Italoamericani oggi: l’intervista a Basile

Tra i tanti campi che hanno visto gli italiani emigrati in America e le loro successive generazioni dimostrare talento, determinazione e successo nel loro nuovo Paese, la difesa degli Stati Uniti è particolarmente importante. L’Italia ha fornito diversi eroi all'esercito americano, ai Marines e agli altri rami delle forze armate statunitensi. A Chicago c'è un museo che porta il dovuto tributo agli italoamericani veterani di guerra. Il sottoscritto esiste perché mio padre è stato salvato dalla quinta armata - e nelle sue truppe, dai tanti italoamericani che scelsero l’America ma si arruolarono e chiesero di essere inviati in Europa per liberare il loro vecchio Paese - durante la seconda guerra mondiale. In questi giorni, in cui ricorre il Memorial Day - il giorno in cui si commemorano i caduti americani in tutte le guerre - è quindi per me un onore e un privilegio poter parlare con Paul Basile, uno di coloro che hanno reso possibile la creazione dell’Italian American Veterans Museum and Library (nella foto): la mia eterna gratitudine va a quegli eroi senza il quale non sarei qui.

Paul, penso che l’idea di un museo che ci permette di ricordare, raccontare e rendere omaggio alle storie degli Italiani che hanno prestato servizio nella difesa degli Stati Uniti, dalla guerra per l’indipendenza americana fino ad oggi, è molto lodevole: e sinceramente io ammiro sia la realizzazione di questa idea, sia chi ha avuto l'idea iniziale. Dicci qualcosa in più su come e quando il museo è stato creato.

L’Italian American Veterans Museum and Library nasce per merito di Anthony Fornelli, un leader della comunità italoamericana nazionale e locale di lunga data. Suo zio, Orlando "Lon" Fornelli, fu un eroe della seconda guerra mondiale. La sua unità era sotto il fuoco dei cecchini a Guadalcanal, e lui uscì nella giungla da solo, uccidendo 13 soldati nemici che erano sugli alberi, e liberando i suoi compagni. Tony ha trascorso diversi anni a cercare di convincere varie organizzazioni della comunità per creare un museo in onore dei milioni di italoamericani che, come suo zio, hanno combattuto così coraggiosamente al servizio del loro Paese. Quando suo zio morì, Tony prese la faccenda nelle sue mani, utilizzando le proprie risorse per creare il museo e mettere insieme una squadra di persone attive nella comunità per portare avanti il museo. Inaugurammo il museo nel giorno del Memorial Day del 2006.

Qual è la storia del contributo degli italoamericani nel corso delle diverse guerre?

Nel corso dei secoli, gli italoamericani sono stati presenti tra coloro che siglarono la Dichiarazione di Indipendenza, hanno ispirato la frase "Tutti gli uomini sono creati uguali" contenuta nella Dichiarazione d’Indipendenza, hanno dato un contributo decisivo nella vittoria contro i barbari pirati di Tripoli; sono stati il più numeroso gruppo etnico nelle truppe americane che hanno combattuto la seconda guerra mondiale, si sono guadagnati più di una dozzina di medaglie d’onore del Congresso, e sono stati nominati nei tre più importanti incarichi del Joint Chiefs of Staff (lo Stato Maggiore Congiunto). Questa è solo la punta di un iceberg, come si suol dire. Per saperne di più sul museo, è possibile fare clic sul seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=8QNcogI-0w8&feature=em-upload_owner-smbtn

Chi sono i più importanti eroi italiani commemorati nel museo?

Noi commemoriamo diversi leggendari americani di origine italiana, tra cui William Paca, che ha firmato la Dichiarazione di Indipendenza; l’eroe dell’aeronautica della seconda guerra mondiale Domenico Gentile; e John Basilone, il soldato più decorato e ammirato della storia militare americana. Ma il museo è più focalizzato sugli eroi meno conosciuti: gli uomini e le donne che hanno prestato servizio in forma anonima per la difesa del loro Paese. Riteniamo che essi siano tutti eroi importanti, e la nostra missione è di raccontare le loro storie, e descrivere i grandi eventi della storia militare americana attraverso i loro cuori, le loro menti e le loro esperienze. Ecco alcune delle loro storie, direttamente da mostre tenute nel nostro museo:

