Ebola, solo un morto   fa scalpore: un cane

Proteste in Spagna dopo la diagnosi del primo caso di ebola, un’infermiera, Teresa Romero. Per cosa protestano i manifestanti che si sono accalcati sotto la casa della prima infetta in Europa, scontrandosi con la polizia e subendo due feriti? Per un cane. Infatti le autorità sanitarie spagnole hanno deciso di abbattere il cane della paziente numero 1 perché avrebbe potuto (forse) contribuire a diffondere il contagio. Il condizionale è d’obbligo, poiché del virus sappiamo ancora relativamente poco. In ogni caso, se c’è un rischio è meglio non correrlo. E dunque il cane si è deciso di sopprimerlo prima che potesse far danni.

La violenta protesta degli animalisti, nel bel mezzo del panico per il virus più pericoloso e inquietante comparso in Europa da decenni a questa parte, aggiunge un tocco di surrealismo alla paura generale. Nel caso spagnolo, sicuramente, ci sarebbero molti errori contro cui contestare anche più violentemente. Prima di tutto la leggerezza con cui un’infermiera esposta è stata trattata in ospedale. Ha infatti contratto la malattia dopo aver pulito la stanza del missionario Miguel Pajares deceduto di ebola dopo il suo rientro dall’Africa occidentale e il contagio è avvenuto subito dopo che si era tolta la muta protettiva. Il che vuol dire che non erano state testate a sufficienza le misure protettive per lavoratori esposti. Subito dopo il contagio, Teresa Romero ha preso due giorni di ferie. Le è stato ordinato di tener monitorata la sua temperatura corporea e niente di più. Secondo le ultime notizie che arrivano dalla Spagna avrebbe informato l’ospedale di avere la febbre più di 48 ore dopo il giorno del contagio. Il primo pronto soccorso a cui si è rivolta non sapeva che l’infermiera avesse lavorato con pazienti malati di ebola. Lei stessa non lo avrebbe dichiarato subito.

Abbiamo, dunque, lo scenario perfetto da incubo. Attualmente è impossibile stabilire quante persone in Spagna siano già infette. A questo si aggiunga, a livello internazionale, la lentezza con cui l’Oms ha reagito al pericolo, mantenendo un atteggiamento di costante minimizzazione, sia sull’entità che sulla velocità del contagio e stimando al ribasso i tassi di mortalità nelle prime settimane di diffusione dell’epidemia in Africa. Si era detto e ripetuto che, in Europa, con strutture sanitarie decenti, non avremmo corso pericoli. La facilità con cui una lavoratrice sanitaria ha contratto il virus dimostra proprio il contrario. E attendiamo ancora di vedere cosa accadrà negli Usa, dove il paziente numero 1, un liberiamo, è appena deceduto in un ospedale del Texas. Anche in quel caso è impossibile stabilire quanti pazienti siano infetti.

Di motivi di protesta ce ne sarebbero parecchi. Però l’unico motivo per cui attivisti spagnoli scendono in piazza è la morte di un cane. Per altro pericoloso (suo malgrado) perché potrebbe essere veicolo di ulteriore contagio. Secolo che vivi, ideologia che trovi: oggi l’unico motivo per cui è ancora lecito scaldarsi e battersi è l’animalismo. Quando la morte (accidentale) dell’orsa Daniza riceve dal Parlamento italiano più attenzione di un omicidio per mafia; quando il cercatore di funghi ferito da Daniza viene minacciato dagli animalisti; quando Steven Spielberg viene insultato da migliaia di persone online perché pubblica una sua foto a fianco di un triceratopo morto (finto, ovviamente, parte della scenografia di Jurassic Park); quando una ragazza che si cura con farmaci ottenuti grazie alla sperimentazione su animali viene minacciata di morte dagli animalisti; quando i ricercatori medici che praticano la vivisezione vengono inseriti su liste nere appese alla stazione di Milano; quando nel mezzo di un’epidemia apocalittica i morti umani interessano meno dell’abbattimento di un cane, vuol dire che in Europa e America si è diffusa una malattia culturale. Colpisce in modo diverso rispetto a ebola, ma può ammazzare e il suo contagio è ancora più rapido.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:48