Nuova guerra fredda, a che punto siamo?

La crisi in Ucraina non è solo locale. Si sta attualmente giocando su quattro tavoli: uno militare, sul terreno, fra la Crimea, il Mar d’Azov e il Donbass; l’altro politico interno all’area ex sovietica; l’altro europeo, con un braccio di ferro economico e militare fra Ue e Russia; infine un quarto tavolo globale, dove sta ricominciando il confronto militare fra Usa e Russia, sulla falsariga della vecchia Guerra Fredda.

Andando con ordine: lo scontro militare in Ucraina sta per essere vinto militarmente dalla Russia, anche senza un intervento diretto. A Putin è bastato dotare le milizie pro-russe locali di armi antiquate e soldati in incognito che le sappiano usare bene (circa 9000, secondo le accuse del governo di Kiev) per battere l’esercito ucraino su tutti i fronti con perdite relativamente lievi. I pro-russi hanno lanciato una campagna di reclutamento massiccia, per dotarsi di un esercito di leva, nelle province di Donetsk e Luhansk forte di 100mila uomini. Nel frattempo, le milizie irregolari che combattono con armi, equipaggiamenti e consulenti russi, hanno costretto l’esercito regolare ucraino ad abbandonare l’aeroporto di Donetsk, hanno posto l’assedio alla città di Debaltseve (pericolosamente esposta in un saliente circondato da tre lati dai nemici) e hanno lanciato un attacco contro il porto di Mariupol, sul Mare d’Azov. L’intento di questa offensiva è chiaro e lampante: rettificare il confine, allontanandolo da Donetsk, che finora era esposta al tiro d’artiglieria dei regolari e conquistare uno sbocco sul mare che consenta un collegamento con la Crimea, ormai parte (di fatto, non di diritto) della Federazione Russa. Il tutto in vista della creazione di un nuovo Stato, la Novorossija, riconosciuto da Mosca, anche se rinnegato dal resto del mondo. Se i pro-russi dovessero riuscire nella loro impresa, in Ucraina si verrebbe a creare un “conflitto congelato”, con una linea di demarcazione armistiziale fra un governo riconosciuto ed uno non riconosciuto, una situazione analoga a quelle di Cipro (in cui il Nord è una repubblica riconosciuta dalla sola Turchia) e ad altri casi nell’ex Urss, come la Moldavia e la Georgia, tutti divisi al loro interno da repubblichine riconosciute solo da Mosca. Visti i rapporti di forza sul campo, Mosca e i suoi alleati locali sono molto vicini al raggiungimento di questo obiettivo, non tanto per la forza delle milizie pro-russe, quanto alla debolezza cronica dell’esercito ucraino.

Il secondo tavolo su cui si gioca la partita è quello dell’ex Urss. Putin ha infatti soffiato sul fuoco della Crimea e del Donbass per non perdere prestigio, soprattutto agli occhi delle repubbliche ex sovietiche. Se avesse accettato la caduta di un governo pro-russo, al seguito di una sommossa di piazza, avrebbe perso ascendente, sia agli occhi dei russi che degli altri popoli della sua progettata Unione Euroasiatica. La guerra in Ucraina è stata lanciata per gli stessi motivi per cui, nel 1999, l’allora premier Putin schiacciò violentemente l’insurrezione islamica in Cecenia. Il messaggio di fondo è lo stesso: “non provateci nemmeno”. Per ora questa sua politica sta ottenendo successo. Opinioni pubbliche non abituate alla democrazia, inclini a seguire l’uomo forte (discorso valido soprattutto per le repubbliche asiatiche), hanno eletto Putin a loro campione. I russi lo seguono in modo quasi unanime. La sua alleanza con la Bielorussia e il Kazakhstan appare più solida che mai, così come è ferma la presa sul Kirghizistan, la più periferica e tormentata delle repubbliche ex sovietiche. L’influenza americana nello spazio ex sovietico è ridotta ai minimi termini. Va un po’ peggio nel Caucaso, dove Georgia e Azerbaigian sono apertamente ostili a Putin, per ragioni diverse. Ma resta l’Armenia come alleato locale ed eventuale trampolino di lancio per operazioni locali. Inoltre sono molto migliorati i rapporti fra Russia e Turchia (protettrice dell’Azerbaigian), grazie al buon rapporto con Erdogan. E questo potrebbe costituire uno scacco matto per chiunque possa provare a contrastare Putin in quello scacchiere.