High Noon

Era come una scena di un film western con Gary Cooper. Giovanni Del Medico e un altro soldato si spostarono con cautela dentro una città francese che era stata catturata dai nazisti, ma nella quale ancora non era stata issata bandiera bianca. Improvvisamente, tre soldati tedeschi attraversarono di corsa la strada verso una casa e Del Medico e il suo commilitone spararono contro di loro. Del Medico ne catturò uno, e puntandogli una pistola alla testa, costrinse tutta la sua truppa ad arrendersi. Gli abitanti del villaggio videro apparire le bandiere bianche e i soldati tedeschi uscire dal palazzo, uno a uno, e gettare via le loro armi da fuoco. Del Medico e il suo compagno catturarono 126 nazisti quel giorno, e liberarono 800 prigionieri di guerra russi.

Angel in the Air

“Prego che un giorno, in futuro io possa leggere queste parole che ho scritto nella pace e nel comfort della nostra casa, tutti sani e salvi”, scrisse Vincent Allegrini nella parte finale del suo diario, prima di partire. Il tenente dell’Army Air Corps non solo ci riuscì, ma fece in modo che centinaia di altri soldati potessero fare lo stesso. Durante la battaglia di Moratai, la sua divisione fu bloccata nella giungla e rapidamente rimase senza cibo. Rischiando la vita, Allegrini schivò il fuoco nemico volando molto basso su un difficile terreno montagnoso per poter lanciare razioni di cibo a compagni della sua divisione. Il 95% delle forniture raggiunse la loro destinazione. In seguito, ripeté la stessa impresa durante la difficile campagna nelle Filippine.

To Hell and Back

Quando Mario “Motts” Tonelli entrò nelle Forze Armate nella seconda guerra mondiale, era un giovane e robusto fullback della squadra di football dei Chicago Cardinals, che aveva appena completato una carriera tutta americana nello sport universitario con i Fighting Irish di Notre Dame. Quattro anni più tardi, quando tornò da quello che doveva essere un periodo di servizio di un anno, era emaciato e irriconoscibile, dopo essere sopravvissuto ad una delle peggiori atrocità mai accadute alle truppe americane. Tonelli e altri 23mila soldati sfiancati dalla fame e dalla febbre furono costretti a camminare per 70 miglia attraverso la fitta giungla e un caldo soffocante dai loro carcerieri giapponesi, che uccidevano ogni prigioniero che rimaneva indietro o si fermava per aiutare un compagno caduto. Quando la famigerata “Bataan Death March” si concluse, essa aveva ucciso 14mila americani, e le restanti 9mila unità furono sottoposte a condizioni inumane e brutalità inconcepibili fino alla fine della guerra. Tonelli sopravvisse alla prova grazie ad una combinazione di resistenza fisica e mentale che era radicata nella sua educazione italiana. “Mi sono sempre sentito chiamare dago, wop, greaseball per tutto il tempo, ma mio padre mi insegnò a non prendermela”, ha ricordato. “Forse questo mi ha aiutato quando le guardie ci insultavano praticamente ogni minuto. Mi ricordai che mio padre mi diceva sempre che noi dovevamo fare meglio perché eravamo italiani”.

Tu sei anche produttore e sceneggiatore del documentario “5000 Miles From Home”. Di cosa si tratta?

“5000 Miles From Home” parla dell’impatto della seconda guerra mondiale sulla comunità italoamericana di Chicago. In una situazione in cui ogni giorno morivano 2mila veterani della seconda guerra mondiale, Tony Fornelli capì che spettava a noi raccontare le loro storie mentre erano ancora vivi, per condividerle con tutti. Abbiamo predisposto un elenco di domande che abbiamo poi chiesto a 25 veterani italoamericani della seconda guerra mondiale e ai loro familiari. Le loro risposte furono al tempo stesso notevoli nella loro omogeneità e affascinanti nella loro diversità. Per qualcuno, questi veterani erano figli di immigrati italiani che non parlavano inglese fino a che non andavano all'asilo, cresciuti pensando di essere sia italiani che americani, e che divennero veramente americani solo nel crogiolo del conflitto militare. La guerra li trascinò fuori dalla comodità delle loro enclave etniche, mostrò loro il mondo, e diede loro, quando tornarono a casa, l'occorrente per lasciare il passato etnico alle spalle per perseguire il sogno americano. Il nostro documentario ha vinto sei premi Telly nazionali e due Emmy locali. Un documentario di quel calibro sarebbe costato tra i 200mila e i 300mila dollari, ma siamo stati in grado di ridurre i costi e produrlo grazie a una sovvenzione di soli 2mila dollari, a noi donata dagli amici di Unico. Per saperne di più, si può andare sul sito www.5000milesfromhome.com

