Il popolo curdo:   la fuga di massa

Sono i terribili avvenimenti internazionali di questi ultimissimi giorni ad imporre il problema dei Curdi all’attenzione generale. Più di 130mila di loro son dovuti scappare dalla Siria, sotto la minaccia dei jihadisti dell’Isis, per rifugiarsi in Turchia. Ed è ancora l’Isis che continua ad infierire, uccidendo, con gas cloro, adoperato nei raid aerei a nord di Falluja, circa 300 soldati iracheni. Il pericolo Isis si allarga. Anche altri gruppi di al-Qaeda si sono uniti agli uomini del Califfato di al-Bhagdadi. Così in Algeria, il gruppo ”Jund al-Khilafah” che ha rapito, a sud di Algeri, un francese, che si trovava là in gita con due amici, minaccia di ucciderlo, come già avvenuto con i due giornalisti americani e con il volontario inglese, impegnato nella cooperazione umanitaria. E vi sono minacce anche per noi: “Conquisteremo la vostra Roma, spezzeremo le croci e faremo schiave le vostre donne, con il permesso di Allah”. E’ una parte dell’appello lanciato dall’Isis in un messaggio pubblicato su twitter, che così prosegue: “Attaccate i civili” e “se potete uccider un miscredente americano o europeo, uccidetelo in qualunque modo possibile”.

Ma è la tragedia curda che sovrasta di gran lunga, e immediatamente, le concrete preoccupazioni. Non è facile, infatti, accogliere, in pochissimi giorni, un così alto numero di profughi: oltre 130 mila!

Vediamo di conoscere meglio questo popolo, tornato all’attualità dopo le rapide conquiste militari, da parte dell’Isis, in Iraq e in Siria. Sono circa 35 milioni e sono frammentati in quattro Stati differenti perché, verso la fine della prima guerra mondiale, un accordo franco-inglese, non volendo, per motivazioni coloniali, creare uno stato curdo, li ha sparpagliati nel nord dell’Iraq, nell’est della Siria, nel nord-ovest dell’Iran e nell’est della Turchia.

Oggi sono circa 15 milioni in Turchia (cioè il 20 % della popolazione turca), circa 7 milioni in Iran (il 9 % della popolazione iraniana), 5 milioni in Iraq (18 % della popolazione irachena) e 2 milioni in Siria (9 % della popolazione siriana). Diaspore molto numerose si trovano nei paesi ex-Urss, in Europa, negli Usa e in Australia.

Spesso viene usato il termine Kurdistan (= il paese dei Curdi), ma il Kurdistan in quanto Stato unificato, dalle frontiere riconosciute, non esiste proprio. I Curdi sono un grande e numeroso popolo, ma non hanno nessuna patria comune.

E’ nel X secolo che incontriamo, nei documenti scritti, i primi regni curdi indipendenti. Se ne parla nella monumentale opera “Charafnameh o i fasti della nazione curda”, del 1596., che ci racconta di un popolo curdo che cerca la sua unità. Il sentimento di appartenenza a un popolo, è forte; la coscienza della “curdità”, è molto antica: sono una popolazione autoctona del Vicino Oriente, che si considera discendente dai Medi dell’antichità. La loro identità non si basa sulla religione (anche se l’80 % è musulmano sunnita, di tendenza shiista; i cristiani sono solo circa 350 mila) ma sulla lingua (i dialetti parlati, anche se differenti, sono comprensibili da tutti) e sugli elementi culturali.

Dopo la prima guerra mondiale, i vincitori franco-inglesi ridisegnano nuove frontiere sulle rovine dell’Impero ottomano. Ai Curdi viene promesso uno stato indipendente. Il trattato di Sèvres (1920) parla di “un territorio autonomo dei Curdi” nel sud-est dell’Anatolia. Promesse ripetute tre anni dopo nel trattato di Losanna. Poi, invece, i Curdi si vedono dispersi tra Turchia, Iran, Siria (allora protettorato francese) e Iraq (allora protettorato inglese).

Sono ben conosciute, a partire dal 1924 e fino al 1931, le ondate d’insurrezioni curde in Turchia. Così come, dal 1925, quelle dei Curdi dell’Iraq. Per opporsi agli Stati che negano la loro identità, nascono, dopo la seconda guerra mondiale, movimenti d’indipendenza, un po’ dappertutto: in Iran nel 1945, in Iraq nel 1946; i più forti, però, sono quelli della Tirchia.

