Un Papa ecumenico per il Medio Oriente

Papa Francesco, martedì sera, ha ripreso il volo per Roma a bordo di un aereo della El Al, la super-sicura compagnia di bandiera israeliana. Qualche segno di insofferenza si nota, fra i cittadini di Gerusalemme, non tanto per il personaggio ospitato, tantomeno per la religione cattolica, ma per i sacrifici imposti dalle autorità: traffico impazzito, città antica blindata, polizia e militari letteralmente ovunque per garantire la sicurezza ad ogni centimetro quadrato della capitale israeliana. Il giorno dopo la partenza del Papa, ieri, si tira quasi un sospiro di sollievo, ma per poco: oggi è il giorno della riunificazione di Gerusalemme (1967) e ricomincia il delirio.

Viste le precedenti dichiarazioni di monsignor Parolin (segretario di Stato del Vaticano) sul diritto all’indipendenza palestinese, gli israeliani temevano di ospitare un Pontefice ostile. I timori sono stati ben presto fugati. È vero che Papa Francesco ha pregato di fronte a una sezione di barriera difensiva israeliana a Betlemme. Ma il giorno dopo era sul Monte Herzl a pregare sul memoriale delle vittime israeliane del terrorismo (palestinese).

L’immagine simbolo di questo viaggio è l’abbraccio fra Papa Francesco, il rabbino Avraham Skorka e l’imam Omar Aboud sul muro del pianto. Il motivo del viaggio era il compimento di un passo in più verso la riunificazione fra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Il risultato è stato molto più ampio: un passo avanti verso il riavvicinamento fra le tre principali fedi monoteiste. Quanto concreto? Per ora è difficile dirlo. Abbiamo comunque avuto una piccola prova personale. Chiedendo a un ebreo ortodosso, di fronte alla sinagoga centrale di Gerusalemme, cosa pensasse del Papa, la risposta è stata positiva: “mi sembra veramente in gamba, molto meglio del previsto”. Ciò che ha colpito questo osservante è stata soprattutto la predica del Papa allo Yad Vashem, il Memoriale della Shoah: “Dove sei Adamo? È il grido di Dio che ha perso suo figlio. Vuol dire che la Shoah è interamente opera dell’uomo che si è allontanato da Dio, non una punizione divina”, come si predicava nella dottrina pre-conciliare e come continuano a sostenere le frange estreme del tradizionalismo cattolico.

Il senso della visita è chiaro: tutte le religioni possono dialogare, se allontanano i loro estremisti. L’origine del male non è voluta da Dio, ma dall’uomo. Non dalla religione, dunque, ma dalla “falsa ideologia”, come l’ha definita Papa Francesco. E questo concetto è particolarmente importante in un periodo storico, come il nostro, il cui il totalitarismo si riveste di valori religiosi, tradizionali, integralisti.

Da un punto di vista politico, la visita del Papa ha per lo meno ottenuto un invito a Peres e Abbas in Vaticano per una preghiera comune per la pace. Potrebbe essere il primo passo per una “Camp David” vaticana? Probabilmente no, ma intanto il gesto è simbolicamente molto importante. D’altra parte il Papa parla di politica, ma non fa politica. Il suo intento è, per lo meno, quello di far riflettere sul male già fatto e su quello che si può evitare di fare in futuro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:51