La schiena dritta  e il “legno storto”

Chapeau, monsieur Alexis Tsipras. Chapeau! È bastata la sua prima passeggiata a Bruxelles per rimettere in ordine i rapporti tra la Grecia e il resto dell’Unione. Dopo settimane di arroganti minacce i padroni del vapore europeo sono andati a sbattere contro la granitica fermezza del giovane leader. Le politiche annunciate da lui non convincono, purtuttavia, cavallerescamente, gli va riconosciuto carattere nel perorare la causa del suo paese. Il giovanotto di Atene ha adottato una tattica da manuale della politica. Non ha fatto il bullo. Non ha straparlato, come sono soliti fare certi nostri potenti conterranei. Ha semplicemente tenuto ferma la sua posizione.

Con qualche spintarella sottobanco. Non è forse un caso se, nelle ore in cui Bruxelles si preparava ad accoglierlo per fargli la paternale di rito sulla necessità di essere austeri nella tenuta dei conti pubblici, lui spediva il suo ministro degli Esteri, Nikos Kotzias, a Mosca a raccogliere la disponibilità della Russia a un eventuale piano di salvataggio finanziario della Grecia. In un solo colpo Tsipras ha mandato i giusti messaggi a tutti gli interlocutori che contano, continentali e transatlantici. Le alleanze, ha sottinteso il greco con l’apertura a Putin, non sono eterne e se le si vuole mantenere è necessario saperle coltivare. E i leader europei? Hanno calato subito le braghe. A cominciare dalla teutonica dama di ferro, Angela Merkel, che forse tanto di ferro non è, visto che si è precipitata a parlare di disponibilità al compromesso con il leader greco ancor prima che questi appendesse il cappotto all’attaccapanni in Rue de la Loi. Per il momento Tsipras e il suo fotogenico ministro dell’economia, Yanis Varufakis, hanno portato a casa la decisione della Bce di aumentare di 5 miliardi di euro i fondi a disposizione delle banche elleniche che si aggiungono ai 60 miliardi già stanziati nell’ambito del programma di aiuti per l’emergenza.

Per quanto ci riguarda siamo contenti che ai nostri amici greci vengano concesse ampie possibilità per la ripresa. Tuttavia, resta la grande amarezza per le considerazioni che si possono trarre da questa vicenda. Sono i governi italiani che proprio non contano un tubo. In Europa e nel mondo. I nostri ultimi primi ministri, da Monti a Renzi passando per Letta, si sono prostrati davanti alla Merkel che ci ha trattato da scolaretti indisciplinati. Valiamo economicamente molto di più della Grecia eppure riceviamo minore attenzione. E anche l’ultimo cacicco, che ama fare tanto il guappo di cartone quando è a Palazzo Chigi, a Bruxelles perde la favella.

Nella stessa seduta del consiglio dei capi dei governi della Ue, nella quale Alexis Tsipras è stato accolto da trionfatore, il nostro premier ha provato a porre la questione della Libia. Peccato che nessuno se lo sia filato. Prendiamo schiaffi da tutti e ce li teniamo. Perché accade? Forse il motivo ha a che fare, più che con la politica o l’economia, con l’antropologia. Tutti i nostri partner hanno uno spiccato senso della propria identità nazionale a cui non rinunciano. Noi no. Prima di essere europei i tedeschi restano tedeschi, come i francesi sono francesi e i greci fanno i greci fino in fondo. Per non parlare degli inglesi o dei finlandesi. In Italia il richiamo del sangue e del suolo non lo si avverte allo stesso modo. Siamo quelli dei mille campanili e del “particulare” guicciardiniano. E si vede. Siamo settentrionali o meridionali. Piemontesi o campani.

Palermitani o catanesi. Pariolini o borgatari. Interisti o milanisti. Berlusconiani o anti-berlusconiani. Insomma tutto, fuorché italiani. Vi pare bello? Nessuna meraviglia allora se da giardino d’Europa ne siamo diventati il legno storto. Fu Massimo d’Azeglio a dire: “Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani”. Sono passato 150 anni e ancora non si è riusciti. Non sarebbe giunto il momento di provarci sul serio?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:12