Lentamente   di Isis si muore!

“Nemo profeta in patria”. Vale anche per me. Da molti anni parlo del rischio di una nuova “crociata” in terra araba e musulmana. In un mio editoriale dell’aprile 2004, dal titolo profetico (“La Crociata del XXI sec”), sostenevo che il fanatismo islamico sarebbe stato il vero boia dell’Occidente. Per colpa, soprattutto, nostra e di quel morbo inguaribile del “Relativismo” contemporaneo, che rende il nostro mondo, di fatto, incapace di fissare un netto discrimine tra un’idea-valore, da un lato, e la sua versione antagonista, dall’altro. L’Islam, invece, non risente di questa limitazione. La sua linea dell’orizzonte separa chiaramente il cielo, costituito dal paradiso di Allah, e la terra sottostante -da purificare con ogni mezzo-, abitata dal popolo dei miscredenti, che vanno sottomessi, o convertiti. Dieci anni fa, rimarcavo come la sfida del fondamentalismo rassomigliasse sempre di più (c’erano state le Twin Towers, l’Afganistan, l’invasione dell’Iraq e una scia ininterrotta di attentati suicidi, in cui avevano già perduto la vita centinaia di migliaia di innocenti) a una “guerra globale”.

Questo scenario traeva la sua ragion d’essere dal fatto che noi, i cristiani, e loro, i musulmani, siamo presenti in tutte le aree del globo, e ci contiamo a miliardi. In tal modo, l’allargamento delle aree di conflitto era del tutto scontato, a partire dalla sfida qaedista, lanciata da Bin Laden, con il suo sogno nero del neo Califfato. L’odio mortale contro l’Occidente secolarizzato (e verso gli ebrei di Israele, considerati il Cavallo di Troia degli Usa in Medio Oriente) la considero una lebbra invincibile e inarrestabile, soprattutto in quelle vaste aree, dove sono presenti, in forma minoritaria o maggioritaria, comunità musulmane, con al loro interno forti organizzazioni radicali jihadiste. Proprio questo carattere di “adiacenza” planetaria, tra occidentalismo e integralismo, rappresenta un innesco senza fine, che moltiplica i bersagli possibili, in America, in Europa, e ovunque vi sia un nesso tangibile con l’Occidente. Uno dei modi privilegiati di penetrazione capillare di questa minaccia islamica è rappresentato, ovviamente, dalle recenti, forti ondate immigratorie, in provenienza dai Paesi mediorientali, sconvolti dalla guerra civile, come Libia, Irak e Siria (ed Egitto). Sul vecchio Continente si stanno riversando gli sconfitti di Assad e dei governi provvisori di Bagdad e Tripoli, e molti tra di loro vantano una sicura fede fondamentalista.

Fin dove arriva questo odio? Una cosa deve essere chiara a tutti: i confini dell’empietà che noi abbiamo conosciuto e regolato (vedi Convenzione di Ginevra) in passato sono, oggi, tutti saltati. Il ritorno alla pratica della decapitazione, dell’umiliazione estrema del vinto, con esecuzioni di massa e riduzione in schiavitù, per donne e bambini (che, per la leva jihadista, sono arruolabili soldati, dai dieci anni in su!), sono il frutto della predicazione estrema, torquemadiana, per dire al mondo che la Morte Nera si prenderà tutto ciò che ritiene essere suo, di diritto. E sue sono le terre abitate dai musulmani sunniti mediorientali, innanzitutto. Perché i confini odierni sono stati tracciati, in astratto, sulle carte geografiche dell’epoca, con un atto incosciente di imperio, dalle ex potenze coloniali, spezzettando alla rinfusa clan, etnie, tradizioni e credenze religiose. Sappiate che l’Occidente perderà tutte le guerre contro lo jihadismo. Come ha fatto in Afganistan e in Iraq. Perché, per vincere, non può usare nessun altro principio di deterrenza (a che serve l’atomica, contro le tribù che si sono schierate con l’Isis?), che non sia lo scontro diretto, armi in pugno (esattamente come ai tempi delle crociate dell’XI e del XIII sec.), tra i miliziani e le nostre truppe regolari.

