Barack Obama alza le tasse: e perché?

Barack Obama alza le tasse. E’ una notizia? Sì, la è eccome, perché il presidente democratico ha sempre promesso di promuovere politiche di redistribuzione dei redditi, ma finora ha sempre tenuto le tasse basse, lasciando semmai lievitare il debito pubblico per coprire una spesa sempre maggiore. Non a caso, il movimento anti-statalista (e implicitamente anti-Obama), il Tea Party, è cresciuto in questi anni per combattere contro l’eccesso di spesa pubblica, non contro l’eccesso delle tasse. Obama, invece, in questo discorso dello Stato dell’Unione, annuncia un aumento di tasse.

Più in dettaglio: l’obiettivo è aumentare di 320 miliardi di dollari le entrate statali. Questa cifra considerevole, pari a più di un terzo dell’intera manovra finanziaria, sarà ottenuta soprattutto con l’aumento delle tasse sui capital gains, dall’attuale aliquota del 23,8% ad una del 28%, la più alta dai tempi di Ronald Reagan (trent’anni fa). Poi saranno colpite le eredità e verrà aumentata la pressione fiscale sulle banche. Barack Obama, colpendo queste categorie, va sul sicuro: sono le più odiate dal popolo, per lo meno dal suo popolo, quello della sinistra progressista. C’è da chiedersi, a questo punto, come mai abbia atteso così tanto. E soprattutto: a cosa voglia mirare.

Come mai abbia atteso così tanto è abbastanza difficile da capire, soprattutto considerando che Barack Obama, finora, ha goduto della maggioranza democratica in tutto il Congresso (dal 2008 al 2010), poi nel solo Senato (2010-2014) mentre ora è in minoranza in entrambe le camere. Vista la drastica riduzione del suo sostegno nel potere legislativo, sintomatica di un crollo di consensi per il presidente, l’annuncio dell’aumento per le tasse ai “ricchi” può essere vista come una mossa plateale di un presidente che non ha più nulla da perdere e reagisce con metodi estremi a un crollo di consensi. Soprattutto non ha veramente nulla da perdere, visto che fra un anno non potrà neppure ricandidarsi, giunto com’è alla fine del secondo mandato. Difficile capire, però, come faccia Obama a scavalcare un Congresso ormai completamente contrario alla sua politica, specie se si parla di tasse. Il presidente ha dimostrato di essere un bravo avvocato di se stesso, quasi luciferino nell’interpretazione e nel raggiro di leggi e consuetudini. E’ già riuscito a fare una guerra lunga otto mesi (nel 2011 in Libia) senza neppure passare dal Congresso. Quindi è probabile che quest’anno trovi il modo di fare questo aumento di tasse, contro categorie “impopolari”, mostrandosi come vero paladino del popolo contro un’élite repubblicana “arrogante”. Un Caligola dei giorni nostri, insomma, uno che piazza il suo cavallo al Senato in segno di disprezzo contro l’aristocrazia romana, ammiccando al popolo per cercare un rapporto diretto.

Ancora più problematico è capire a cosa miri Obama con un aumento di tasse. D’accordo che l’annuncio arriva (non a caso) in un raro momento di ripresa economica degli Usa. Ma proprio per questo non dovrebbe abusare della pazienza dei grandi imprenditori e produttori americani, che appena da un mese stanno tirando il fiato. Le tasse, come spiegava l’economista Laffer, iniziano a produrre meno gettito se si aumenta l’aliquota oltre un certo limite. Se c’è anche una sola alternativa nel mondo, la si percorre, portando aziende e capitali dove le tasse sono più basse. Obama ritiene che questo aumento di tasse riguardi solo l’1% della popolazione americana. Il problema è che si tratta dell’1% che produce il 37% del gettito fiscale americano, pur condividendo il 19% del reddito nazionale. Ed è un 1% che è sempre più impaziente, minacciato com’è da tasse e leggi ostili europee, ora anche da tasse e leggi ostili americane. Un 1% che è pronto a fare le valige per altri lidi…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08