Il terzo tavolo è quello fra Ue e Russia. Anche in questo campo, Putin è riuscito ad ottenere una vittoria tattica, con la vittoria in Grecia di un fronte politico esplicitamente filo-russo. Nella sua prima prova di amicizia, il governo Tsipras si è opposto all’inasprimento di sanzioni europee contro Mosca. Tuttavia, le sanzioni dell’Ue sono state prorogate fino a settembre. E la Grecia, da sola, non è sufficiente a ribaltare la Nato o l’Ue: può uscirne, ma a suo rischio e pericolo, finendo isolata. Le economie europee subiranno gravi danni a causa dell’embargo russo (più di un miliardo di perdite, stimate solo per l’Italia), ma la Russia rischia di perdere il suo unico vero mercato di sbocco. Solo gli europei, infatti, possono investire in Russia i capitali e la tecnologia necessari per garantirne lo sviluppo e solo i governi europei sono ricchi e affidabili clienti del settore energetico russo (gas e petrolio). La Russia ha bisogno dell’Europa. L’Europa, al contrario, inizia a poter fare a meno delle risorse che arrivano da Est. Il gas può anche essere acquistato dagli Usa e in prospettiva lo potremo estrarre anche dai depositi naturali in territorio europeo. Ancora peggio, per Putin, è l’effetto che ha avuto sui membri orientali dell’Ue. Polonia e repubbliche baltiche si sentono direttamente minacciate. E’ rinata la Nato: fino all’anno scorso era un’alleanza militare di cui non si capiva più il senso, dal 2014 è tornata ad essere uno strumento indispensabile su cui investire grandi risorse. E’ rinata, dopo vent’anni dalla fine dell’Urss, la tentazione di costruire un “cordone sanitario” anti-russo, in cui repubbliche baltiche e Polonia costituiscono il bastione settentrionale, Romania, Moldavia e Georgia quello meridionale.

Sul quarto tavolo, quello della rinnovata competizione militare Usa-Russia, a Putin va ancora peggio. Gli Usa stanno valutando di fornire di armi ed equipaggiamento moderno l’esercito regolare di Kiev. Da un punto di vista legale, lo potrebbero fare: l’Ucraina è un Paese sovrano, può chiedere un appoggio militare diretto o indiretto a un paese terzo. Alla Russia non resterebbe che intervenire direttamente, con la forza, per ristabilire un equilibrio a proprio vantaggio. Ma con quale giustificazione legale? In caso di intervento (solo armi, niente truppe) americano in Ucraina, a Putin non resterebbe altro che minacciare ritorsioni contro gli Usa su altri fronti, in Europa orientale e altrove, seguendo le orme dell’Urss. Ma può permettersi un confronto analogo a quello della Guerra Fredda? L’Urss poteva contare su una rete internazionale di alleati in tutti i continenti. Putin no. L’Urss poteva contare su movimenti, partiti, organizzazioni clandestine ed eserciti di guerriglia in Europa occidentale, Asia, Africa e America Latina. Putin ha solo qualche scalcinato autocrate alleato in America Latina. L’Urss aveva ambizioni globali e un messaggio rivoluzionario universale: intendeva cambiare l’uomo, fin dalle sue fondamenta. Putin si fa invece portavoce di un nazionalismo che può essere solo locale, al massimo può convincere movimenti rosso-bruni, specie in Europa, che ne condividono soprattutto la lotta agli Usa e al liberalismo. Ma comunque sono movimenti perdenti per definizione: non hanno in mente un loro “sol dell’avvenire”, ma nascono come reazione alienata ad una società aperta, alla quale non riescono ad adattarsi. Al di là della rinnovata corsa agli armamenti, dove gli Usa hanno un vantaggio tecnologico difficilmente raggiungibile, la guerra ideologica è già stata persa in partenza dalla Russia. Solo in un settore Putin può vincere (e in parte ha già vinto): la corsa agli armamenti nucleari. In quello specifico settore, la Russia ha preso il sopravvento, sia numerico che qualitativo. Anche perché a Mosca interessa ancora l’arma atomica, a Washington, al contrario, la si vorrebbe eliminare del tutto. Ma chi è quel pazzo che vuole vincere un conflitto globale con uno scontro nucleare?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:11