Nagorno Karabakh,   riprendiamo il filo

Pregiatissimo direttore de L’Opinione, mi riferisco all’articolo del dott. Romolo Martelloni al quale vorrei, seppur brevemente, rispondere, dopo aver prestata doverosa e attenta lettura sia al suo articolo uscito in data 19 luglio, sia a Il Nagorno Karabakh e la verità dei fatti, pubblicato il giorno 26 dello stesso mese.

Anch’io mi trovo d’accordo nel fatto che il silenzio non giovi per stabilire la verità di quanto realmente accaduto sul Naghorno-Karabagh, ovvero sull’ Artsakh (Արցախ), così come chiamano gli Armeni tale regione. Tuttavia, mi preme rilevare come gli articoli in questione risultino quantomeno “di parte”, fornendo una ricostruzione unilaterale dei fatti, e ciò si evince chiaramente dalle prime battute del testo.

Non si può, invero, negare come viga in Italia, in svariate occasioni, il silenzio stampa, quasi, si potrebbe dire, una censura vischiosa, eppure questo fenomeno non concerne solo ed esclusivamente la questione relativa al Nagorno-Karabagh-Artsakh, bensì anche altri fatti che riguardano “pulizie etniche” avvenute in Medio-Oriente, specialmente quando le vittime sono cristiane. La televisione italiana, per amor di precisione, tace anche su altre questioni, come quella dei Cristiani Caldei, Siri, Assiri dell’Iraq, sull’odio anti-cristiano che si è abbattuto anche in un’altra regione abitata da armeni, il Kessab, in Siria, ove si sono registrate vere e proprie profanazioni contro la Comunità cristiana armena apostolica, cattolica ed evangelica. Là, come in Iraq, il Paese liberato dagli Americani, i cristiani sono stati cacciati e sulle loro case si è dipinta una “N” che sta per “Nazareno”.

Credo che sarebbe stato più utile spiegare, almeno a grandi linee, atteso che, molti, come asserisce l’Autore dell’articolo, non sanno neppure dove si trovi il Naghorno-Karabagh o Artsach, anche le ragioni etniche e storiche degli Armeni che videro assegnare la Regione in questione, massicciamente armena, all’Azerbaigian, da parte di Stalin. Sarebbe stato bene parlare pure di Sumgait, dei massacri subìti dagli Armeni solo perché tali, soprattutto il 27 e 28 Febbraio 1988. I pogrom sopportati da tale popolo o la profanazione di luoghi sacri agli Armeni non sono certo invenzioni o racconti di pura fantasia da parte degli Armeni d’Italia o dell’Europa Occidentale.

Sul punto, chi scrive intende effettuare specifico riferimento alla circostanza tale per cui:

1) Il Naghorno-Karabagh storicamente e geograficamente non ha mai fatto parte della Repubblica dell’Azerbaigian indipendente, nata nel 1991, in quanto nell’anno 1988 essa aveva chiesto l’annessione all’allora repubblica socialista sovietica d’Armenia;

2) Sul caso dell’aeroporto di Khojalu si dà una versione di parte: esso è, in realtà, un villaggio che era stato popolato dalle autorità azere, da turchi meshkheti e da profughi azeri venuti dall’Armenia. Gli Armeni del Karabagh nel 1992 avevano deciso di togliere il blocco di Khojialu per motivi strategici. Poiché da questa località veniva continuamente bombardato il capoluogo del Karabagh. Era stato concesso un corridoio umanitario per i civili che avessero voluto lasciare la zona, ma le autorità azere si opposero alla partenza della popolazione civile, che così fu colpita dal “fuoco amico”. Le versioni dei due Paesi sono discordanti. In ogni caso, l’ex presidente azero Ayaz Mutalibov aveva interpretato l’atto criminale come un tentativo dell’opposizione del Fronte Popolare Azero per renderlo responsabile ed eliminarlo politicamente;

3) L’articolo del dottor Romolo Martelloni tralascia di soffermarsi, poi, sul caso Safarov: a parer di chi scrive sarebbe stato doveroso farlo, atteso che gli italiani, come egli stesso dichiara, non sanno neppure dove si trovi l’Azerbaigian. Nel 2004 Ramil Safarov, un ufficiale dell’Arzerbiagian si trovava a Budapest, in Ungheria, in occasione di un corso organizzato dalla Nato al fine di apprendere la lingua inglese. In data 19 febbraio dello stesso anno, tale persona si introdusse abusivamente nella camera di un collega armeno, assassinandolo a colpi di ascia. La vittima si chiamava Gurgen Margaryan, e poco mancava che non fosse ucciso anche il suo collega di camera Hayk Makuchyan. L’ufficiale azero fu condannato dal Tribunale ungherese, ma l’Ungheria lo estradò nel Paese di origine, purché avesse espiato la condanna (all’ergastolo) in patria. Allorquando Safavorv giunse in Azerbaigian, venne, tuttavia, graziato dal presidente della Repubblica Azera Aliev, addirittura promosso di grado e perfino accolto come un eroe nazionale. Anche la Turchia tacque, pur essendo tradizionalmente alleata dell’Azerbaigian.

Ancora. Il dottor Martelloni tace anche sulla risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2012, nella quale possiamo leggere una nota di biasimo nei confronti della decisione del presidente. Da ultimo, suggerirei al dott. Romolo Martelloni di presentare, seppure a grandi linee, i fatti tragici occorsi a Sumgait nel 1988, cui si è fatto riferimento all’inizio, anziché parlare sbrigativamente di “bande armene”. Senza dimenticare i massacri di armeni a Kirovabad (novembre 1988) e Baku (gennaio 1990).

A parere di chi scrive, risulta oltremodo fastidioso che il Comune di Roma, guidato dal noto sindaco Ignazio Marino, ammesso che ciò sia vero, abbia accettato aiuti per il restauro dei Fori Imperiali da un presidente che si atteggia a “mecenate” in casa altrui, mentre tutti sappiamo o, almeno, dovremmo sapere, che l’Azerbaigian ha tentato di estirpare la cultura armena che si manifesta e tramanda anche grazie alle opere architettoniche. Infatti che senso ha fare il mecenate per il restauro di opere d’arte all’estero, se poi distrugge quelle che sono in territorio azero (come l’antico cimitero armeno di Julfa) per il semplice fatto che sono testimonianza della presenza armena su territori usurpati dall’Azerbaigian.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:43