Ucraina, un nuovo   punto di rottura

Da un mese e mezzo a questa parte non si parla quasi più di Ucraina, specie dopo che è scoppiata la crisi in Iraq e soprattutto dopo l’inizio del nuovo conflitto a Gaza fra Israele e Hamas. Eppure il conflitto civile nelle regioni dell’Est ucraino sta registrando una nuova fase di escalation. La guerra aveva smesso di fare notizia perché, da crisi internazionale fra Ue, Usa e Russia, si era trasformata in una questione tutta interna all’Ucraina. Finché a combattere sono militari regolari ucraini (con equipaggiamento “non letale” statunitense) contro miliziani pro-russi (con equipaggiamento pesante russo), l’opinione pubblica smette di interessarsene e soprattutto smette di dividersi. In particolar modo, l’interesse è basso perché dopo l’elezione a maggioranza assoluta del nuovo presidente ucraino Poroshenko, il 25 maggio, riconosciuto anche dal Cremlino, il destino del conflitto pare già scritto: i russi hanno perso interesse nei separatismi dell’Est e prima o poi li abbandoneranno. Putin, l’Ucraina e i “separatisti” che vogliono l’annessione a Mosca, sono tornati ad essere argomenti per specialisti e appassionati di Est europeo. Eppure, appunto, la situazione non è mai stata così grave come adesso e l’equilibrio già fragile fra Russia e Ucraina, mai così a rischio di rottura.

Il primo cambiamento nell’atteggiamento russo si è avuto subito dopo la firma degli accordi di associazione da parte di Moldova, Georgia e Ucraina. In quel caso, il Cremlino si è risentito pubblicamente. Non proprio Putin in persona, ma i membri dell’esecutivo, hanno ricominciato a dare del “fascista” al presidente eletto Poroshenko (nonostante i “fascisti”, cioè i nazionalisti ucraini, abbiano preso circa il 2% in quelle elezioni). La seconda svolta, militare, è arrivata dalla parte dell’Ucraina. Dopo una tregua prolungata per due settimane, l’esercito regolare ucraino e i volontari della Guardia Nazionale hanno ripreso l’operazione di riconquista delle due regioni orientali di Donetsk e Luhansk, quelle che i pro-russi chiamano “Novorossija”. Il 5 luglio si è registrato un primo successo degno di nota: la cittadina di Sloviansk, una delle principali roccaforti dei pro-russi, è stata riconquistata dagli ucraini. Non è ancora chiaro come i regolari (che finora avevano perso tutti gli scontri) e i giovanissimi volontari della Guardia Nazionale (ancora troppo impreparati per combattere contro professionisti), abbiano ripreso la città. Soprattutto non è ancora chiaro come abbiano permesso ai pro-russi di ritirarsi, con le armi in pugno e l’equipaggiamento pesante al seguito, lungo un’unica strada, formando una colonna profonda almeno due chilometri. Pur essendo ancora sconosciuta la versione definitiva dei fatti, è probabile che Sloviansk sia caduta a seguito di un negoziato. Sloviansk si è comunque trasformata in una città-simbolo, un primo centro urbano ritornato sotto il governo di Kiev. E assieme al ritorno delle istituzioni democratiche e delle bandiere giallo-azzurre ucraine, si sono scoperte anche le segrete dei pro-russi. L’ultimo rapporto di Amnesty International documenta centinaia di rapimenti da parte dei miliziani pro-russi e la pratica sistematica di pestaggi e torture “rivoltanti”, secondo le parole usate dagli stessi estensori del documento.

La presa di Sloviansk ha anche fatto salire il numero di disertori da parte russa. Decine di guerriglieri sono passati dalla parte di Kiev, altri volontari hanno semplicemente gettato le armi e sono tornati in Russia, come nel caso di Artur Gasparyan, armeno, arruolatosi volontariamente nelle file dei pro-russi e poi fuggito a gambe levate dal fronte dopo aver visto i metodi di comando e di combattimento delle truppe fedeli a Mosca. Sentendosi abbandonato dai comandi, privo di armi di difesa adeguate, ha preferito tornare a casa dopo la battaglia per il controllo dell’aeroporto di Donetsk. Il suo racconto, ampiamente riportato dalla stampa occidentale, è servito anche a documentare il continuo flusso di armi e volontari dalla Russia all’Ucraina orientale, il loro addestramento ad opera di agenti russi (o generalmente “slavi”) in incognito, in territorio russo, la loro organizzazione in unità di volontari comandati da cittadini non-ucraini. La testimonianza di Gasparyan conferma l’idea (sempre che sia attendibile) che l’80% dei combattenti nell’Est ucraino siano stranieri: armeni come lui, ceceni filo-russi, bielorussi, russi.

Ritiratisi nelle città di Donetsk e Luhansk, che ora formano due grandi salienti conficcati nell’Est dell’Ucraina, i ribelli promettono di dar battaglia fino in fondo. Il russo Borodai, nazionalista, leader politico della Novorossija, dichiara che una battaglia a Donetsk sarebbe una “catastrofe” e minaccia di far evacuare tutta la popolazione civile, prima che inizino i bombardamenti. Il ricatto umanitario, tuttavia, non sembra aver scoraggiato i regolari ucraini, che hanno iniziato a bersagliare i sobborghi della città.

È da qui in poi che si innesta la nuova crisi con la Russia. A margine dei primi combattimenti per Donetsk, infatti, sono occorsi tre incidenti di frontiera, i cui contorni sono ancora misteriosi. Nel primo, colpi di artiglieria ucraini sarebbero finiti in territorio russo. Non è ancora chiaro quale delle due parti in guerra li abbia sparati, ma in ogni caso due persone sono morte, dall’altra parte della frontiera. Il governo russo ha denunciato l’accaduto e ha invitato osservatori militari europei nella zona dell’incidente, per mostrare il danno subito. Due giorni dopo, lunedì, un aereo ucraino, un Antonov An-26 (nella foto), è stato abbattuto da missili anti-aerei. L’Ucraina denuncia che i colpi siano partiti dalla parte russa del confine. Ieri, bombardieri non ancora identificati hanno colpito nei pressi di Luhansk. Mosca accusa l’Ucraina per il bombardamento, Kiev ribatte che, dopo l’abbattimento dell’An-26, nessun aereo dell’aviazione si è levato in volo. La battaglia può anche avere un suo risvolto politico. Domani i governi dell’Ue devono decidere sul nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia. Mosca non ha fatto nulla per rilassare la crisi. Se la tensione si alza, la Russia si muove di nuovo, non è affatto detto che il copione di questa guerra sia già scritto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46