Gentile signor Zareh Dervichian e gentili signori senza firma di “Iniziativa Italiana per il Karabakh”, rispetto il vostro diritto di replica, così come spero vogliate rispettare il mio. Mi permetto di rispondervi che non mi sorprende affatto la vostra reazione, irragionevole e rabbiosa, al mio articolo “Silenzio stampa sul Nagorno Karabakh”, poiché sono al corrente della campagna in atto nel mio Paese contro coloro che vogliono scoprire la verità su questo conflitto. Non a caso il mio articolo, da voi criticato, ha voluto portare alla luce proprio questo argomento e la vostra contestazione è la riprova di quanto espresso.
I fatti riportati nel mio articolo circa il conflitto di Nagorno Karabakh non mi sono stati forniti da fonti azerbaigiane, come voi dichiarate. Questa a me appare la solita giustificazione di chi vuole imporre solo le proprie “ragioni” e non vuole prendere in considerazione le informazioni riportate nei documenti internazionali. Per avere un’idea chiara e oggettiva sul conflitto esistono documenti e fatti inconfutabili adottati dalle autorevoli organizzazioni internazionali.
Vorrei portare alla vostra attenzione che in tutti i documenti internazionali circa il conflitto di Nagorno Karabakh si riportano vicende riguardanti l’occupazione dei territori dell’Azerbaigian da parte dell’Armenia; occupazione che ha prodotto un milione di rifugiati costretti ad abbandonare le loro terre di origine. Se lo ritenete opportuno potrete ottenere queste informazioni nelle risoluzioni (822, 853, 874 e 884) del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Organizzazione delle nazioni unite), nei documenti adottati dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), dal Consiglio d’Europa, dell’Assemblea parlamentare dell’Ue, nella dichiarazione congiunta dei capi di Stato dei paesi co-presidenti del gruppo di Minsk dell’Osce, impegnato nella mediazione della risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh, e da altre fonti affidabili, così come le ho ottenute io.
Non c’è bisogno di riportare informazioni fornite da fonti azerbaigiane circa la strage di Khojaly commessa dalle forze armate armene, poiché su questo argomento esistono la relazione del 1993 dell’organizzazione “Human Rights Watch”, l’articolo (pubblicato sulla rivista Time) “La tragedia del massacro di Khojaly” del 16 marzo 1992, il giornale “The New York Times” con l’articolo “Il massacro dell’Armenia” del 3 marzo 1992. Senza dimenticare il rapporto di “Memorial”, organizzazione russa per i diritti umani, sulla violazione massiccia dei diritti umani nell’insediamento di Khojaly; l’intervista “Armenians take Azeri stronghold in Karabakh” pubblicata sul giornale “The Herald” (Glasgow) di Jonathan Lyons del 27 febbraio 1992; l’articolo sul giornale “The Times” (London) del giornalista Anatol Lieven del 3 Marzo 1992.
E poi le immagini prese dal fotografo Frederique Lengaigne dell’agenzia “Reuters”, l’intervista del giornalista Francis X. Clines sul “The New York Times” e altri numerosi rapporti, articoli, video e materiali fotografici non menzionati. Se aggiungiamo a tutto questo la decisione dei parlamenti di Messico, Pakistan, Colombia, Repubblica Ceca, Bosnia-Erzegovina, Perù, Honduras e gli Stati del Texas, New Jersey, Georgia, Maine, New Mexico, Arkansas, Mississippi, Oklahoma, Tennessee, Pennsylvania, West Virginia, Connecticut e Florida degli Stati Uniti di riconoscere come “genocidio” il massacro di Khojaly, possiamo affermare che esistono sufficienti fonti indipendenti per avere un’informazione oggettiva sui fatti di Khojaly.
Per quanto riguarda le affermazioni sulla libertà di stampa in Azerbaigian, vorrei sottolineare che il grado di libertà di stampa di un Paese non da diritto agli altri di invaderne i territori. Le vostre affermazioni dimostrano incoerenza di fronte ai fatti riportati nel mio articolo. Avendo le giuste argomentazioni non sareste dovuti ricorrere ai mezzi ausiliari che non hanno nessuna relazione con il conflitto del Nagorno Karabakh. Comunque, per quanto riguarda la libertà di stampa e di espressione, vi ricordo che in Azerbaigian esistono media indipendenti, internet è libero, ci sono oltre un milione e 300mila utenti Facebook, 30mila blogger, 50 internet radio e tv. Se desiderate, potete trovare queste informazioni nei rapporti recenti delle istituzioni dei media internazionali. Per quanto ne so io, durante la seduta del parlamento nel 1999, sono stati uccisi il primo ministro e altri politici armeni, e questo succedeva in Armenia, non in Azerbaigian. Nel 2008 sono stati uccisi dieci manifestanti pacifici che protestavano contro le elezioni parlamentari. E questo succedeva in Armenia, non in Azerbaigian. Nel 2013 c’è stato un tentativo di uccisione del candidato alle elezioni presidenziali. E questo succedeva in Armenia, non in Azerbaigian.
Penso che gli episodi citati possano chiarire meglio la vostra percezione sulla democrazia e sulla libertà di espressione. Per quanto riguarda l’ipotesi sul diritto all’autodeterminazione del popolo armeno, voi dovreste sapere anche meglio di me che si è autodeterminato nel 1991, creando lo Stato dell’Armenia. La comunità internazionale considera il territorio occupato del Nagorno Karabakh e dei sette distretti circostanti come territorio dell’Azerbaigian, e rispettare i principi del diritto internazionale è un mio dovere come giornalista professionista. Costruisco le mie opinioni su dati concreti e non su ipotesi, né desideri o volontà altrui. Il mio obiettivo come giornalista nello scrivere questo articolo è quello di informare la società italiana su un conflitto che, se non risolto, potrebbe avere conseguenze disastrose. Voglio sottolineare che io, come uomo ancor prima che come giornalista, desidero la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale e in tutti gli altri Paesi del mondo oggi afflitti da guerre e ostilità.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49