Israele, un conflitto   da film dell’orrore

È un terrorismo di tipo nuovo, quello che stanno sperimentando sulla loro pelle gli abitanti di Gerusalemme. La chiamano “Intifadah delle auto” dopo quella “delle pietre” (1987) e quella “dei kamikaze” (2000). I primi atti di aggressione di questa nuova guerra sono stati infatti condotti con auto, lanciate a tutta velocità contro ebrei in attesa alla fermata del tram, lungo la linea dove, fino a mezzo secolo fa, correva il muro di separazione fra Israele e Giordania. La prima vittima è stata una bambina di tre mesi, travolta dall’auto “pirata” guidata da un terrorista di Hamas. Adesso i morti, fra i civili israeliani, sono già otto in una settimana. Non solo auto: per assassinare ebrei, gente presa a caso per strada, sono stati usati anche spranghe e coltelli. Il nuovo terrorismo ha colpito a Gerusalemme, Tel Aviv, Nazareth, in Giudea, a Gush Etzion. E ad ogni reazione della polizia, non solo la popolazione palestinese, ma anche quella araba israeliana. Cittadini di Israele, dunque, diversi dagli ebrei solo per lingua e religione.

Sebbene meno sanguinosa, rispetto alle due Intifadah precedenti, questa terza insurrezione, per ora solo potenziale, presenta per Israele una sfida più difficile. Miliziani intruppati in Fatah sono facili da identificare e arrestare. Già il salto di qualità dei terroristi suicidi era più difficile da affrontare: trattandosi di persone, non solo disposte a morire, ma desiderose di morire, i margini di trattativa e i deterrenti erano nulli. Nonostante tutto, in cinque anni, solo grazie alla costruzione della barriera difensiva voluta da Ariel Sharon e dall’evacuazione delle colonie più esposte nella striscia di Gaza, Israele è riuscita a ripristinare la sua sicurezza anche in quel caso. I morti fra i civili furono più di mille. Ma adesso? Non ci sono miliziani inquadrati in partiti, neppure terroristi suicidi che possono essere fermati con barriere all’ingresso. Ci sono cittadini comuni, immigrati dalla Palestina o residenti in Israele da una vita, che di punto in bianco si trasformano in assassini efferati. Non ci sono organizzazioni che possano essere scoperte e smantellate dalla polizia, né eserciti irregolari da affrontare con l’esercito regolare: solo comuni cittadini, neppure in contatto fra loro, che rispondono ad una chiamata, sentita in televisione o su Internet.

La chiamata è esplicita e corale. La sua voce più nota è quella di Yusuf Qaradawi, un “moderato” che ha appena condannato il terrorismo dell’Isis (perché è contro i musulmani), ma sta attivamente promuovendo quello di Hamas e dei suoi simpatizzanti (perché è contro gli ebrei). «Arabi, musulmani, persone libere di ogni parte del mondo, alzatevi dal letargo, levatevi per difendere i vostri luoghi sacri e vi è vietato lasciare che gli ebrei si prendano gioco di al-Aqsa (la moschea di Gerusalemme, terzo luogo santo dell’Islam, ndr), che cerchino di spartirla […] tutto questo è vietato a ogni musulmano e a ogni musulmana e lungo la via della moschea di al-Aqsa scorre il sangue e i musulmani offrono vite, ricchezze e figli. Invito gli ulema del mondo intero a fare risuonare la verità nelle loro moschee, ad annunciare ai loro popoli musulmani quel che devono fare per i loro luoghi sacri e per salvare la loro al-Aqsa. Invito i leader e i governanti a livello mondiale di liberarsi dei propri interessi personali e delle divergenze parziali per ritrovarsi nella difesa dei luoghi santi della umma, invito i popoli a collaborare uno con l’altro nel costringere i governanti a unirsi e a cooperare. Invito i figli della Palestina ad affrettare la vittoria per al-Aqsa. Chi può raggiungerla e a resistere colà lo faccia, chi può recarsi a Gerusalemme, per unirsi ai ranghi dei suoi fratelli lo faccia. Chiamate la umma al vostro seguito per sostenere il popolo palestinese con tutto quel che necessita per rafforzare la resistenza e il loro fronte». Un’altra voce nota è Tareq Suwaidan, altro importante esponente dei Fratelli Musulmani, che l’estate scorsa tuonava: «Noi non abbiamo problemi con la morte, siamo diversi dagli israeliani […] Tutte le madri della umma – non solo quelle palestinesi – dovrebbero allattare i propri figli con l’odio verso i figli di Sion. Li odiamo, sono i nostri nemici. Dobbiamo instillare questo nei cuori dei nostri figli sino a che sorgerà una nuova generazione che li cancellerà dalla terra. […] Ciascuno di noi uscendo da questa sala dovrà pensare a un piano su come cancellare Israele».

Per il nuovo terrorismo bastano queste parole. Non serve una grande preparazione militare, né addestramento, né una costosa organizzazione dotata di basi e campi. Basta la predicazione all’odio e gente determinata a mettere in pratica i suoi contenuti, con qualunque oggetto si trovi in mano. I palestinesi di oggi hanno imparato la lezione di Al Qaeda, come sempre all’avanguardia nel terrorismo: già nella metà degli anni 2000, sui suoi siti suggeriva di ammazzare gli occidentali a caso, nelle loro città, usando auto lanciate su locali pubblici e gruppi di gente, attaccando a caso con asce, coltelli e qualunque arma. Una lezione che è stata imparata dai nuovi “lupi solitari” della jihad, che hanno colpito a Londra (un soldato sgozzato), a Boston (una bomba rudimentale alla maratona); che è stata imparata anche dall’Isis, che ha rilanciato questo tipo di attacchi, provocando gli attentati di Montreal, Ottawa, New York: attacchi condotti da singoli, con auto (Montreal), fucile (Ottawa) e accetta (New York). Sparisce ogni forma di lealtà militare, sparisce anche la distorta e malata “etica” del terrorista suicida, resta solo il barbaro omicidio, la violenza nuda e cruda, senza più alcun rivestimento retorico, fatta di auto pirata, coltellate, sprangate, gente ammazzata a caso. Un “conflitto” da film dell’orrore, che è appena iniziato e non si sa come andrà a finire.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45