In Medio Oriente   cambiano le frontiere?

Il sito web dello Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante (Isis), il movimento estremista sunnita che ha occupato gran parte dell’Iraq centro-settentrionale mettendo in serio allarme le autorità di Baghdad e la Casa Bianca, ha pubblicato il 10 giugno scorso una foto di jihadisti a bordo di un bulldozer mentre spianavano un muro di sabbia posto alla frontiera tra Siria e Iraq, con la didascalia “Rompere il confine Sykes-Picot", con riferimento agli accordi firmati tra la Gran Bretagna e la Francia alla fine della Prima Guerra Mondiale che prevedevano la divisione del Medio Oriente.

Anche su Twitter, i jihadisti hanno postato l'hashtag #SykesPicotOver (la fine di Sykes-Picot) riscuotendo grandi consensi. Le crisi che stanno scuotendo in questo periodo la regione medio-orientale, travalicando i confini statali, pongono dunque grandi quesiti sulla ancora effettiva validità delle frontiere create artificialmente dopo la Prima Guerra Mondiale; dalla Siria, tormentata dalla lunga guerra civile che sta dividendo e dissanguando il Paese, all’Iraq, con l’offensiva, al momento inarrestabile, dei jihadisti sunniti dell’Isis contro il potere sciita del Primo ministro Nouri al-Maliki, al Libano, dove torna minaccioso l’incubo delle autobomba piazzate contro obiettivi, anche civili, in una escalation delle tensioni settarie.

Prima del 16 maggio 1916, data della firma degli accordi Sykes-Picot, i paesi del Levante, vale a dire gli attuali Libano, Siria, Iraq, Giordania e Palestina, erano province arabe del grande Impero Ottomano, che si estendeva dal Mar Nero al Nord Africa. Ma a partire dal XIX secolo, l'Impero Ottomano iniziò un lento inarrestabile declino che facilitò l’espandersi dell’influenza delle potenze occidentali, specie Regno Unito e Francia, su quelle aree. Nel 1914 le province arabe dell'Impero Ottomano erano ormai sotto influenza delle potenze europee. I Giovani Turchi, il movimento nazionalista che voleva restituire all'impero il suo posto nella regione, al potere dal 1908, cercarono di far fronte alle ingerenze occidentali, ma la stretta centralista autoritaria di istanbul provocò invece la diffusione di movimenti separatisti arabi che cercarono sempre più sostegno tra gli europei.

Con lo scoppio della Prima Guerra mondiale, gli Ottomani si allearono con l'Impero tedesco contro la forze della Triplice Intesa (Francia, Regno Unito, Impero russo). La scelta turca risultò però infausta e segnò l'inizio della fine. In un contesto di crescente opposizione, il nazionalismo arabo divenne una realtà, soprattutto con la Grande Rivolta Araba del 1916-1918, capeggiata dal califfo hashemita Hussein il quale, con l’appoggio inglese (famosa l’epopea di Lawrence d’Arabia), si sollevò contro il giogo ottomano con l’obiettivo di creare un grande regno arabo, che avrebbe dovuto estendersi da Aleppo in Siria a Sanaa in Yemen. Il progetto di Hussein durò però ben poco; gli Inglesi, tradendo le promesse fatte al califfo (con l’accordo Hussein-Mac Mahon), firmarono segretamente nel maggio 1916 con i Francesi un accordo che prevedeva la ripartizione tra le due potenze europee dei territori arabi tolti ai Turchi.

L'accordo, denominato ufficialmente Asia Minor Agreement ma passato alla storia come “Sykes-Picot”, dal nome del diplomatico britannico Mark Sykes e del primo segretario dell'ambasciata francese a Londra François Georges-Picot, incaricati di tracciare i confini dell’ Arabia britannica da una parte e della Siria francese dall'altra, venne firmato a Londra 16 maggio 1916. Al Regno Unito fu assegnato il controllo delle zone comprendenti approssimativamente la Giordania, l'Iraq ed una piccola area intorno ad Haifa. Alla Francia fu assegnato il controllo della zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell'Iraq, la Siria ed il Libano.

La zona che successivamente venne riconosciuta come Palestina doveva essere destinata ad un'amministrazione internazionale. Alla Conferenza di San Remo, dell’aprile 1920, le potenze uscite vincitrici dalla Guerra mondiale confermarono i confini tracciati da Sykes e Picot, sugellando il destino dei paesi della regione medio-orientale, senza tener conto delle aspirazioni nazionaliste delle popolazioni arabe. La Francia diventò così la potenza mandataria in Siria e Libano e il Regno Unito in Iraq e Palestina. Nel 1917 intanto, il ministro degli Esteri britannico Lord Balfour, in una lettera indirizzata a Lord Rothschild, rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista, affermava, a nome del governo di Sua Maestà, di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina.

La dichiarazione Balfour dette vita ad una crescente migrazione di Ebrei da tutte le parti del mondo verso la Palestina, che rappresentarono il nucleo iniziale di quella che sarebbe poi diventata Israele nel 1948. Fin qui la storia; gli avvenimenti però di queste ultime settimane, sarebbero secondo molti esperti l’ennesima prova che quelle frontiere, disegnate da europei quasi un secolo fa, sarebbero ormai superate dai fatti e destinate a scomparire, segnando l'inizio di una nuova era e la fine della regione come la conosciamo dal 1920. Secondo altri analisti invece sarebbe ancora prematuro cancellare i confini Sykes-Picot per il rischio di una lunga instabilità e incertezza politica.

Secondo questa posizione, quello che sta succedendo in Iraq deve essere letto con dinamiche politiche interne, evitando strumentazioni transnazionali; i gruppi arabi sunniti dell’insurrezione irachena sono, infatti, per lo più composti da ex-baathisti ed elementi molto nazionalisti che cercano principalmente una redistribuzione del potere all'interno dei confini dello stato iracheno, conquistando una maggiore autonomia locale, prevista peraltro dalla nuova Costituzione irachena. Per quanto riguarda le rivendicazioni dei jihadisti, vari esperti ritengono che l’Isis abbia un programma regionale opportunistico che si basa sulle crisi locali per espandersi.

Il suo obiettivo è quello di creare un conflitto settario regionale per portare la popolazione sunnita dalla sua parte e creare quindi “il califfato”. Lo slogan “annulliamo i confini Sykes-Picot” sarebbe quasi un proclama ad uso mediatico. Sono però contrari al programma dell’Isis i suoi alleati sunniti moderati che sfruttano l’offensiva jihadista per rinegoziare il potere con lo Stato iracheno e respingono le mire separatiste. Bisogna poi mettere in conto la posizione delle grandi potenze; né Stati Uniti, né la Russia o la Cina né tantomeno l’Europa vedrebbero di buon grado il dissolvimento del vecchio ordine creato nel 1920. Se dunque la fine dei confini Sykes-Picot non è imminente, il sistema postcoloniale mostra segni di grave crisi e potrebbe esalare l’ultimo respiro; l’agonia, tuttavia, potrà essere anche molto lunga. La ridefinizione dei confini ereditati da Sykes-Picot è certamente a termine, ma potrà essere realizzata solo quando le diverse componenti etniche e confessionali della regione si saranno riorganizzate in termini territoriali e di potere. Gli accordi Sykes-Picot potranno dunque celebrare il loro centenario tra pochi anni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44