Ma Kobane non è   Srebrenica, è peggio

A Kobane, città del Kurdistan siriano assediata dagli jihadisti dell’Isis, si combatte ormai da tre giorni nel centro urbano. La città potrebbe cadere, come sottolinea anche il capo degli Stati Maggiori Riuniti americano, il generale Dempsey. I raid aerei della coalizione anti-Isis non hanno avuto alcuna efficacia. Manca un coordinamento da terra, gli aerei stentano a trovare i loro bersagli, specialmente adesso che si combatte nelle vie e nelle case. Gli unici in grado di intervenire sono i turchi, appostati a 15 km dalla città. Ma non hanno mosso un dito, almeno fino a ieri sera. L’unica concessione del governo di Ankara è consistita nel permettere l’utilizzo della base Nato di Incirlik, che permetterebbe un tempo di volo più breve per le incursioni aeree statunitensi, ma non sarebbe in grado di ribaltare il rapporto di forze. Kobane sta per diventare una “vergogna, come Srebrenica”, dichiara il diplomatico italiano Staffan de Mistura, inviato dell’Onu per la Siria. In realtà, se cadesse Kobane, sarebbe molto peggio di Srebrenica. Vediamo perché.

Srebrenica cadde nelle mani delle milizie irregolari serbe di Bosnia l’11 luglio 1995. Per due anni era stata un rifugio sicuro per i musulmani bosniaci, nel corso della guerra civile, perché era protetta dai caschi blu dell’Onu. Dal 9 all’11 luglio le milizie serbe attaccarono Srebrenica e la conquistarono. Tre compagnie di caschi blu olandesi, che avrebbero dovuto proteggere la città, non intervennero. Quando i serbo-bosniaci occuparono il centro abitato, massacrarono 5000 musulmani, praticamente tutti i maschi che trovarono dai 12 ai 77 anni di età. Fu un massacro di 8.372 persone inermi e ormai consegnate nelle mani di un esercito nemico. A Kobane non ci sono i caschi blu a vegliare, ma ci sono reparti dell’esercito turco pronti a muovere, che però non si muovono, anche se avrebbero già da due settimane l’autorizzazione politica a intervenire. Nella città c’è un numero ancora imprecisato di civili, almeno 12mila, che potrebbero essere ammazzati tutti. È molto peggio di Srebrenica. E non solo per le dimensioni del possibile massacro, che sarebbero molto maggiori.

Srebrenica non era ai confini dell’Olanda. Kobane è, invece, ai confini della Turchia, ai confini di un Paese membro della Nato. Srebrenica era protetta da olandesi lontani centinaia di chilometri dalle loro basi, che non combattevano sotto il loro comando, ma sotto quello dell’Onu, con un mandato per una missione di peacekeeping e regole di ingaggio molto restrittive. I militari turchi, al contrario, hanno Kobane letteralmente sotto il naso, potrebbero combattere sotto il loro stesso comando e con regole di ingaggio da guerra aperta, contro un nemico a cui gli alleati della Nato (di cui fanno parte) hanno già dichiarato guerra. Nel caso degli olandesi a Srebrenica si può parlare di negligenza. Nel caso dei turchi a Kobane si può solo parlare di deliberata omissione di soccorso. Non è un errore, ma una decisione politica. Tutti i paragoni storici lasciano il tempo che trovano, ma più che al comportamento dei caschi blu a Srebrenica, la decisione turca di stare alla finestra (ad assistere al massacro) si può paragonare alla scelta di Stalin di fermare l’avanzata dell’Armata Rossa su Varsavia, nel 1944, per permettere ai nazisti di massacrare con comodo tutti gli insorti polacchi. Stalin aveva tutto l’interesse a occupare Varsavia senza trovarsi fra i piedi partigiani polacchi armati: aveva già deciso, infatti, di occupare e sovietizzare la Polonia. Con i dovuti distinguo, anche il premier turco Recep Tayyip Erdogan, ha già deciso di intervenire in Siria senza trovarsi partigiani armati curdi fra i piedi, che potrebbero alimentare l’indipendentismo curdo anche sul suo territorio turco. In entrambi i casi, il leader “alleato” avrebbe già deciso di far fare il lavoro sporco al nemico.

C’è un altro motivo per cui Kobane potrebbe diventare una vergogna ancora peggiore di Srebrenica: la pubblicità dei crimini. Nel 1995 i serbi di Bosnia tennero nascosto fino all’ultimo il loro intento genocida. Lo fecero talmente bene che, pure a 19 anni di distanza, c’è ancora una folta letteratura negazionista che smentisce l’esistenza stessa di quel massacro. L’Isis, al contrario, ha iniziato già a pubblicizzare il suo intento criminale (e a compierlo, nelle aree della città che ha occupato) prima ancora di vincere la sua battaglia. Da giorni circolano su Internet le immagini di un massacro già iniziato: teste mozzate, corpi appesi a testa in giù, esecuzioni di massa. I caschi blu olandesi e il governo all’Aja potevano trincerarsi dietro il pretesto del “non sapevamo”. Il comando e il governo della Turchia, al contrario, non possono dire di non sapere. Sanno esattamente quel che sta avvenendo e quel che accadrà sicuramente nei prossimi giorni, se Kobane dovesse cadere.

La responsabilità di questa vergognosa inazione è prima di tutto turca, ma non bisogna dimenticare che la Turchia è inserita in un sistema internazionale: la Nato, prima di tutto. E nessun altro Paese Nato sta muovendosi in modo autonomo. Gli Usa hanno lanciato limitate incursioni aeree. Inefficaci, come si vede dagli esiti. L’Europa è assente. Questa situazione è dovuta a un errore a monte. Kobane, infatti, non è in mezzo al vuoto, fa parte di un Paese, la Siria, in cui si combatte una guerra civile violentissima (i morti sono ormai 190mila) da tre anni e mezzo. In Bosnia c’era un governo legittimo e internazionalmente riconosciuto, a Sarajevo, che poté chiedere l’intervento dell’Onu per aiutarlo a risolvere la propria guerra civile. In Siria non c’è più un governo riconosciuto internazionalmente. Bashar al Assad, infatti, è stato disconosciuto dai due terzi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: Usa, Francia e Gran Bretagna vogliono che lasci il potere. E così anche la Turchia che, a condizione di un suo intervento, pone prima di tutto la cacciata del regime di Assad. Quando in un Paese scoppia una guerra civile ci sono solo due possibili interventi: stare dalla parte del governo (come in Bosnia) o stare dalla parte degli insorti (come in Libia). Nel caso della Siria, le democrazie occidentali non si sono schierate. Hanno dichiarato la loro ostilità ad Assad, ma non sono intervenute a favore degli insorti. Attualmente sono nemiche di entrambe le parti, perché al governo c’è sempre Assad e fra gli oppositori c’è l’Isis che fa la parte del leone. Ne risulta un caos diplomatico e militare da cui è difficile uscire e di cui Kobane potrebbe pagare il conto, come tante altre città siriane (Homs, Hama, Aleppo) negli ultimi anni.

Se Kobane dovesse cadere sarebbe un disastro molto peggiore di Srebrenica. Perché sarebbe la dimostrazione più palese di impotenza della Nato, della sua incapacità di prendere una parte prima ancora che di intervenire. Dall’altra parte sarebbe un manifesto di propaganda jihadista di ineguagliabile valore. Tanti sono gli jihadisti che, già ora, vorrebbero 10, 100, 1000 Kobane anche in Europa, se potessero. Si fa comunque ancora a tempo a intervenire ed evitare questa vergogna. Meglio tardi che mai.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45