Mediterraneo, l’analisi   di Amer al-Sabaileh

Abbiamo incontrato Amer al-Sabaileh, analista politico ed editorialista basato ad Amman, Giordania, in occasione del primo Mediterranean-Gulf Forum tenutosi lo scorso 11 ottobre a Cagliari dove un trenta esperti, senior experts, provenienti da diversi Paesi - compresi Libia, Libano, Emirati Arabi, Giordania e Palestina - si sono confrontati sul tema della “Sicurezza cooperativa e delle crisi regionali"; sullo "Sviluppo socio-economico nel sud del Mediterraneo" e "La via della moderazione e il futuro del Medio Oriente”.

Amer, apprezzato analista – i suoi articoli possiamo leggerli sul suo blog Things to talk about - alla domanda: “Quanto la politica di Obama ha influito sugli attuali disordini mediorientali?”, ha risposto:

Credo che la politica di Obama ha messo in difficoltà tutti: amici e nemici. Le alleanze degli Usa non sono nuove ma nascono da rapporti stretti negli anni, e gli alleati dell’Area sono già rimasti delusi dalle risposte date da Obama all'avvenire delle primavere arabe, quegli stessi alleati che sono spesso criticati dall'attuale amministrazione americana che ha lasciato deteriorare quei rapporti. Obama ha creato confusione. La mancanza di una vera strategia ha provocato gli attuali problemi mediorientali, e soprattutto ha inasprito i conflitti sociali interni i vari Stati, pretendendo la nascita di democrazia alla maniera americana e basata su etnie e religioni. Dunque con questa politica americana, noi, in Medio Oriente, abbiamo iniziato a subire il peso delle dispute tra i vari assetti etnici e religiosi: l’Iraq è un osservatorio speciale di questa situazione, dove i confini etnici e i conflitti religiosi hanno indebolito la coesione nazionale: la questione Yazidi non si era mai posta ad esempio. Ora, a causa del terrorismo e di questa politica instabile degli Stati Uniti, stiamo perdendo l’unità nazionale in vari Stati e assistiamo allo sciogliersi dei confini, alla balcanizzazione dell’Area, con la conseguenza che oltre ad avere problemi di sicurezza dobbiamo far fronte a una nuova crisi: di natura sociale.

Hai parlato di mancanza di nazionalismo, di sovranità nazionale, ci sarà la rinascita di movimenti politici come il vecchio partito arabo socialista Ba’th?

Sicuramente tornerà un movimento di questa ispirazione, certo non simile al Ba’th. Il nazionalismo sta affrontando una crisi seria, per nulla simile a quella vissuta dal Ba’th, più grave; ma cercare di ridisegnare il Medio Oriente con divisioni meramente claniche o religiose è come avere i pezzi di un mosaico e non avere un disegno sul quale posizionarli. Fare guerra al terrorismo è anche aprire un fronte contro vari modelli già falliti nel mondo arabo: modelli culturali, modelli d’istruzione, di integrazione, occorre dunque imparare a gestire al meglio le nostre risorse, soprattutto sociali.

Anche l’Islam è parte del problema…

L’Islam viene strumentalizzato, e come può accadere in qualsiasi altra religione anche l’Islam può essere forgiato per i propri interessi: così la religione diventa un utile mezzo da sfruttare a proprio piacimento seguendo specifici interessi.

Parliamo di Giordania, storico alleato dell’occidente: quali politiche ha messo in campo per arginare il fondamentalismo islamico, per combattere Daesh?

La Giordania è un Paese fondamentale per combattere il terrorismo. Ma è utile unicamente sul fronte sicurezza non è in grado di creare un modello sociale capace di affrontare questo fenomeno. La Giordania è un Paese che esporta terrorismo e anche in gruppi come Daesh ci sono giordani; non ne so fornire un numero preciso, ma la loro presenza dimostra che c’è n’è una produzione [di terroristi] e questo indica un fallimento sociale della nostra nazione. Chi pensa che può legittimare il suo stato politico come strumento fondamentale per combattere il terrorismo sbaglia. Perché la guerra al terrorismo è una guerra che potrebbe durare anche trentanni dal momento che è una guerra non tra fazioni ma una guerra tra culture, e va combattuta soprattutto con le armi dell’istruzione, con i servizi sociali, con la rappresentanza politica, con la certezza di sentirsi un essere umano rispettato, apprezzato, e in tutti gli aspetti della vita. Quanti permessi sono stati concessi dal Re per costruire centri sportivi o culturali ? Invece quanti ne ha stanziati per costruire moschee? Negli anni è stato più facile instaurare alleanze con i religiosi, perché ben organizzati, ma ora stiamo pagando il prezzo di aver scelto questo modello così medievale dove al potere troviamo teologia e dittatura: sai, ad esempio, che certi bambini in varie città della Giordania non possono giocare a calcio se prima non vanno in moschea: perché è la moschea che organizza il torneo di calcio non lo Stato; e questo succede ad Amman, Paese ancora moderato, e non oso immaginare cosa accada in altri Paesi più radicali.

Sicché, oggi è sicuramente efficace fare una guerra contro il terrorismo con i mezzi militari ma domani i militari che sono un tuo prodotto sociale, un frutto della tua società, non garantiranno stabilità, perché, come è successo con gli americani, cercano di farti pensare ciò che loro pensano ma poi ci troviamo noi a vivere e a pagare le loro scelte sbagliate.

Sulla Turchia e i “suoi” Fratelli Musulmani cosa possiamo dire?

La Turchia ha un ruolo ambiguo che mette in dubbio la valida membership Nato dato che è un Paese che ha fatto scelte politiche a favore di terroristi. Non ho nulla contro la Turchia e il modello turco del primo novecento è un modello secolarista dal quale apprendere e insegnare. Ma ora vedo nella Turchia di Erdogan un "hijack" e la Fratellanza musulmana sempre più pericolosa, perché siamo di fronte a una dottrina che proclama di possedere la verità e che, sfruttando la democrazia, predica il ‘se non sei con me sei contro di me’; e poi sono ben forniti, organizzati, attrezzati e questo grazie a una politica che è partita dalla dottrina Eisenhower, quando si erano mostrati come alleati contro tutte le forze progressive influenzate dall'allora Urss, ma tutti i letterati, professori, persone di spicco della società civile sono state sostituite da questi religiosi. Ora i tempi sono cambiati ma ne stiamo pagando ancora il prezzo.

Un'ultima battuta sulla situazione libica

La Libia è il vero centro di potere dei fondamentalisti: lì troviamo tanto petrolio, soldi, armi… Ma l’amministrazione Obama non prende queste cose in considerazione e continua a dire che la priorità è la Siria. La Libia deve far svegliare almeno l’Europa e la Nato. La priorità dell’Europa deve essere la Libia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45