del liberale ucciso al Ponte di Pietra a due passi dal Cremlino. Come purtroppo avviene dopo ogni omicidio eccellente, soprattutto in un momento di tensione fra Russia e Nato, le speculazioni sul delitto e le teorie della cospirazione si moltiplicano e contagiano tutti. Ma si perde il punto: con Nemtsov muore una Russia liberale, realista, vicina all’Occidente.

Ex vicepremier, già ministro dell’Energia, Nemtsov avrebbe potuto essere presidente. Quando era al culmine della sua carriera, alla fine degli anni ’90, pareva essere lui il prescelto quale successore designato di Eltsin. Aveva contenuto le spinte populiste dei partiti post-sovietici, approvato le riforme, sostenuto una linea di partenariato con una Nato che lambiva i confini dell’ex Urss. Nel 1997, contrariamente al generale nazionalista Aleksandr Lebed (1950-2002), che minacciava rappresaglie, aveva approvato l’allargamento dell’Alleanza Atlantica, giudicandolo come una “dote” che la Russia avrebbe portato per celebrare il matrimonio con i Paesi più industrializzati dell’Occidente. Quella Russia, quella classe politica, è morta con la crisi economica del 1998, poi con la Guerra del Kosovo, che ha riattizzato il nazionalismo nel popolo ex sovietico. A Nemtsov, il presidente Eltsin ha preferito Putin, uomo del Kgb, custode dei segreti del Cremlino, “garante di stabilità” del sistema post-sovietico. Dal 2000, Nemtsov è passato all’opposizione. Un’opposizione più intellettuale che politica. Non ha mai raccolto il consenso di un popolo sempre più mosso da passioni imperiali e impossibili nostalgie sovietiche. I suoi progetti politici hanno sempre ottenuto piccole percentuali. Ma, personalmente, ha sempre svolto, in patria e all’estero, il ruolo del “grillo parlante”, talvolta della “Cassandra”. Come quando definiva la Russia di Putin come una Repubblica delle Banane, nel senso letterale del termine: un paese dipendente da un unico set di prodotti d’esportazione: il gas e il petrolio. Era convinto che il “putinismo” fosse, per questo preciso motivo, un sistema fragile, azzardato, dipendente unicamente dai prezzi dell’energia. Non avendo altro da offrire, un crollo dei prezzi energetici avrebbe travolto tutto il sistema. Cosa che, puntualmente, sta iniziando a verificarsi.

Era convinto che la Russia di Putin fosse diventata un regime di tipo nuovo, costruito sulla propaganda populista e sulla concessione di benessere (derivato dalla vendita dei prodotti energetici) in cambio della rinuncia alla libertà. Indicava il 2003 come l’anno in cui finirono le speranze per una Russia democratica: fu l’anno dell’arresto di Khodorkovskij, il magnate del petrolio che avrebbe potuto sfidare il potere economico, dunque anche politico, della cerchia di Putin. Dal 2003 in avanti, è iniziata la distruzione sistematica delle forze politiche d’opposizione, dei media indipendenti e dei contro-poteri economici e locali. E sono iniziati gli omicidi di critici e oppositori, fra cui quello della giornalista d’inchiesta Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006.

Non è affatto detto che Nemtsov sia stato ucciso per ordine di Putin, come dà per scontato l’opposizione democratica in Russia. E’ certo, però, che la sua morte abbia privato i liberali russi della loro voce più autorevole, la più ascoltata in Occidente. L’ultima battaglia combattuta da Nemtsov era contro la guerra in Ucraina. Era convinto che Putin stesse mandando segretamente i russi al fronte, nel Donbass, al fianco dei separatisti. In questi giorni avrebbe voluto pubblicare un dossier, in merito. Di qui l’accusa di “tradimento” e le numerose minacce di morte, provenienti dagli ambienti più nazionalisti, i maggiori indiziati per l’omicidio. La prima capitale che ha pianto la sua morte è stata Kiev, prima ancora che Mosca. La sua idea di una Russia vicina all’Europa e all’Occidente appariva già come una voce isolata e “stonata” in mezzo a un coro che inneggia al nuovo imperialismo russo, che chiede l’annessione della Crimea e di tutta la Novorossija, lancia la sfida all’America e vuole la rivincita dopo la sconfitta nella Guerra Fredda, rimette in discussione l’ordine europeo e le frontiere fino al punto di rinnegare la riunificazione della Germania. Perché questa è la Russia di oggi e non ammette alcun dissenso, alcun “grillo parlante” liberale quale era Boris Nemtsov.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:59