Le tre grandi sfide   lanciate dalla Nato

Bruxelles, ultimo vertice dei ministri degli Esteri della Nato prima del prossimo summit che si terrà a settembre. C’è un convitato di pietra, la cui presenza pesa su tutti e assorbe buona parte dell’attenzione: l’Iraq. Gli jihadisti dell’Isis sono ormai arrivati alle porte di Baghdad mentre scriviamo questo articolo e un intervento aereo statunitense appare ormai inevitabile. Ci sono 120 consiglieri militari statunitensi già sul campo che stanno coordinando le operazioni con il debole esercito nazionale iracheno, dimostratosi incapace (nonostante le armi e l’addestramento forniti dagli Usa) di reggere alla sua prima grande sfida, piagato dalle diserzione, disintegrato sul campo, in tutto il Nord dell’Iraq, senza neppure combattere.

L’Iraq non riguarda direttamente la Nato nel suo complesso, ma il suo membro più importante e fondamentale: gli Stati Uniti. E la preoccupazione si legge chiaramente sul volto di John Kerry (nella foto), segretario di Stato, quando si palesa ai giornalisti durante la conferenza stampa, subito dopo il vertice dei ministri degli Esteri. “L’Iraq sta affrontando una difficilissima sfida, sia militare che politica – ci spiega – Gli Stati Uniti stanno aiutando gli iracheni a combattere l’Isis. E non dobbiamo dimenticare che l’Isis è un esercito di terroristi e non costituisce una minaccia solo per l’Iraq, ma anche per tutti i Paesi della regione, per l’Europa e per gli Stati Uniti. Per avere successo gli iracheni devono trovare il coraggio di unirsi e di formare un governo che includa tutte le comunità del Paese”. Obiettivo che si dimostra difficile, comunque, visto che proprio ieri il premier iracheno Al Maliki si è rifiutato di formare un governo di unità nazionale con i rivali sunniti, considerando l’ipotesi suggerita come un “tradimento della volontà elettorale”.

L’impegno statunitense sarà dunque rivolto anche ai vicini più interessati alla (e preoccupati dalla) crisi irachena. “Il presidente Obama – dichiara Kerry – si recherà questo venerdì in Arabia Saudita per discutere di tutte le questioni della sicurezza regionale, compresa la crisi in Iraq, così come il sostegno alle componenti democratiche dell’opposizione siriana. Nessuno di noi deve dimenticare che anche una minaccia che appare lontana possa avere un impatto drammatico anche a casa. Proprio qui a Bruxelles, appena un mese fa, un uomo che combatteva in Siria ha compiuto una strage in un museo (il Museo Ebraico, ndr). In quanto comunità di sicurezza internazionale, la Nato deve continuare ad affrontare la minaccia costituita dal terrorismo internazionale”. I metodi e le forme di cooperazione anti-terrorismo saranno discusse al prossimo summit in settembre.

Se l’Iraq non ride, l’Ucraina piange già da mesi. Nonostante la nuova “road map” per la pace tracciata dal nuovo presidente Poroshenko sembri dare i suoi primi frutti (Putin ha chiesto alla Duma di ritirare l’autorizzazione all’uso della forza in Ucraina e anche le fazioni pro-russe nel Donbass paiono accettare l’idea di una tregua), i combattimenti continuano. Poroshenko promette maggior autonomia delle regioni russofone nell’Est in cambio della cessazione delle ostilità e del ritiro di tutti i volontari russi accorsi a combattere contro Kiev. Ma i pro-russi, che si sono costituiti nell’autoproclamata repubblica di Novorossija, non ne vogliono sapere. Un elicottero dell’esercito regolare ucraino è stato abbattuto l’altro ieri. Sia Kerry che il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, parlano chiaro sull’Ucraina: “Noi siamo fermamente determinati a sostenere l’Ucraina – dichiara Fogh Rasmussen – Abbiamo approvato un pacchetto di misure aggiuntive per rafforzare la capacità di autodifesa dell’Ucraina. Ciò include la costituzione di un nuovo fondo per finanziare il sostegno in aree critiche della difesa, quali la logistica (l’esercito ucraino manca di tutto, anche delle razioni di cibo in molti casi, ndr), il comando e controllo e la difesa contro gli attacchi informatici. E aiutare i militari in pensione a reintegrarsi nella vita civile. L’Ucraina ha idee chiare su come ricostruire la sua difesa e sicurezza e una chiara strategia per risolvere la crisi. Il piano di pace del presidente Poroshenko è un grande passo avanti e lo sosteniamo. Chiediamo alla Russia quattro impegni. Primo: prendere immediate e serie misure per porre fine alla destabilizzazione dell’Ucraina. Secondo: creare le condizioni affinché il piano di pace sia implementato. Terzo: cessare ogni sostegno ai gruppi armati separatisti. Quarto: fermare il flusso di armi e volontari attraverso i confini russo-ucraini. Abbiamo la rara opportunità di una de-escalation di questa crisi, che è stata causata dall’aggressione russa e la Russia deve fare un passo indietro, in osservanza dei suoi obblighi internazionali”.

L’Ucraina fornisce anche l’occasione a Kerry di ricordarci di… spendere di più nella difesa. La sicurezza non è scontata, la libertà non è garantita, le invasioni territoriali non sono solo un ricordo del secolo scorso. “Le azioni della Russia in Ucraina devono suonare la sveglia. Non appena l’economia ricomincerà a crescere, una Nato forte richiederà una forte spesa per la difesa da parte di tutti. Quelle nazioni che spendono meno del 2% del Pil in difesa (fra cui l’Italia, ndr), scavino più a fondo nelle loro risorse e si prendano l’impegno di fare di più”.

E per un impegno che inizia ce n’è uno che finisce, fra mille dubbi sulla sua riuscita: la terza grande sfida affrontata nella giornata, oltre a Iraq e Ucraina è l’Afghanistan. Anders Fogh Rasmussen appare ottimista, quando afferma che “Il popolo afghano ha scelto: ha scelto per la democrazia. La conclusione delle elezioni presidenziali (compreso il secondo turno, ndr) è un’altra importante pietra miliare per l’Afghanistan. Abbiamo visto con quanto entusiasmo straordinario le donne e gli uomini dell’Afghanistan siano andati alle urne. E abbiamo visto forze afghane capaci e sicure di sé garantire la sicurezza in tutto il Paese”. Il discorso prelude a quel che si andrà a definire a settembre: la fine della missione operativa dell’Isaf, la coalizione a guida Nato che finora è stata l’unica garante dell’ordine in territorio afghano, per 13 lunghi anni di conflitto. Sarà sostituita da una missione più ridotta e con compiti solo addestrativi, la Resolute Support. Gli afghani annunceranno il presidente nei prossimi mesi e il nuovo capo di Stato, se tutto va bene, dovrebbe insediarsi ad agosto. Ma le forze afghane saranno in grado di difendersi da sole? Qui alla Nato sembrano tutti convinti che lo siano, che siano già in grado di condurre operazioni complesse in modo autonomo e che abbiano anche acquisito una capacità di comando e controllo in azioni multi-arma, terrestri e aeree. Ma lo spettro dell’Iraq, con il suo esercito nazionale ricostruito dagli occidentali, è lì che ci guarda…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:43