Ucraina, l’ultima offerta di pace

Ultima offerta di pace per l’Ucraina. Ultima in ordine di tempo, si intende, ma potrebbe anche essere l’ultima prima della prossima fase di escalation del conflitto. Il segretario di Stato John Kerry è volato a Kiev, prima di tutto per mostrare il sostegno degli Stati Uniti al presidente Poroshenko e al governo Yatseniuk, in un momento di massima pressione. La guerra in Ucraina è costata, ormai, circa 5000 morti e 1 milione e 200mila sfollati, quasi tutti profughi interni o riparati in Russia. Le milizie pro-russe non mollano la loro presa sulla città di Debaltseve e cercano di circondare le unità dell’esercito regolare ucraino dispiegate in sua difesa.

In questo contesto, John Kerry, successivamente raggiunto a Kiev dal presidente francese François Hollande e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, propone un nuovo cessate il fuoco e un piano di pace, che possa essere accettato prima di tutto dall’Ucraina e possa essere inoltrato a Mosca. Ma questa mossa diplomatica viene presentata come l’ultima utile e possibile. Poi le tre democrazie occidentali potrebbero passare a maniere più forti. Hollande avverte, a nome della Francia, che i negoziati non andranno avanti “per sempre”. Un concetto analogo a quello espresso da Kerry nella mattinata: gli Usa vogliono una soluzione diplomatica al conflitto, ma “non chiudono gli occhi” di fronte all’arrivo in Ucraina orientale di sempre nuovi rinforzi russi per le milizie irregolari.

Se il vertice di Kiev è la carota, in cosa consiste il bastone? Prima di tutto: il rafforzamento degli alleati orientali terrorizzati dalle azioni di Putin. La Nato, i cui ministri della Difesa sono riuniti a Bruxelles, annuncia il perfezionamento della Spearhead Force, la nuova brigata di intervento rapido che sarà pronta ad uno schieramento in qualunque punto delle frontiere orientali. La Spearhead Force, che non sarà solo una forza di terra, ma avrà anche la sua componente navale e aerea, potrebbe intervenire in 48 ore, in caso di attacco russo o scoppio di una locale guerra asimmetrica, nei territori di Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria, tutti i Paesi in cui si stanno allestendo nuovi centri di comando e controllo avanzati, capaci di coordinare le operazioni sul posto.

La percezione del pericolo, in queste settimane, è diventata particolarmente forte nelle repubbliche baltiche. La Lettonia è particolarmente preoccupata per la sua ampia minoranza russa. Si vedono le prime avvisaglie di minaccia: sui social network locali iniziano ad apparire mappe di uno smembramento della Lettonia, simile a quello che sta avvenendo in Ucraina. La “repubblica separatista” lettone, che vorrebbe farsi annettere alla Russia, è la Latgalia, include quasi tutto l’est del Paese, ai confini con la Bielorussia e la Federazione Russa. Si tratta di un’area abitata da russofoni che, in tutte le occasioni, ha votato contro i partiti liberali e contro l’Ue. Anche la Lituania, che ha una minoranza russa numericamente inconsistente, per la prima volta dagli anni ’30 è venuta a conoscenza di un movimento separatista polacco vicino a Mosca. Un paradosso nel paradosso: perché è polacco e perché è vicino a Mosca (e nessun polacco di Polonia si sognerebbe di esserlo, dopo mezzo secolo di occupazione). Chiaramente si tratta di mosse propagandistiche, anche poco credibili. Ma sono allarmi. Sono preoccupazioni per i governi locali. Sono avvisaglie di intenzioni ostili, diffuse dal capillare apparato propagandistico del Cremlino. I piani della Nato servono proprio a lanciare un monito alla Russia: se gli “omini verdi” separatisti e filo-russi dovessero comparire nelle province orientali dell’Estonia, della Lettonia o della Lituania, troverebbero forze professionali della Nato ad affrontarli. Combatterli, sarebbe come dichiarare guerra agli Usa.

Questi, tuttavia, sono piani interni all’Alleanza che non riguardano l’Ucraina (che non fa parte della Nato). Per quest’ultima gli aiuti arrivano da singoli membri della Nato, in particolare dalla Polonia. Ma anche gli Stati Uniti stanno valutando, da una settimana a questa parte, di inviare aiuti militari. Il probabile prossimo segretario alla Difesa, Ashton Carter, nella sua audizione al Congresso, lo ha dichiarato esplicitamente: invierebbe aiuti militari all’esercito regolare ucraino, per affrontare l’insurrezione dei pro-russi. In cosa consisterebbero questi aiuti? Prima di tutto droni da ricognizione, che permetterebbero di riequilibrare le forze di artiglieria. Infatti, finora, i miliziani pro-russi fanno ampio uso dei droni per dirigere il tiro delle loro batterie lancia-razzi. L’artiglieria ucraina, invece, spara quasi sempre alla cieca. Sempre nel campo dell’artiglieria, un memorandum della Difesa suggerisce anche di fornire le batterie ucraine di radar specializzati nel tracciamento dei proiettili nemici, così da scoprire il prima possibile da dove proviene il fuoco nemico. Per ora, infatti, gli ucraini devono affidarsi a mezzi di fortuna (come gli hacker che piratano le telecamere di sorveglianza nelle città occupate dai miliziani) per scoprire dove si celino i lanciarazzi dell’artiglieria nemica. Fin qui i mezzi non-letali. Ma quel che il Congresso Usa pensa di mandare, per riequilibrare ancor di più le forze sul campo, è una nuova fornitura di armi anti-carro. Benché antiquati, i T-72 e i T-80 dei miliziani hanno corazze reattive capaci di reggere alle armi anticarro in dotazione all’esercito ucraino.

Se gli Usa dovessero mandarli, le relazioni fra Usa e Russia subirebbero un “danno colossale”, come anticipa Alexander Lukashevich, portavoce del ministero della Difesa russo. Ma a questo punto anche la Russia subirebbe un danno enorme. Finora si è potuta permettere di combattere con una mano legata dietro la schiena, senza neppure figurare presente sul campo. Ma un eventuale intervento americano, con l’invio di armi sofisticate (e, presumibilmente, anche di consiglieri e istruttori militari al seguito), complicherebbe le cose per Mosca. Putin si troverebbe costretto a negoziare un accordo, oppure a intervenire più apertamente al fianco della “Novorossija”. Quel che ha sempre evitato di fare finora. E, paradossalmente, la storia dell’intervento Usa in un territorio ex sovietico, diverrebbe una profezia che si auto-avvera. Finora era un tema ricorrente nella propaganda russa, secondo la quale tutto, dalla prima crisi politica a Kiev in avanti, sarebbe stato organizzato dagli americani. Putin ha anche definito l’esercito ucraino la “legione straniera della Nato”. Finora queste sono solo bufale da propaganda. Finora.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:05