Torture Cia, qualche   scomoda verità

Il Senato degli Stati Uniti ha pubblicato ieri il rapporto sul programma di torture praticate dalla Cia. Dal 2002 al 2009, i presunti terroristi catturati in tutto il mondo, vennero sottoposti a “interrogatori potenziati”, che sono definibili come tortura. Questa pubblicazione, che ha sollevato l’ennesima ondata di sdegno anti-americano in tutto il mondo (come se ce ne fosse bisogno…) e ha indotto la Cia ad aumentare le misure di sicurezza in gran parte delle sedi diplomatiche, deve però essere esaminata con maggiore attenzione.

Prima di tutto, sappiamo di un programma di torture, documentato ed esposto in parlamento, a soli cinque anni di distanza dalla sua fine. Gli Stati Uniti, dunque, si dimostrano di gran lunga più trasparenti rispetto ai loro alleati europei. Sicuramente molto più trasparenti, senza possibilità di paragone, con i loro nemici autoritari e totalitari. Per alcuni dei conservatori americani si tratta di un atteggiamento ingenuo, che genererà, come sottolinea la National Review, sfiducia negli alleati degli statunitensi e nei loro apparati di intelligence. In realtà questa inchiesta parlamentare e la sua parziale pubblicazione (circa 500 pagine su 6700 sono state declassificate) non dovrebbero stupire nessuno. Fa parte della tradizione liberale americana, la stessa che, all’inizio del secolo, voleva vietare la diplomazia segreta e che ha atteso fino alla metà del secolo scorso, fino alla Seconda Guerra Mondiale e al successivo scontro con l’Urss, prima di accettare l’idea di dotarsi di un servizio segreto. L’idea che questo servizio possa addirittura commettere un crimine, particolarmente odioso, come la tortura, non fa parte del Dna americano e viene, naturalmente, respinta con sdegno.

La pubblicazione suona, però, anche come un’operazione politica: trovare nuove colpe storiche a George W. Bush e, sulla base di queste, screditare moralmente i repubblicani. I democratici non erano, per caso, al corrente del programma Cia? Fu tutta un’operazione coperta e nota solo all’amministrazione Bush? Contrariamente a quel che può sembrare oggi, dopo la pubblicazione di questo rapporto congressuale, il programma di interrogatori potenziati era autorizzato e legale. Intervistato dal New York Times, l’allora vicepresidente Dick Cheney, dichiara: “Il programma era autorizzato. L’agenzia (Cia, ndr) non voleva procedere senza autorizzazione, e la questione è stata anche esaminata, dal punto di vista legale, dal Dipartimento di Giustizia, prima di avviare il programma”. I democratici ne erano al corrente, stando anche alla testimonianza di José Rodriguez, uno dei responsabili del programma. Intervistato dalla stampa americana subito dopo la pubblicazione del programma, Rodriguez cita la senatrice democratica Dianne Feinstein, relatrice del rapporto. Non una sua dichiarazione odierna, ma una che risale al 2002, a pochi mesi dall’11 settembre: “Per proteggerci, dobbiamo fare cose che non abbiamo mai voluto fare nel corso della nostra storia”. Il senatore democratico John Rockefeller IV, allora membro della commissione sull’intelligence al Senato, a proposito della possibilità di inviare Khalid Sheik Mohammed (la mente dell’11 settembre) in uno Stato alleato dove la tortura fosse permessa, diceva ai suoi intervistatori della Cnn: “non voglio escludere nulla, quando è implicato lui. Perché è l’uomo che ha ucciso centinaia e centinaia di americani negli ultimi dieci anni”. Dopo il trauma dell’11 settembre, insomma, tutti ragionavano in questi termini, non solo i membri “guerrafondai” dell’amministrazione Bush. “I leader di entrambi i partiti, delle commissioni per l’intelligence della Camera e del Senato – ricorda ancora Rodriguez – sono stati regolarmente sottoposti a relazioni sui progressi del programma per almeno 40 volte fra il 2002 e il 2009”. In tutti i casi, come ricorda l’ufficiale della Cia, “la loro raccomandazione era fare tutto il possibile per evitare altri attacchi sul nostro territorio”. I democratici, dunque, non possono lavarsi la coscienza su quel che accadde allora e oggi non possono scaricare tutta la colpa sull’amministrazione Bush.

Una domanda di fondo, però, resta in sospeso: la tortura era proprio necessaria? Il rapporto sottolinea che non lo era. Che, insomma, non vennero ottenute informazioni rilevanti dagli interrogatori potenziati. Che, come già Cesare Beccaria aveva intuito tre secoli fa, sotto tortura si danno informazioni false o non rilevanti, quel che il torturatore vuol sentir dire, pur di far cessare il tormento. Ma è stato veramente tutto inutile? Un aspetto singolare di questo programma è che non contenga interviste. Si basa unicamente su documenti scritti, ma ufficiali e precedenti direttori della Cia sono stati lasciati da parte. L’ex direttore George Tenet, ora, definisce questo rapporto “fazioso, inaccurato e distruttivo”, pericoloso per chi nella Cia lavora ancora e, soprattutto, “lontano dalla verità, perché la storia smentisce assolutamente la conclusione del rapporto, secondo cui la Cia avrebbe ingannato i suoi auditori sull’efficacia del programma”. Il programma, in effetti, portò realmente alla cattura di Khalid Sheik Mohammed (trovato in base a confessioni estorte sotto tortura) e ad altri successi nella caccia ai terroristi, inclusa una parte non trascurabile nella raccolta di indizi per la caccia a Bin Laden. Il dilemma sulla scelta fra sicurezza e diritti umani, dunque, non è affatto risolto. C’è stato un periodo in cui, dopo l’11 settembre, la rinuncia ai secondi ha rafforzato la prima. Oggi è facile lanciare accuse e avere la risposta pronta, ma fare di nuovo questa scelta è tutt’altro che semplice, specie se si è sotto la pressione di attacchi di mega-terrorismo al cuore del proprio Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47