La proprietà privata è il sale del mercato. Senza diritti di proprietà ben definiti e difesi da una magistratura indipendente, è impossibile lo scambio, così come diventa difficilissimo condurre una qualunque attività economica. Ci sono Paesi in cui la proprietà privata è stata abolita, sia legalmente che nei fatti. E’ il caso del Venezuela, per esempio. E altri, invece, dove è garantita al meglio. Ed è il caso della Finlandia, prima nel mondo per la tutela dei suoi cittadini proprietari. L’Italia si trova, all’incirca, a metà strada: al 40mo posto su 97 Paesi recensiti.
A stilare e pubblicare la classifica degli Stati di tutto il mondo, in base al loro rispetto del diritto di proprietà, c’è il Property Rights Index, un progetto della Property Rights Alliance (basata a Washington DC) che, quest’anno, è ospitato dal think tank Cedice, del Venezuela, l’ultimo Paese in classifica. Il Cedice, non a caso, resta probabilmente un caso più unico che raro di centro studi basato sulle idee del libero mercato in un Paese dominato completamente dall’ideologia bolivariana (o socialismo del XXI Secolo). Altre 81 associazioni, da 62 Paesi del mondo, hanno inviato i loro dati e le loro analisi.
Il Property Rights Index (Ipri), il cui autore è l’italiano Francesco Di Lorenzo, misura tutte e tre le componenti fondamentali della tutela della proprietà privata: l’ambiente legale e politico del Paese in questione, la tutela della proprietà sulle cose e quella sulla proprietà sulle idee. “L’Ipri sottolinea il ruolo chiave esercitato dai diritti di proprietà, non solo quale spina dorsale dell’economia di mercato – spiega Lorenzo Montanari, direttore esecutivo della Property Rights Alliance – ma anche come forza propulsiva della crescita economica, sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. I risultati di questo Indice mostrano come vi sia una forte relazione direttamente proporzionale fra la solidità del rispetto dei diritti di proprietà e la performance economica di un Paese, misurata tramite il suo Pil pro capite”.
I risultati, come sempre, sono per certi versi sbalorditivi. Prima di tutto per il posizionamento dei Paesi nord-europei, che noi siamo ancora abituati a vedere come la patria del socialismo. La Finlandia è al primo posto al mondo, come abbiamo visto, la Svezia è seconda, a pari merito con la Norvegia, la Danimarca è decima. Tutta la Scandinavia, dunque, è nella top ten. Ottima la performance di altri Paesi europei, prima di tutto la Svizzera (quinto posto), l’Olanda e il Lussemburgo (settimo), il Regno Unito, Germania e Austria (pari merito all’11mo posto). Gli Usa, forse anche a causa delle due amministrazioni Obama, sono scivolati al 17mo posto. Sempre buono, rispetto al totale dei 97 Paesi recensiti, ma meno rispetto al vicino Canada (che è al nono posto).
Insomma, nella vecchia Europa troviamo ancora la maggior concentrazione di Paesi in cui la proprietà privata è più sicura. Purtroppo, noi italiani siamo in Europa, ma siamo decisamente sotto la media. Siamo, appunto, al 40mo posto nel mondo, a metà strada fra la libertà e il collettivismo. Ma fa ancora più impressione vedere la nostra collocazione in Europa: siamo penultimi. Peggio di noi ci sono solo Grecia, Romania e Bulgaria, a pari merito al 50mo posto della classifica mondiale e ultimi in quella europea.
Uno studio specifico, dedicato all’Italia, effettuato dai professori Cesare Galli (Istituto Bruno Leoni) e Pietro Paganini (Competere), rileva un certo miglioramento nella tutela della proprietà privata, soprattutto di quella intellettuale, che in Italia è ancora poco garantita. Tuttavia emerge un dato molto sconfortante: il 60% del Pil italiano è prodotto da piccole e medie imprese che sono carenti nella registrazione e protezione dei loro prodotti. I motivi individuati dagli autori dello studio sono soprattutto tre: l’ignoranza (legale) dei piccoli e medi imprenditori, gli alti costi della registrazione di un brevetto (sia in termini di costi burocratici che pecuniari) e la carenza di organizzazione del management delle nostre imprese. In pratica: l’economia italiana è estremamente dinamica, innovativa, attrae con il solo fatto di essere Made in Italy, ma è sostanzialmente incapace di proteggersi. E questo fattore va ad aggiungersi ad altri handicap cronici, quali la pesantezza insostenibile della burocrazia, il fisco più esoso d’Europa e la lentezza della giustizia che, per una causa civile, impiega mediamente dai due ai tre anni prima di arrivare a una sentenza.
Consoliamoci guardando alla coda della classifica mondiale. C’è chi vive in società in cui la proprietà privata è ancora meno tutelata. Il Venezuela è ultimo, appunto. Si tratta di un vero e proprio esperimento sociale di nuovo collettivismo. I risultati si vedono: il Paese sudamericano, dopo mesi di scontri sociali, è ora sull’orlo della bancarotta. Vogliamo diventare come loro, o darci una mossa e prendere esempio dai nostri vicini europei del Nord?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:53