La battaglia infuria, quindi va meglio

La crisi in Ucraina, con un centinaio di morti nei combattimenti attorno a Donetsk, parrebbe essere entrata in un’escalation. In realtà, invece, è molto più prevedibile il rientro della crisi in tempi brevi. I morti di Donetsk sono il frutto amaro di un abbandono: quello della Russia nei confronti dei suoi stessi uomini, alleati e compagni di strada che combattono nell’Est ucraino. L’elezione di Petro Poroshenko alla presidenza dell’Ucraina, questa domenica, ha infatti cambiato tutte le regole del gioco.

Prima di tutto, Petro Poroshenko, magnate dell’industria dolciaria, oligarca ucraino molto popolare, è stato in entrambi gli schieramenti. Lo troviamo infatti ministro degli Esteri nel secondo governo Tymoshenko, alla testa del percorso che avrebbe dovuto portare l’Ucraina nell’Ue e nella Nato. Poi, lo ritroviamo ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico nel governo Azarov, fedele al deposto presidente filo-russo Yanukovich. È tornato ad essere decisamente filo-occidentale allo scoppio della protesta del Maidan. Si dice che abbia un padre ebreo, ma su questa origine il presidente non commenta, non conferma, né smentisce, come sempre avviene in un Paese in cui l’antisemitismo è ancora diffusissimo. In ogni caso è stato votato dalla maggioranza della comunità ebraica ucraina e ha fugato ogni dubbio di nazismo sul nuovo corso di Kiev. Avendo partecipato ai governi di entrambe le parti, è sensibile alle richieste russe, oltre a quelle europee e ha dimostrato subito un atteggiamento molto bilanciato, chiedendo tempo prima di rispondere alle proposte dell’Ue per una maggior integrazione. Yulia Tymoshenko, la più determinata fra gli anti-russi, è stata distanziata di molto dal magnate del cioccolato. E i nazionalisti di Pravy Sektor, usati dai russi come babau contro cui combattere, hanno raccattato alle urne una magra percentuale da prefisso telefonico. Per i filo-russi e i russi dell’Est ucraino, insomma, non ci sono più “mostri” contro cui combattere.

A prescindere dalle idee del presidente… l’Ucraina ha un presidente riconosciuto. Ed è questo quel che fa la vera differenza. Finora, infatti, il Paese era guidato da un presidente provvisorio, Olexandr Turchynov e da un governo di transizione, guidato da un premier non eletto quale era Arseny Yatsenyuk. Dall’estero, Yanukovich, appena defenestrato dal potere, poteva continuare a rivendicare la sua posizione di unico legittimo presidente eletto e accusare gli altri di usurpazione. All’atto pratico, ciò vuol dire che l’esercito stesso non avrebbe potuto condurre un’azione determinata, finché fosse rimasto questo doppio potere. Adesso, invece, c’è un presidente eletto da una maggioranza solida, rappresenta gli interessi di entrambe le macro-regioni ucraine (l’Est e l’Ovest) e l’esercito non ha dubbi a chi obbedire. Mosca si dice pronta a riconoscere il nuovo capo di Stato. L’Ue lo ha già riconosciuto, in quanto espressione della volontà popolare. È venuta a mancare, dunque, la causa principale del conflitto. Se i russi fossero intervenuti fino alla settimana scorsa, avrebbero potuto farlo su richiesta del “vero” presidente (quello in esilio). Se lo facessero nei prossimi giorni, invece, compirebbero un’invasione anche agli occhi dei russi stessi. Le truppe russe schierate ai confini ucraini, gradualmente, hanno iniziato il loro ritiro. Erano quasi 50mila fino alla settimana scorsa, oggi, secondo l’intelligence ucraina (che va presa come una stima per eccesso) non sono più di 20mila.

Perché, allora, a Donetsk si combatte la battaglia più feroce di tutta la crisi? Perché una volta liberati gli istinti più feroci, è difficile farli rientrare. La Russia ha incoraggiato l’arrivo, in quella regione, di volontari provenienti da tutte le periferie più nazionaliste dell’impero, dalla Cecenia (dove i musulmani pro-russi sono temprati da due decenni di guerriglia) ai cosacchi. Ora non possono essere richiamati con un semplice ordine: restano nelle loro postazioni e vendono cara la pelle. Una volta fuori controllo, iniziano a commettere azioni che non si sarebbero mai permessi fino alla settimana scorsa. Un prete polacco è stato rapito e, fortunatamente, rilasciato dopo solo un giorno. Un altro gruppo di ispettori dell’Osce è stato sequestrato e non se ne hanno più notizie. I volontari del Donbass stanno compiendo atti fuori controllo, perché è la loro forza della disperazione che li muove. Perché si sentono usati e iniziano a sentirsi scaricati. E non è detto che, nei prossimi giorni, siano i russi stessi, con le truppe regolari, a doverli far fuori prima che facciano altri danni. Dall’altra parte, invece, l’esercito ucraino non ha più incertezze sulla sua catena di comando, combatte per un governo e un presidente che rappresentano il loro paese. Quella grande azione di riconquista dell’Est, a lungo trattenuta, ora è decisamente scattata.

Ci saranno sicuramente giorni di battaglie dure, scorrerà altro sangue. Ma il rischio di una guerra con la Russia, d’ora in poi, è molto più remoto. A meno che Putin non perda la testa…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52