Ma, in questa nuova guerra mondiale, l’Occidente dovrebbe essere disposto a sacrificare centinaia di migliaia di soldati, per una causa che, in fondo, riguarda il mantenimento del controllo di un territorio - praticamente - desertico. Perché, alla fine, stiamo tutti lì (il Papa, in primo luogo) a negare che si tratti di una guerra di religione, auto assegnandoci l’obiettivo limitato di “fermare” la minaccia di un pugno di terroristi assassini. Mi spiace, ma non credo che sia così. L’Isis, o chi per lui, sia per l’oggi, che per il domani, rappresenta un magma ideologico-religioso caldissimo. Quell’ondata unnica, oggi, può essere, forse, arginata temporaneamente in superficie, ma la sua parte principale, attiva nel sottosuolo, si ripresenterà sempre all’improvviso, in mille forme diverse, con mutazioni sempre più virulente. Questo perché le masse che lo alimentano sono mosse da un sogno, per così dire, “non secolarizzato”: la ricostruzione del Califfato e del suo dominio sul Vecchio Continente. Paradossalmente, in questo scenario, l’America può vivere, per ora, sogni tranquilli, grazie all’oceano che ci separa! Ma non per molto: se il Califfato divenisse il nuovo regno di Maometto, per la Casa Bianca si riproporrebbe uno scenario iraniano, grazie alle immense ricchezze petrolifere destinate a cadere sotto il controllo dei radicali! Nel breve periodo, è sensato attendersi un rosario senza fine di attentati, un po’ in tutti i capisaldi urbani dell’Occidente. Potremo reagire, come facemmo in Irak e Afganistan, inviando truppe di terra nel... Califfato. Dopo di che, tuttavia, saremo costretti a ripercorrere il calvario di Bagdad e di Kabul, con forze di occupazione occidentali logorate, sfibrate e costrette, alla lunga, a un ritiro assai poco dignitoso. Da qui, riprenderebbe avvio il solito circuito perverso, con l’apparizione di una nuova Isis..

E già s’intravvede, per l’Occidente, l’aprirsi di un secondo, drammatico fronte, ai confini con la Russia. Se il fondamentalismo arrivasse così tanto vicino ai confini di Israele, da minacciarne la sicurezza alle frontiere, allora gli eventi da regionali potranno divenire globali, generando instabilità in tutti e cinque i continenti. Uno stato di belligeranza diffuso, causerebbe una nuova, immensa crisi economica, con effetti imprevedibili in tutte le frontiere “calde”, come quelle tra India e Cina, e tra le due Coree. Il sogno del Califfato, lo ripeto, non è destinato a essere un fenomeno transitorio. Israele ha distrutto i tunnel, ma ha garantito altri 20 anni di sopravvivenza a Hamas (Qatar, Arabia Saudita, Iran faranno arrivare loro un ennesimo fiume di denaro e di armi), che andava, innanzitutto, battuto politicamente. Tra parentesi: continuo a pensare che Israele avrebbe vinto la guerra della propaganda se, prima di bombardare, avesse aperto i varchi della Striscia a donne, vecchi e bambini, invitando le famiglie israeliane a dare loro ospitalità, per tutto il tempo necessario, e ricostruendo, per loro, sempre in territorio israeliano, in appositi insediamenti, le case distrutte. Sarebbe stato un ottimo principio di integrazione e avrebbe messo a tacere le voci di massacro e tentato genocidio.

Man mano che i regimi secolari, o fantoccio, come quello siriano, libico e iracheno, verranno demoliti e conquistati dagli eserciti di Allah, i ranghi dei fondamentalisti si arricchiranno di centinaia di migliaia di nuovi uomini armati - come gli ex soldati degli eserciti sconfitti - e delle loro armi ultramoderne, fornite da un Occidente che, ancora oggi, insite nelle sue pratiche di “vietnamizzazione” dei conflitti locali! Migliaia di ricchissimi giacimenti petroliferi stanno per cadere - o già lo sono - nelle mani dell’Isis, e nel mondo esistono non pochi grandi speculatori senza scrupoli, pronti ad acquistare enormi quantità di petrolio di contrabbando, a prezzi di saldo, in cambio di armi.

Verosimilmente, le prossime vittime del fondamentalismo saranno proprio le petromoarchie del Golfo (proprio loro: i grandi burattinai e finanziatori del waabismo), che vedranno ridursi al lumicino la propria rendita petrolifera! In sintesi: l'immigrazione di massa e il fondamentalismo islamico rappresentano una forma inedita di conflitto mondiale, armato e disarmato. E non crediamo che sia meno incruento di quelli che l’hanno preceduto.. Come ci stiamo attrezzando, con il solito: “Armiamoci e partite”?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45