Le crisi “secondarie” e i patti col diavolo

Il vertice della Nato nel Galles non riguardava la sola Ucraina, anche se la crisi europea ha chiaramente dominato il dibattito ed ha avuto il più ampio riflesso sui media. La crisi in Iraq non è da meno. Da un punto di vista della sicurezza, ci riguarda molto più da vicino rispetto all’Ucraina, nonostante l’apparente lontananza geografica. Gli jihadisti occidentali andati a combattere sotto le bandiere nere sono pronti a tornare e a portarci la guerra in casa. L’unico confine Nato direttamente interessato è quello della Turchia, ma la lontana Gran Bretagna e l’ancor più lontana America sono direttamente interessate allo jihadismo di ritorno.

Eppure, anche questa volta, l’Iraq è stato trattato come un argomento secondario, non del tutto pertinente alla Nato e risolvibile unilateralmente dalle nazioni membro dell’Alleanza. Barack Obama si è detto disponibile a sostenere quei governi che volessero intervenire con un’azione coordinata nel nuovo teatro d’operazioni mediorientale. Il vertice della Nato ha sottolineato che la costituzione di un nuovo corpo di reazione rapida non riguarda solo il teatro di operazioni post-sovietico, ma anche “altri scenari”. L’Alleanza, inoltre, può di nuovo offrire mezzi e addestramento all’esercito iracheno, quando il governo di Baghdad lo dovesse richiedere. Infine è sul tavolo l’ipotesi di un intervento aereo congiunto, oltre all’invio di nuove armi ai Peshmerga curdi.

“La Nato si trova davanti alla minaccia di Isis ma ha molte carte per prevalere” - dice l'ammiraglio James Stavridis, che fino a maggio è stato Comandante Supremo della Nato, in un'intervista a La Stampa. I Paesi dell'Alleanza, sottolinea, hanno “opzioni nazionali”, con “l'invio di armi ai Peshmerga curdi nel Nord, alle forze irachene nel Sud o compiendo raid aerei nell' Ovest”, e opzioni collettive, con il centro di addestramento Nato che operava a Baghdad fino al termine del 2011 e che, “dovrebbe essere non solo riaperto ma affiancato da un analogo centro nel Kurdistan iracheno, per aiutare le truppe curde ad essere più efficaci contro i jihadisti”. Stavridis vede “realizzabile” anche l'ipotesi di raid aerei in Siria: “la disposizione sul terreno delle forze di Isis le rende vulnerabili agli attacchi anche in Siria”. Nel caso questi dovessero essere approvati, si salterebbe anche la fase di consultazioni preliminari con il dittatore Bashar al Assad: l’intenzione è quella di bombardare direttamente, anche in territorio siriano, quando sarà necessario.

Nel frattempo, però, gli Stati Uniti stanno trattando anche con l’Iran. Per la prima volta, infatti, la Repubblica Islamica ha un interesse comune con gli Usa: entrambi sono nemici dell’Isis. Lo stesso ayatollah Alì Khamenei, con una presa di posizione storica, ha permesso ai suoi ufficiali contatti con gli Stati Uniti per coordinare le operazioni in Iraq. Dopo un decennio di crisi nucleare, round di sanzioni uno dopo l’altro, il regime dei mullah diventa “amico”? È difficile capire fino a che punto Khamenei, che tiene le chiavi sia del programma nucleare che delle attività all’estero della Guardia Rivoluzionaria, possa far pagare questa sua offerta di collaborazione. Chiederà di sacrificare gli interessi di Israele, cosa su cui Obama sarà più che disponibile. O di poter completare il programma nucleare (con cui distruggere Israele), spacciandolo, come finora ha fatto, come un progetto meramente energetico e pacifico. Su scala più ridotta potrebbe chiedere di dare piena legittimità al controllo degli Hezbollah sul Libano. O di contribuire alla piena restaurazione della dittatura di Bashar al Assad in Siria. O elementi di tutte queste cose messe assieme.

Questo disinteresse della Nato al problema dell’Iraq, unito all’interessamento americano ad una inedita cooperazione con l’Iran khomeinista, sono entrambi segnali del nuovo isolazionismo americano. È un “ci pensino loro” che dovrebbe preoccuparci. Non essendoci più l’interesse a creare un ordine regionale favorevole nel Medio Oriente, ma solo a colpire quelle che sono percepite come le minacce più immediate (e non importa assieme a chi), si affronta con calma la minaccia dell’Isis e si finisce per dare carta bianca agli iraniani. I patti col diavolo si pagano. Sempre. L’alleanza con Stalin ci regalò mezzo secolo di guerra fredda. Con l’Iran potrebbe divampare di nuovo la crisi nucleare, non appena il regime di Teheran avrà i mezzi per farlo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50