A Minsk l’Europa si presenta a pezzi

Non ci è ancora dato sapere come siano andati i colloqui di pace di Minsk, fra Germania, Francia, Russia e Ucraina. Non sappiamo nemmeno se il loro risultato sarà fragile quanto quello dei primi colloqui, con una tregua fragile rispettata solo per qualche mese. Sappiamo già, però, che si tratta di una sconfitta della politica estera europea. In particolar modo ne è già uscita con le ossa rotte l’Italia.

L’Italia è per l’appeasement a tutti i costi, anche a costo di regalare l’Ucraina intera alla Russia (e magari anche i Paesi Baltici e la Polonia, se lo dovessero chiedere). Tanto nell’immaginario collettivo degli italiani, tutto ciò che esiste a Est della Vistola è comunque “Russia” anche se parla finlandese o lettone o polacco, o ucraino. E per il ministro degli Esteri, l’opzione militare è da scartare, sia oggi che in futuro, in ogni circostanza (dunque anche in caso di attacco russo al territorio Nato?). Se questo è l’atteggiamento dell’Italia ufficiale, quello di governo, l’opposizione è ancor più filo-russa e non tollera che si parli di una contrapposizione fra Bruxelles e Mosca, o fra Washington e Mosca. La destra italiana è ancora ferma all’idea che si possa far risuscitare il dialogo di Pratica di Mare, (“tutti assieme contro il terrorismo”) anche di fronte all’evidenza di un Putin uscito allo scoperto con la sua nostalgia sovietica, la sua insaziabile sete di espansionismo a spese della Nato, i suoi lauti finanziamenti a Iran e alle sue propaggini più o meno legali, la sua ambiguità perfino nella lotta all’Isis (Putin ha recentemente definito “illegale” la campagna aerea della Coalizione) e soprattutto la sua volontà di costruire un blocco militare ed economico, nell’ex Urss, assieme alla Cina, all’Iran, all’Egitto e ai bolivariani dell’America Latina con l’unico scopo di prendersi una rivincita su Nato e americani.

Lo dice, lo scrive, lo fa dire da tutta la martellante propaganda russa. Quindi la destra italiana, se ancora si può individuarne una, si metta il cuore in pace: Pratica di Mare è morta. Non ferita, non moribonda, ma: morta. Piaccia o non piaccia, la guerra fredda è già ricominciata. Lo scontro ideologico non è più fra democratici e comunisti, ma fra democratici e reazionari, perché è soprattutto sui sentimenti di questi ultimi che Putin fa leva. Come in ogni guerra fredda, si può decidere liberamente di stare da una parte o dall’altra, a seconda della propria visione della realtà. Stare da entrambe le parti è l’unica opzione perdente. Ed è per questo che la politica estera italiana, anche nel breve periodo, risulterà perdente. Non a caso Federica Mogherini, l’Alta Rappresentante italiana, è già stata esclusa da ogni incontro al vertice, Minsk incluso. Nel momento in cui si discute su dove passerà la nuova cortina di ferro (ed è di questo che, in pratica, si sta discutendo) l’Italia è esclusa.

Non solo l’Italia, ma l’Ue da questo confronto ne esce a pezzi, nel senso letterale del termine. Almeno quattro pezzi: quello di una politica atlantica, quello di una politica continentale e quello di una politica decisamente pro-russa. Gli atlantici (Gran Bretagna, Paesi baltici, Polonia, Romania, ma anche le finora pacifiste Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca) sembrano gli unici perfettamente consapevoli che la guerra fredda sia scoppiata di nuovo e si vogliono attrezzare di conseguenza. Vogliono armare l’esercito regolare ucraino per lanciare un segnale a Putin: la cortina di ferro si ferma in Ucraina, non un centimetro più a Ovest. La Germania e la Francia guidano la linea continentale e non a caso stanno giocano a Minsk il ruolo di “poliziotto buono”, capace di mantenere il sorriso di fronte a Putin. Anche la Merkel si è resa conto che il suo interlocutore è diventato irrazionale, come ha dichiarato l’anno scorso in più occasioni. I tedeschi e i francesi sono ormai consapevoli che la guerra fredda è ricominciata, ma pensano che si possa ancora raggiungere una soluzione di compromesso sull’Ucraina, restaurandone l’integrità territoriale (anche in Crimea) senza necessariamente passare per l’appoggio militare a Kiev. Con quali argomenti, incentivi e/o minacce riusciranno a convincere Putin non è dato saperlo.

Ma ci stanno provando. Poi c’è una terza Europa che si sta gradualmente allineando alla Russia. Oggi i casi più eclatanti sono quelli di Ungheria e Grecia, che spezzano sia il fronte Ue che quello Nato, opponendosi ad ogni misura ritenuta anti-Mosca. Ma ci sono la Bulgaria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia che potrebbero unirsi al club, vuoi per ideologia, vuoi per interesse. E infine c’è la schiera di paesi semplicemente non pervenuti, come il nostro, per le ragioni di cui sopra. E anche: Spagna, Portogallo, Austria, Slovenia, Croazia, che hanno identità divise fra una politica continentale ed una dichiaratamente pro-russa. E che, quando la nuova guerra fredda entrerà a pieno regime, saranno condannati all’irrilevanza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:09