Il genocidio di massa  del popolo Yazida

Gli Yazidi sono una antica comunità di lingua curda non-musulmana, originaria delle montagne del Kurdistan, a cavallo tra Iraq e Turchia. Monoteisti e sincretici, fin dal XVII secolo sono stati demonizzati dai musulmani, dai cristiani e dagli ebrei dell'Iraq che li etichettavano "adoratori del diavolo" per il loro rifiuto di riconoscerne la sua esistenza. Si dice che il culto yazida fosse la religione originaria dei curdi prima che fossero islamizzati nel primo millennio.

L'accusa di essere "adoratori del diavolo", reputazione del tutto infondata, deriva probabilmente da una credenza della setta nell’Angelo pavone, il"Malak Tawous", la cui storia è simile a quella di "Iblis", il diavolo, l'angelo caduto del Corano. Nella tradizione zoroastriana, di cui la religione yazida ha conservato alcuni elementi, l'Angelo Pavone a causa del suo orgoglio perde per un certo tempo il favore di Dio; preso però dal rimorso l’Angelo riesce a riconciliarsi con Dio. Il Pavone non è diventato, come nell'Islam, la personificazione del diavolo ma un angelo che è rimasto un’espressione benevola della divinità. Per gli yazidi, il male come il bene risiedono nell'essere umano che sceglie la sua strada.

Gli Yazidi, prima della costituzione del califfato islamico dell’Isis, erano circa 800 mila, dei quali almeno 500 mila vivevano nel nord dell’Iraq, nella zona montuosa vicino a Mosul e lungo la frontiera con la Turchia. Le altre comunità sono sparse in Siria, nella zona di Aleppo, in Armenia, in Georgia, nelle regioni del Caucaso e dell'Iran; più di 40.000 yazidi vivono in Germania e in Russia.

Le credenze yazide sono sopravvissute a lungo sulla base di tradizioni orali. Solo nel 1849 la comunità venne riconosciuta dall'Impero Ottomano che gli dette diritto di esistenza e professione di fede come religione monoteista. Ma durante il regno del sultano Abdul Hamid II, alla fine dell’800, la comunità venne di nuovo perseguitata e forzata alla conversione all’Islam; per sfuggire alla persecuzione, un gruppo di yazidi chiese al patriarca siro-ortodosso del monastero di Deir al-Zaafaran a Mardin – a nord di Sinjar – di accettarli nella fede cristiana. Fu da quel momento che gli yazidi, gli "adoratori del sole" perché pregano al mattino in direzione del sole, seppur nominalmente sono considerati parte della comunità cristiana della chiesa siro-ortodossa. Il destino degli yazidi di Sinjar è stato a lungo legato a quello dei cristiani nel nord dell'Iraq e della regione di Mardin nella Turchia sud-orientale. Durante la seconda guerra mondiale hanno ospitato nelle loro montagne, rischiando la vita, decine di migliaia di profughi armeni e siriaci cristiani in fuga dai massacri e dalle deportazioni ordinate dal governo turco. Più tardi, nel nuovo stato iracheno, hanno sofferto, come le altre tribù curde, della politica di arabizzazione forzata imposta da Saddam Hussein. Dopo la caduta del regime baathista nel 2003, sia il governo autonomo del Kurdistan che la nuova costituzione irachena hanno concesso loro la libertà di culto.

Questa popolazione pacifica, per lo più contadini poveri e pastori che vivono in zone montuose, isolate e lontane dai centri urbani, attraversa probabilmente oggi uno dei peggiori momenti della loro lunga storia e rischia il genocidio, da quando sono stati presi di mira dai jihadisti dell’Isis lo scorso giugno con l’offensiva islamista nel nord dell’Iraq. Gli Yazidi sono stati vittime di abusi e violenze di massa da parte dei jihadisti e sono stati costretti a scappare dalle zone di origine del Sinjar, a pochi chilometri dalla città di Mossul, nel nord dell’Iraq. Migliaia di uomini e ragazzi sono stati massacrati e torturati, tantissime donne sono state stuprate, bambini anche piccolissimi sono stati rapiti e rivenduti, in un crescendo di violenze sistematiche testimoniato in un recente rapporto di Amnesty, con una strategia islamista di pulizia etnica della razza yazida. Centinaia, forse migliaia di donne sono state costrette con la forza a contrarre matrimonio con i guerriglieri dell’Isis, vendute o offerte ai combattenti o simpatizzanti. Molte di queste schiave sessuali sono poco più che bambine, ragazze di età compresa tra i 12 e i 15 anni o anche più giovani, divenute oggetti di attenzione sessuale degli islamisti; alcune non hanno retto all’umiliazione e hanno preferito suicidarsi.

Per quante non trovano la forza di ribellarsi, financo col suicidio, le conseguenze fisiche e psicologiche delle sofferenze terribili che subiscono sono catastrofiche e lasceranno il segno indelebile sulle loro giovani vite per sempre, come hanno rilevato gli psicologi delle Nazioni Unite presso i centri di accoglienza per i profughi yazidi aperti alla frontiera con la Turchia. Il relatore speciale sulla libertà di religione e di credo delle Nazioni Unite, Heiner Beilefeldt, che ha visitato quei campi nelle settimane scorse e parlato con le ragazze yazide sopravvissute ha riferito di racconti raccapriccianti. Sono almeno duecentomila gli Yazidi che hanno dovuto abbandonare le loro case e fuggire in esilio. Per il Califfato islamico, invece, gli Yazidi sono una razza inferiore, demoniaca, che merita di essere ridotta in schiavitù, secondo i principi della Sharia, come ha scritto la rivista di propaganda on line dei jihadisti “Daqib”. In molti casi, dopo aver conquistato i villaggi abitati dalle comunità yazide nell’Iraq settentrionale, i capi militari dell’Isis hanno offerto come bottino di guerra ai combattenti islamici donne e bambini catturati.

Nelle zone conquistate, gli jihadisti risparmiano solo la “gente del Libro" - i cristiani ed ebrei, monotesiti - che possono evitare la morte convertendosi all’Islam o pagando la tassa islamica, "jizya", e andare in esilio. Ma verso gli Yazidi gli islamisti non riservano alcuna pietà. Anche in Siria, nella zona nord-orientale di Hassaqa dove risiedevano alcune comunità yazide, gli uomini dell’Isis hanno applicato la “pulizia etnica”; le ragazze yazide sono state vendute sulla piazza pubblica come schiave per 150 dollari. Secondo gli osservatori internazionali per la tutela dei diritti umani, tra cui l’organizzazione Human Right Watch, la persecuzione del Califfato contro gli Yazidi costituisce un crimine contro l’umanità che dovrà essere perseguito dal Tribunale Penale Internazionale. Le invocazioni di aiuto degli Yazidi hanno raggiunto alcune capitali occidentali; a Washington e Parigi rappresentanti yazidi hanno potuto incontrare esponenti del Congresso e dell’Assemblea Nazionale sensibilizzandoli sulla immane tragedia in corso. In Italia il dramma è poco conosciuto, così come pochissimo si sa degli Yazidi.

Nella celebrazione della giornata della pace e contro le schiavitù c’è da augurarsi che le grida disperate di dolore che partono da quelle zone martoriate in mano ai jihadisti non si disperdano nel vento e che la comunità internazionale non abbandoni il popolo yazida; senza l’aiuto esterno questa antichissima civiltà, ricca di cultura, sarebbe destinata ad una scomparsa certa per mano degli estremisti islamisti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:58