La crisi ucraina: teatro dell’assurdo

Le cancellerie dei Paesi aderenti alla Nato valutano di mandare truppe d’intervento rapido nei Paesi dell’Europa orientale, nella prospettiva, giudicata realistica, di un’invasione russa delle repubbliche baltiche, successiva alla presa dell’Ucraina. Circola voce di un rapporto segreto preparato dagli esperti dell’Alleanza Atlantica secondo il quale la caduta di Kiev nelle mani dell’esercito russo sarebbe questione di ore. Probabilmente il dossier è stato messo in circolazione ad arte per spingere l’Ucraina a concordare, sul fronte delle operazioni militari, una tregua con Mosca.

Se l’accordo raggiunto in queste ore tra Poroshenko e Putin riuscisse a tenere, sarebbe una buona notizia. Consentirebbe di raffreddare il clima che, alla vigilia della riunione dei 28 Paesi aderenti alla Nato, si è fatto incandescente. Servirebbe un drastico calo della temperatura, lo sa bene chi ha sufficiente lucidità per comprendere che l’Occidente, nella vicenda ucraina, ha imboccato una strada sbagliata. Con il pretesto di fronteggiare l’aggressività di Mosca si è fatto di tutto per ricreare le condizioni dei tempi della guerra fredda. Peggio.

Nei decenni passati erano in campo uomini politici di spessore, che avendo conosciuto di persona gli orrori di un conflitto mondiale, si guardavano bene dal provocare con la controparte rotture insanabili. L’obiettivo principale per tutti loro era il mantenimento degli equilibri strategici, soprattutto nel quadrante europeo, consapevoli che, visti i precedenti storici, fosse quello l’epicentro delle deflagrazioni più pericolose. Un tempo si diceva: “Se cade l’Europa, crolla il mondo”. Ed era vero. Oggi l’errore più grave commesso dagli occidentali è stato di accettare che il neo presidente ucraino, Poroshenko, mandasse i carri armati e i bombardieri, non i negoziatori, a risolvere il conflitto interno al proprio Paese?

Era chiaro che così non si volesse pacificare l’Ucraina. L’Occidente ha valutato che contrastare le politiche espansive della Russia verso Ovest dovesse essere obiettivo prevalente rispetto alle problematiche che un’azione di polizia interna all’Ucraina avrebbe potuto generare. Ciò ha condotto la controparte russa a ritenere che, dietro il progetto di Kiev di pulizia etnica nella regione del Donbass, abitata in maggioranza da persone di etnia russa, vi fosse il placet degli occidentali. Già le elezioni presidenziali di maggio avevano determinato un vulnus nella giovane democrazia ucraina. Si era preferito ignorare il fatto che una porzione consistente di popolazione non avesse partecipato a quelle consultazioni.

Eppure, data per valida quella elezione, le potenze occidentali avrebbero dovuto pretendere dal neo eletto presidente che attivasse immediatamente un negoziato per giungere alla riforma costituzionale dello Stato in senso federale. Ciò avrebbe permesso alle regioni del sud- est del Paese di vedersi riconosciuta un’adeguata autonomia giuridica e amministrativa. Quando la situazione è precipitata il club dei Paesi occidentali ha pensato bene che si potesse usare il pugno di ferro contro i separatisti filo-russi del sud-est ucraino, contando sul fatto che Mosca, spaventata dalle minacce delle sanzioni economiche, non avrebbe mosso un muscolo per aiutarli. Le sanzioni sono state uno spaventoso boomerang. A pagare il conto più salato, al momento, è il sistema produttivo italiano. Dèjà vu. Si voleva isolare la Russia, invece si è favorito lo spostamento dell’asse portante dei suoi interessi verso est, in direzione dei mercati asiatici, in particolare della Cina e dell’India.

In questo scenario da incubo, i rappresentanti del governo italiano si sono dileguati. Renzi, dopo aver ricevuto il contentino della nomina della Mogherini ad Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza della Ue, sa di non potere chiedere altro ai partner europei. Chi ha parlato, invece, è stata la presidente della Lituania, Dalia Grybauskaite. La signora, giunta a Bruxelles per il vertice Ue del 30 agosto scorso, ha dichiarato: “La Russia, nell’attaccare l’Ucraina che ha chiesto l’adesione all’Unione europea, è in uno stato di guerra contro l’Europa”. Roba da matti!

Con tutto il rispetto per la Lituania, ma si può pensare che un Paese del nord, con una popolazione di numero più o meno pari a quella della nostra Toscana, ci conduca per mano nel bel mezzo di un conflitto con la Russia, mentre sul fronte meridionale gli jihadisti del terrorismo islamico, assiepati a un tiro di schioppo dalle nostre coste, si stanno preparando a chiudere il conto con l’odiato nemico occidentale? Il nostro Governo condivide le deliranti affermazioni della signora Grybauskaite? Davvero Renzi pensa che la strada giusta per l’Italia sia di essere coinvolta in un confronto bellico con la Russia? Dovremmo forse rinnegare l’amicizia con quella stessa nazione con la quale, negli ultimi venti anni, sono stati intessuti proficui rapporti economici e strategici, perché ce lo chiedono la Lettonia, l’Estonia, la Lituania e, forse, la Polonia? Se è così Renzi lo dica chiaramente.

La scelta di fare la guerra a un Paese amico fino a qualche mese orsono è molto impegnativa per qualsiasi governo. A maggior ragione lo è per chi non abbia ricevuto un’investitura diretta dall’elettorato. Sarebbe opportuno, dunque, se, prima di mandare le nostre truppe in giro per la frontiera orientale, si tornasse alle urne per chiedere direttamente al popolo italiano quale sia la sua volontà.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46