Le repressioni (proibizione della loro lingua, dei loro costumi, delle loro associazioni, dei loro partiti, il cambiamento dei loro cognomi e l’arabizzazione dei loro villaggi) hanno rafforzato il loro sentimento nazionale, pur se accompagnate da deportazioni, imprigionamenti e torture.

Anche se la comunità internazionale era, ed è, ostile al loro progetto d’unità e d’indipendenza (l’unico paese favorevole è sempre stato Israele), per la paura di cambiare le frontiere ereditate dall’ordine coloniale, non sono mancati forti movimenti insurrezionali. Il PKK, negli anni ’80, in Turchia, e nel 1988 in Iraq, dove si è arrivato all’uccisione di circa 5.000 persone, con i gas tossici, da parte del regime di Saddam Hussein.

Dopo la caduta di Saddam Hussein, nel 2003, i Curdi iracheni hanno ottenuto l’autonomia, con uno statuto federale, riconosciuto dalla Costituzione. Il loro governo regionale, presieduto da Barzani, dispone di proprie forze armate e l’esercito iracheno non è autorizzato ad entrare in territorio curdo. I Curdi iracheni, inoltre, possono negoziare contratti petroliferi con le compagnie straniere ed esportare autonomamente il loro petrolio.

Questa nuova situazione positiva dei Curdi dell’Iraq, però, è stata stravolta dall’avanzata dell’esercito del nuovo Califfato dell’Isis, che controlla buona parte del nord-ovest dell’Iraq, oltre che, ormai, anche quella del nord-est della Siria. Sono proprio i territori abitati dai curdi iracheni e siriani. Prima abbiamo visto le scene strazianti di vecchi e bambini curdi iracheni che scappavano a piedi sui monti Sinjar e dalla piana di Mossul, ora vediamo l’esodo biblico dei curdi siriani che si riversano in Turchia. Sono questi curdi (esattamente i peshmerga dell’Iraq e quelli del PKK di Turchia e Siria) che combattono contro le truppe dell’Isis, e che vengono riforniti di armi e munizioni, non solo dagli Usa, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Germania, ma ora anche dall’Italia.

I Curdi armati dai paesi occidentali, sono diventati i principali attori nella lotta contro l’Isis. Questo imporrà, nel futuro, più o meno immediato, delle contropartite. Così i Curdi iracheni di Bazzani si attendono di vedere riconosciuto l’enorme sforzo contro le milizie dell’Isis, con il riconoscimento dell’estensione del proprio territorio sulle terre conquistate all’Isis, nella controffensiva contro di loro, anche se, ad oggi, soprattutto Usa e Germania, vi si oppongono. Non si tratta solo di autonomia da Bagdad, ma si aspira anche all’indipendenza, che si vuol chiedere con un referendum convocato allo scopo. In tutto questo, c’è in gioco anche il petrolio, di cui quella parte dell’Iraq, che passerebbe poi ai curdi, è ricco.

Una volta ottenuta l’indipendenza, i curdi iracheni non potrebbero che calamitare l’interesse di tutti gli altri curdi, specialmente quelli siriani e turchi: rinascerebbe l’idea di ricostruire “il grande Kurdistan”. Ovviamente, non è da dubitare, che i paesi contigui, specialmente la Turchia, principale interessata, non starebbero a guardare. Anche i curdi del PKK turco, che hanno iniziato già ad istallarsi in Siria, guardano con una qualche apprensione l’egemonia dei curdi iracheni all’interno dell’universo curdo: i turchi-siriani del PKK, infatti, pensano a uno stato laico e di stampo socialista moderato, mentre vedono nei curdi iracheni uno stato, certo ricco, a causa del petrolio, ma di tipo paternalista perchè basato sui clan.

Da qui si fa strada, anche presso alcuni gruppi di curdi, l’idea che il progetto dell’unità di tutti i curdi e della loro indipendenza, non è necessariamente la soluzione migliore. Forse sarebbe da preferire, almeno per il momento, una forte autonomia da realizzare da ciascuna minoranza curda, all’interno di ciascuno dei quattro Paesi presso cui essi risiedono.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44