Cosa vuol dire quel rogo del Califfato

A giudicare dai titoli dei quotidiani, dei giornali online e del volume di traffico su Internet, il Califfato ha vinto. Ha chiuso in una gabbia il pilota giordano Muad al Kasasbeh, lo ha sottoposto a un processo farsa popolare, dove cittadini infuriati del Califfato hanno chiesto la sua morte. La gente (probabilmente selezionata con cura dagli jihadisti) lo ha accusato di tradimento, di collaborazionismo con gli infedeli, gli ha dato dell’apostata. E i miliziani hanno eseguito la sentenza della “giustizia popolare”: hanno dato fuoco all’“apostata”. Un episodio di giustizia sommaria, come probabilmente (come purtroppo ci hanno abituato le cronache dalla mezzaluna fertile) ce ne sono tante altre. Ma il Califfato l’ha trasformata in uno strumento di propaganda potentissimo. Il rogo del pilota è avvenuto, probabilmente, un mese fa. Il video, con montaggio professionale, immagini ad alta definizione e colonna sonora, è stato rilasciato e diffuso solo il 3 febbraio. Di fronte alla scena di crudeltà medioevale di un prigioniero bruciato vivo in una gabbia, l’opinione pubblica occidentale è letteralmente andata in tilt. Nella cultura moderna dei paesi industrializzati siamo abituati a nascondere la morte. Persino i nazisti e i sovietici celavano le crudeltà che avvenivano nei lager e nei gulag, mostrando la documentazione solo a un giro ristretto di funzionari e ufficiali. Sui social network, così come su tutti i quotidiani, il rogo del pilota giordano è apparso come una notizia fuori dal tempo, al di là di ogni immaginazione. Ed è ovviamente balzato in primo piano.

Prima che i complottisti dicano che è tutto finto, o tutto vero ma organizzato dagli americani/israeliani, è bene soffermarsi a meditare cosa voglia dire questa mossa di propaganda dell’Isis, più potente di un attentato. In primo luogo è un messaggio mandato alla monarchia giordana. Il pilota era figlio di una famiglia nobile, vicina alla corte di Amman. La monarchia è parte della Coalizione arabo-occidentale che combatte contro gli jihadisti e il pilota Kasasbeh è stato catturato in azione, nei pressi di Raqqa, durante una delle sortite aeree dell’aviazione di Amman. Ma nella popolazione giordana c’è un consenso per la causa jihadista difficilmente misurabile. Il paese ospita alcuni dei più grandi campi profughi siriani, al confine settentrionale. In mezzo a quelle moltitudini, prevalentemente arabe sunnite, è in crescita l’entusiasmo di chi si schiera dalla parte del Califfato. Anche nella popolazione, che è a maggioranza palestinese e sempre più radicalizzata, è difficilmente comprensibile quanti siano dalla parte della Coalizione e quanti, invece, vorrebbero stare dall’altra parte. Ma, considerando che nella Coalizione ci sono anche gli Usa e le democrazie europee, percepiti come paesi nemici dalla maggioranza della popolazione, è facile intuire quanto sia basso il consenso per l’intervento militare. Il Califfato ha bruciato vivo un nobile, vicino alla corte giordana filo-occidentale, dopo averlo fatto processare dal popolo. Quanti giordani avranno accolto il video con entusiasmo?

Il messaggio del Califfato è rivolto anche a tutti i Paesi che stanno trattando per la liberazione dei loro ostaggi. Dimostrando una cosa molto chiara: non sono interessati allo scambio di prigionieri. I terroristi hanno finto di negoziare per più di un mese con la Giordania, facendo credere che avrebbero potuto liberare Kasasbeh in cambio di una terrorista aspirante suicida, detenuta ad Amman dal 2005, unica sopravvissuta alla strage di quell’anno nella capitale giordana. In realtà, mentre l’opinione pubblica pensava che fosse ancora possibile uno scambio di prigionieri, Kasasbeh era già stato bruciato da tempo. Il re di Giordania ha risposto subito con la vendetta, facendo impiccare la terrorista ieri all’alba. Ma al Califfato non interessa nulla: la Giordania non ha fatto altro che uccidere una aspirante suicida, di fatto ha dato a lei quella morte che cercava in un attentato e al resto del popolo una nuova “martire” della jihad da venerare.

Il Califfato ha, infine, lanciato un messaggio a tutto l’Occidente, soprattutto ai paesi che partecipano alle operazioni militari nella Coalizione anti-Isis. Ci ha fatto vedere che fine fanno i combattenti della nostra causa che dovessero disgraziatamente finire vivi nelle loro mani. Con che morale andare a rischiare la pelle, dopo quelle immagini di crudeltà antica? C’è anche un altro aspetto che, forse, preoccupa ancora di più: la stragrande maggioranza del pubblico prova orrore, terrore e ripugnanza di fronte a uno “snuff movie”, film horror con morti veri. Ma esiste anche una minoranza che ne viene attratta, che decide di aggregarsi a chi mostra il massimo della violenza possibile. Persone labili, musulmane e non, che cercano una svolta forte, certezze e capibranchi da seguire. Sono circa 5000 i volontari partiti dall’Europa per andare a combattere sotto la bandiera nera della jihad del Califfato. Con questo video si teme che diventino ancora di più.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02