Libertà di stampa,   questa sconosciuta

Parigi, più di un milione di persone in piazza per difendere la libertà di espressione. Alleluja! Finalmente, la patria dell’illuminismo riscopre un valore che era stato quasi del tutto dimenticato. Sarebbe troppo corto lo spazio su queste colonne per elencare tutti i momenti in cui, lo stesso Charlie Hebdo, era stato minacciato di chiusura, proprio a causa delle sue vignette. Era stato minacciato dalle autorità francesi, non solo dai terroristi. Quando la testata satirica si chiamava ancora Hara Kiri, negli anni ’60, era stato anche chiuso d’autorità, quando aveva osato scherzare (in modo raffinato, per altro) sulla morte di De Gaulle. Quando era già Charlie Hebdo, nel 2006, venne additato dal presidente Jacques Chirac in persona, per aver osato ripubblicare le vignette del Jyllands Posten.

Il presidente assente alla marcia di Parigi, l’unico assente fra i grandi capi di Stato e di governo, Barack Obama, è sempre stato in prima fila nel condannare la satira su Maometto. C’è un copto finito dritto in carcere (col pretesto di altre accuse) per aver fatto girare sul Web un video amatoriale che denigra Maometto. E il Charlie Hebdo aveva osato scherzar sopra pure su quello. I grandi network americani, a partire dalla Cnn, non hanno mai voluto mostrare le vignette “blasfeme”. Le hanno pixellate, se proprio dovevano farne rientrare una nelle loro foto o nei loro video.

Quanti di coloro che hanno marciato a Parigi, fino a ieri, predicavano di imporre limiti alla libertà di espressione, nel nome di questo o quell’altro diritto positivo? Quanti di coloro che oggi scrivono “Je suis Charlie” fino a ieri sostenevano la giustezza di condannare al carcere un direttore di giornale per una battuta poco fine di un suo collaboratore? Quanti trovano giusto citare in giudizio una persona per vilipendio alla bandiera, alle massime cariche istituzionali o alla “nazione” (un concetto astratto, più astratto ancora di una religione) e torneranno a farlo da domani?

I terroristi islamici, a Parigi, hanno colpito il più trascurato e vilipeso dei diritti di libertà: la libertà di espressione e di stampa. Limitato, ormai, dalle leggi ordinarie, dai codici deontologici, nel caso dell’Italia persino dalla Costituzione, che apre la possibilità di limiti imposti per mezzo di leggi ordinarie. E sì che stiamo parlando del primo dei diritti di libertà. Primo, in ordine cronologico, se non altro: il primo emendamento introdotto alla Costituzione degli Stati Uniti (che introduce simultaneamente la libertà di culto e di stampa. Giusto per essere chiari). Il primo dei diritti rivendicato dai rivoluzionari francesi, prima che fossero i giacobini stessi a distruggerlo. La prima delle rivendicazioni di tutti i movimenti liberali europei del primo quarto dell’800.

Le manifestazioni oceaniche di Parigi ci fanno toccare con mano che questo diritto, vilipeso e dimenticato come quasi tutto il resto della dottrina liberale, è ancora sentito dall’opinione pubblica. Ma in cosa consiste, esattamente? Che non ci siano idee chiare in merito lo si deduce dall’estenuante dibattito sui limiti da porre alla libertà, sia da parte di movimenti religiosi che laici. Sentiamo spesso dire che i vignettisti francesi, pur essendo vittime di un barbaro omicidio, erano comunque meritevoli di censura, perché quel che facevano era immorale/blasfemo/di cattivo gusto. Questo è il principale argomento moderno contro la libertà di stampa. Chi ritiene che non debba esistere un “abuso” di libertà, né che la libertà possa essere “illimitata” confonde due piani, quello morale e quello legale. Ritiene che ciò che è immorale debba necessariamente essere illegale. E, in alcuni casi, il nemico della libertà di stampa ritiene che ciò che è “brutto” debba essere quantomeno scoraggiato dalla legge. Questo modo di ragionare è l’esatto opposto di quanto prescritto dalla dottrina liberale, sin dalla sua origine: la libertà di stampa va protetta proprio per esprimere ciò che non piace. Non ciò che piace, che è morale o bello, per cui non sarebbe necessario alcun diritto, ma il semplice consenso.

Il liberalismo pone un unico argine alla libertà di stampa ed è nella triade dei diritti fondamentali: vita, libertà e proprietà. L’istigazione a delinquere deliberata è una minaccia alla vita e limita la libertà della persona colpita. La proprietà può essere danneggiata dalla falsa informazione economica, dalla calunnia. E la proprietà fissa anche il limite del giornalista ad esprimersi: da un punto di vista liberale, l’editore è sovrano. Il giornalista, contrariamente ai piagnistei che sentiamo anche da personaggi televisivi strapagati, non avrebbe diritto di lamentarsi se l’editore non lo vuol far parlare nel suo giornale.

Ecco, questi sono i limiti posti anche dal liberalismo. Non altri. Non una presunta “dignità”, non una presunta “sensibilità religiosa”, che spesso, come in questo caso, sono solo pretesti per la violenza, terroristica o di Stato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07