Referendum, in Scozia   con il fiato sospeso

Oggi si vota in Scozia, per decidere se il Regno Unito continuerà ad essere tale, o se sarà diviso nei regni di Inghilterra e Scozia. Dopo tre secoli e sette anni di unione, l’isola della Gran Bretagna potrebbe essere costituita da due stati indipendenti, anche se ancora uniti dalla stessa corona. Fino alle ultime settimane di campagna referendaria, questa ipotesi sarebbe stata da escludere: il voto per il No alla secessione ha sempre superato il Sì, nelle intenzioni dei futuri elettori, di una ventina di punti percentuali, in media. Solo nelle ultime settimane, man mano che gli indecisi iniziavano a esprimere la loro opinione, si è scoperto che il confronto è testa a testa. Non è neppure sicuro che le intenzioni espresse corrispondano al voto. È infatti la prima volta che i cittadini scozzesi si esprimono per una scelta così drastica, questo voto non ha precedenti. È dunque assolutamente impossibile fare pronostici.

La campagna per il No ha intensificato il volume di fuoco, con un tour de force di tutti e tre i leader dei grandi partiti britannici: David Cameron, premier e leader dei conservatori, Nick Clegg, liberaldemocratico, Ed Miliband e Gordon Brown (l’attuale leader laburista e l’ex premier) sono, questa volta, tutti dalla stessa parte della barricata, a favore dell’unione. Tremano i laburisti, che potrebbero perdere un bacino elettorale di prima grandezza: la Scozia è sempre stata una loro regione sicura, come l’Emilia e la Toscana lo sono per la nostra sinistra. Tremano i conservatori e i liberaldemocratici, perché il loro governo potrebbe passare alla storia come quello che ha posto fine a un’unione che dura dal XVIII Secolo.

Gli argomenti della campagna per il No sono storici, culturali, economici e, ultimamente, anche militari. A parte il retaggio storico (tre secoli di storia comune, guerre combattute e vinte assieme, simboli e feticci culturali come il kilt, la cornamusa e il Whiskey che ormai fanno parte della cultura britannica e non solo scozzese), l’argomento economico è quello che ha tenuto banco sui quotidiani britannici in quest’ultima settimana prima del voto. Paradossalmente l’Inghilterra guadagnerebbe da una secessione scozzese. Non se ne va la regione più ricca, come potrebbe essere la Catalogna fuori dalla Spagna, ma quella più povera. Il contributo netto dell’Inghilterra alle finanze del Regno è decisamente superiore a quello scozzese: nella bilancia fra dare e avere, la Scozia riceve molto più di quello che dà. Londra, dunque, si pone nella posizione del governo “altruista” e avverte i sudditi scozzesi che, in caso di indipendenza, riceveranno meno aiuti, meno welfare, meno sussidi. E soprattutto, dovranno pagare tutto da soli. La prospettiva dei nuovi giacimenti petroliferi nel Mare del Nord, su cui conta il primo ministro scozzese Alex Salmond, è un incerto. La perdita del welfare di Londra è certa. Anche le istituzioni finanziarie stanno facendo pressing per il no. La notizia più eclatante è trapelata dalla Royal Bank of Scotland che ha fatto sapere di voler trasferire armi e bagagli a Londra, in caso di vittoria del Sì al referendum. Ci si mette pure la Deutsche Bank, con un’analisi pubblicata da David Folkerts-Landau, il capo economista della banca tedesca: avverte che una secessione provocherebbe una “austerità senza precedenti”. Landau, un keynesiano, avverte che l’indipendenza equivarrebbe all’errore commesso dalla Fed nel 1929 quando non emise più liquidità per far fronte alla crisi. La Thatcher, autrice della grande stretta creditizia dei primi anni ’80 che fu alla base della grande ripresa successiva, gli darebbe torto. E probabilmente anche gli scozzesi non seguiranno i suoi consigli.

La difesa nazionale è l’argomento principale degli ultimissimi giorni di campagna. A colpi di lettere aperte, pubblicate sui maggiori quotidiani, i generali in pensione e gli eroi della Seconda Guerra Mondiale delle due parti si stanno sfidando. L’ultima lettera, pubblicata ieri, appartiene al fronte del No. La campagna per l’Unione è stata sottoscritta da 400 militari, fra cui 14 generali in pensione e 11 eroi del 1939-45. Dalla parte scozzese, invece, spicca un veterano ultra-centenario, Jimmy Sinclair che combatté nella campagna del Nord Africa contro gli italiani e i tedeschi. L’argomento dei militari indipendentisti è la continuità: anche separati, scozzesi e inglesi continueranno a combattere per la regina e per la democrazia. L’indipendentismo non mette in discussione l’appartenenza alla Nato, né il ruolo della Scozia quale baluardo del Nord Atlantico, posizione fondamentale nelle due guerre mondiali e nella guerra fredda. Il fronte del Nord, al contrario, sottolinea i pericoli di una divisione. Nella lettera aperta degli ex generali al popolo scozzese, si legge che una separazione della Scozia costituirebbe un grave indebolimento della difesa britannica e un momento di caos nell’esercito, che finora è stato addestrato come un unico corpo.

Alla fine saranno gli elettori a decidere. Solo domani potremo sapere quale è l’esito. Ma nessuno pensa a una catastrofe. Giustamente: si è trattato di un dibattito aperto, democratico e libero, senza violenza, senza intimidazioni, senza minacce di far scorrere il sangue per le strade. Possiamo già scommettere che, qualunque sia l’esito del voto, non assisteremo a una Jugoslavia nel Nord Atlantico. In caso di secessione, il Regno Unito finirà come, 21 anni fa, finì la Cecoslovacchia: ciascuno per la sua strada.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49