La nuova Era della   Turchia di Erdogan

Giovedì 28 agosto, Recep Tayyip Erdogan ha giurato come nuovo Presidente della Repubblica della Turchia. Uscito trionfante alle elezioni del 10 agosto, le prime elezioni presidenziali a suffragio universale diretto nella storia del paese, Erdogan, 60 anni, ha messo a segno l’8° successo elettorale consecutivo in 12 anni, diventando il nuovo capo dello stato. Il premier islamista uscente ha ottenuto il 53% dei voti, contro il 37% del principale candidato dell’opposizione, il conservatore Ekmeleddin Ihsanoglu, e il 9% del leader curdo Selahattin Demirtasè.

Il mandato presidenziale durerà cinque anni e potrà essere rinnovato per un secondo termine che consentirebbe a Erdogan di rimanere al potere fino al 2024, permettendogli di festeggiare il 100° anniversario della Turchia moderna nel 2023 e passare quindi alla storia come il leader più longevo del suo paese, sorpassando Mustafa Kemal Ataturk, fondatore e primo presidente della Turchia moderna dal 1923 al 1938.

Nel suo discorso di investitura, disertato dai deputati dell’opposizione che hanno abbandonato per protesta il parlamento, il neo eletto presidente ha promesso di costruire una nuova Turchia, con l’approvazione di una nuova costituzione che darà poteri aggiuntivi al capo dello Stato, sul modello francese, e l’avvio di un piano di sviluppo economico molto ambizioso. Al riguardo, Erdogan ha spiegato che vuole portare avanti un programma di costruzione di grandi infrastrutture tra cui il nuovo mega aeroporto di Istanbul, un nuovo canale navigabile sul Bosforo, per deviare il passaggio delle navi, e una rete ferroviaria ad alta velocità che colleghi l'intero paese.

Erdogan ha chiarito di voler esercitare un reale potere esecutivo come presidente, dopo essere diventato il primo capo di Stato eletto a suffragio universale. I suoi predecessori nel palazzo presidenziale Cankaya di Ankara, da ultimo il suo ex alleato Abdallah Gul, avevano avuto, come dettato dalla costituzione in vigore, un ruolo largamente protocollare.

Alla cerimonia di insediamento, sono intervenuti capi di stato provenienti da una dozzina di nazioni dell’Europa dell'Est, dell’Africa, dell’Asia centrale e del Medio Oriente, mentre di bassissimo livello sono state le delegazioni in rappresentanza degli Stati Uniti e dei principali paesi europei occidentali, quasi a voler prendere le distanze da possibili derive autoritarie di Erdogan.

La vittoria di Erdogan è stata possibile grazie al forte consenso che egli gode presso i ceti medio reddito, musulmani devoti e conservatori, in particolare della Turchia centrale e dei distretti più poveri di Istanbul, che hanno prosperato sotto il suo governo. La componente più laica dell’elettorato turco, in particolare, i residenti della costa occidentale e i ceti più benestanti hanno invece sostenuto il candidato dell’opposizione in funzione anti-islamista.

Il 2013 e parte del 2014 era stato per Erdogan l’annus horribilis dal marzo del 2003, quando venne eletto per la prima volta Primo Ministro. Istanbul era stata scossa da proteste di massa innescate dal piano dell’amministrazione cittadina, appoggiata in prima persona da Erdogan, di costruire un centro commerciale a Gezi Park, uno degli ultimi spazi verdi nel centro della città; la dura repressione della polizia, con vittime tra i manifestanti, aveva provocato ulteriori manifestazioni, estese in altre parti del paese, in un grido generale di rabbia dei turchi laici verso la politica messa in atto dal Premier e dal suo partito islamista, l’AKP.

Ai fatti di Gezi Park, era seguita la denuncia di gravi corruzioni di esponenti di spicco del Governo e del Partito di Erdogan che avevano lambito lo stesso premier e la sua cerchia più ristretta. Erdogan aveva risposto con dure epurazioni negli alti gradi della polizia e delle forze armate che avevano fatto temere rischi di colpi di stato e di un conflitto civile in Turchia. Anche gli ultimi eventi internazionali avevano scosso la politica estera pan-araba e filo-islamista di Erdogan e del suo fedelissimo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu. La Turchia era stata in prima linea nel sostegno delle primavere arabe in Egitto, Libia e Siria, a fianco dei movimenti dei fratelli musulmani, a cui si ispira il partito di Erdogan. La caduta di Morsi in Egitto, dove l’Ambasciatore turco è stato dichiarato persona non grata dal governo del generale al-Sisi, il disgregamento della Libia e il recupero sul campo di Bachar El Assad contro gli insorti hanno minato l’attivismo diplomatico turco. L’avanzata dell’Esercito islamico in Iraq e nel Levante ha poi ulteriormente complicato il quadro generale; dallo scorso giugno una cinquantina di turchi sono stati sequestrati dai guerriglieri islamisti in Iraq nelle aree di frontiera con la Turchia. Il governo di Ankara ha posto uno strettissimo riserbo sulla vicenda, della quale hanno scritto solo pochi organi di stampa di opposizione.

Erdogan ha voluto comunque premiare Davutoglu che è stato nominato nuovo Primo Ministro turco. Sarà lui a guidare il partito AKP alle elezioni politiche del 2015 e a preparare la riforma della costituzione in senso presidenziale.

Voluto da Erdogan a capo della diplomazia turca nel 2009, Davutoglu, che è stato anche eletto presidente del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) al posto di Erdogan, dimessosi dopo l’elezione al vertice dello Stato, è stato professore di Scienze Politiche all’Università di Istanbul prima di diventare esponente di spicco del Partito islamista di Erdogan. Da ministro ha posto una particolare attenzione sul rilancio delle relazioni della Turchia con i paesi del Medio Oriente, sulle linee dell’eredità ottomana. “Noi siamo i nuovi Ottomani” arrivò a dichiarare Davutoglu in un discorso pubblico nel 2009.

Grazie al suo attivismo, la Turchia ha guadagnato spazi commerciali importanti in tutti i paesi arabi, con grandi benefici per le aziende turche e afflusso di investimenti arabi in Turchia ed è diventata uno degli attori principali nello scacchiere medio-orientale. Il professor Davutoglu dovrà ora dare prova di grande diplomazia e abilità, in casa e all’estero, nel governare questa difficile fase di transizione e portare il paese, in un clima arroventato da polemiche e accuse reciproche tra i diversi schieramenti politici, alle elezioni politiche del 2015. Erdogan conta su di lui per poter realizzare i suoi ulteriori sogni di gloria di diventare il Sultano della Turchia del XXI secolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44