Un nuovo crocevia   per Nato e Russia

Oggi inizia il vertice dei ministri degli Esteri della Nato, a Bruxelles. Intanto, ieri, la conferenza stampa di Jens Stoltenberg, il nuovo segretario generale dell’Alleanza, ha anticipato alcune premesse.

Chiaramente, il centro dell’attenzione è ancora la crisi in Ucraina. E non potrebbe essere altrimenti. Con i caccia russi che volano a ridosso delle difese Nato, talvolta violando anche lo spazio aereo dei membri orientali dell’Alleanza, l’atmosfera in cui siamo precipitati sembra ancora quella della vecchia Guerra Fredda. Stoltenberg denuncia anche l’ammassamento delle truppe russe sul confine e il continuo flusso di uomini e mezzi alle regioni dell’Ucraina orientale. Deplora, inoltre, che Mosca continui a negare il tutto, non assumendosi alcuna responsabilità.

Difficile dire se, stando a queste premesse, la giornata di oggi segnerà il momento del disgelo con la Russia (come auspicano Italia, Francia e Germania) o sancirà, al contrario, l’inizio di una nuova guerra fredda. Sicuramente non basta un vertice di ministri degli Esteri per prendere decisioni di così ampia portata. Ma la sensazione è chiaramente quella di assistere a un momento di svolta nelle relazioni Est-Ovest.

Limitandoci ai fatti, è bene ricordare alcune cose. Prima di tutto, non è assolutamente corretto parlare di “espansione a Est” dell’Alleanza. Sono i singoli governi nazionali che devono decidere quando, se e come aderire all’Alleanza. Come tiene a precisare una fonte ufficiale interna alla Nato, che incontriamo a margine della conferenza stampa di Stoltenberg, i russi continuano a ricordare un accordo che non è mai esistito: non c’è mai stato alcun impegno, da parte della Nato, di non allargarsi a Est. Ciascun Paese è infatti sempre libero di chiedere di aderire all’Alleanza. La valutazione se ammettere o meno un nuovo membro, dipende soprattutto da fattori tecnici e militari. Quando un Paese dimostra di rispettare gli standard richiesti, può essere ammesso. Quanto alle richieste, la Georgia continua il suo percorso verso l’adesione e prossimamente inizierà una missione della Nato volta a migliorare le prestazioni del suo piccolo esercito. La Moldavia, che ha votato ieri a favore di una coalizione filo-occidentale, potrebbe essere la prossima beneficiaria di un programma di partnership.

L’Ucraina, al contrario, non ha chiesto di far parte della Nato. L’ultimo voto parlamentare in merito, che fu effettuato ancora ai tempi in cui era presidente Yanukovich, ha infatti sancito il non-allineamento dell’Ucraina. Se il nuovo presidente e il nuovo governo dovessero, invece, decidere di tornare a candidarsi all’accesso alla Nato, ricomincerebbe il percorso di valutazione. Ma per ora non c’è alcuna “brama” della Nato a mettere le mani sull’Ucraina, come invece continua a ripetere la stampa russa e pro-russa. La crisi ucraina, dunque, va letta per quel che è: un confronto fra due Stati emersi dal crollo dell’Urss, non un conflitto diretto fra Nato e Russia.

E’ un conflitto violento in cui le tregue non vengono rispettate e all’inizio del quale Mosca ha violato (annettendo la Crimea) il diritto internazionale e il Memorandum di Budapest sul rispetto dell’integrità territoriale ucraina, alienandosi la simpatia delle diplomazie della Nato e causando la fine di ogni cooperazione. Fatte queste debite premesse, quel che Stoltenberg ha inteso anticiparci ieri è essenzialmente: la porta per il dialogo con la Russia resta sempre aperta, ma alcuni fattori sono da considerarsi come condizioni imprescindibili per l’eventuale riconvocazione del Consiglio Nato-Russia: deve finire l’occupazione della Crimea, deve essere rispettato il cessate-il-fuoco nell’Ucraina orientale e la Russia deve cessare l’invio di aiuti ai pro-russi. Su questi punti la Nato non intende scendere a compromessi.

Da quel che sappiamo, anche la Russia non intende scendere a compromessi. Chi terrà duro più a lungo? Il Cremlino considerava Jens Stoltenberg come un interlocutore molto più malleabile. Stando a quel che ci ha detto ieri, non lo è. Ma fra le dichiarazioni ufficiali e la pratica c’è sempre una distanza enorme. E le circostanze cambiano continuamente. La decisione se riprendere o meno il dialogo con la Russia è essenzialmente politica e sarà presa dalla maggioranza dei governi della Nato. Se prevale il punto di vista “continentale” (Italia, Francia, Germania), gli interessi per la stabilità, per la ripresa del commercio con la Russia, delle forniture di gas e della prospettiva di una cooperazione duratura (nonostante il territorio ucraino sia stato gravemente mutilato) passano sopra alle questioni “di principio”. Non così per l’Europa più esposta al neo-imperialismo russo: per Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, infatti, quel che è toccato all’Ucraina nei mesi scorsi, un domani può toccare a loro. Questa linea, che fa prevalere la sicurezza sugli interessi commerciali, è sostenuta anche dal governo Cameron in Gran Bretagna e dal Canada.

Gli Usa, per ora, si mantengono abbastanza equidistanti. Solo su un punto sembra siano tutti d’accordo: la sicurezza del confine orientale torna in primo piano. Il progetto che verrà realizzato nei prossimi anni consisterà nella creazione di una nuova task force per la reazione rapida, pronta a intervenire in ogni settore minacciato dalla Russia (o da qualunque eventuale aggressore esterno).

Si tratta, comunque, di un piano che vedrà la luce, non nelle prossime settimane, non nei prossimi mesi, ma nei prossimi anni. Nel frattempo? Già da ora sono presenti piccole unità statunitensi nel territorio delle Repubbliche Baltiche. Stiamo parlando di unità a livello di compagnia (120 uomini), non sufficienti a fermare una vera offensiva russa, né, tantomeno, a minacciare la Russia. Sono lì solo per un motivo: segnalare a Mosca che un’eventuale invasione delle repubbliche Baltiche provocherebbe una guerra con gli Usa e con il resto della Nato. Un’ipotesi veramente molto remota.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:51