Un altro ruolo importante che hai all’interno della comunità italoamericana è quello di direttore della rivista mensile "Fra Noi": dicci qualcosa al riguardo…

Sono il direttore di “Fra Noi” dal 1990. Quando divenni direttore cambiai molte cose, e molto è anche cambiato da allora ad oggi. “Fra Noi” fu lanciato nel mese di aprile del 1960 come veicolo di raccolta fondi per Villa Scalabrini, una casa di cura fondata 10 anni prima dai Padri Scalabriniani specificamente per aiutare le esigenze della comunità italoamericana. È partito come una newsletter di quattro pagine, ma si è rapidamente trasformato in un tabloid di 24 pagine, con un taglio distintivo e pieno di novità. Allora, la politica editoriale di “Fra Noi” era semplice: hai donato molti contributi alla Villa, hai molto spazio in “Fra Noi”; hai donato pochi soldi alla Villa, hai un po’ di copertura su “Fra Noi”; non hai dato nulla alla Villa, per “Fra Noi” è come se tu non esistessi. Era fondamentalmente una newsletter in veste di giornale. I padri scalabriniani vendevano tanti spazi pubblicitari e abbonamenti quanti potevano, spedivano il giornale gratuitamente a migliaia di famiglie, e operavano sempre con significative perdite facilmente giustificate dalla generosità che “Fra Noi” ispirava nella comunità. Quando un’agenzia di servizi sociali dell'Arcidiocesi prese il controllo di Villa Scalabrini a metà degli anni ‘80, la Villa era un istituto ormai conosciuto, che non richiedeva il medesimo iniziale livello di marketing di massa. Capirono subito che “Fra Noi” era una pubblicazione che perdeva denaro e abbonati a un ritmo allarmante. Neri miei primi due anni di assunzione, il giornale aveva perso 200mila dollari e 2.000 dei suoi 7mila abbonati, soprattutto perché il business era stato gestito male e gli articoli erano scritti male, ma anche perché la comunità era cresciuta oltre la Villa e la Villa stava cercando di vendere la newsletter di qualcun altro. Io divenni direttore nel 1990, con l’obiettivo di invertire quella tendenza, e ci riuscimmo riducendo molto i costi e migliorando la qualità dei contenuti allargandoci al più ampio pubblico che il nostro budget ci potesse consentire. Nel 1995, cinque leader della comunità – Anthony Fornelli, Antonio Spina, Amy Mazzolin, Renato Turano e Paolo Butera – sono intervenuti e hanno salvato “Fra Noi”, versando fondi personali nella neonata impresa per coprire il considerevole debito accumulato. È importante ricordare che i membri del consiglio di “Fra Noi” non hanno mai tratto profitto dal loro ruolo di membri del consiglio, e sarà sempre così. Si considerano genuinamente i custodi di una fiamma che non deve mai essere estinta. Due anni più tardi il giornale raggiunse il pareggio di bilancio, e tutti i soldi dei socio utilizzati per coprire il debito iniziale tornarono in banca come flusso di cassa. Anche quanto a diffusione abbiamo fatto grandi progressi, riportandoci a circa 6.300 abbonati. Ci sono un paio di ragioni per questa grande inversione di tendenza. In primo luogo, ci sono gli inserzionisti, che vedono il loro impegno finanziario a favore di “Fra Noi” non solo come un investimento aziendale, ma come un investimento nel patrimonio culturale della loro provenienza. Altrettanto importanti sono gli individui enormemente dedicati e di talento che compongono la famiglia “Fra Noi”, sia come membri del personale che come corrispondenti. Non abbiamo mai avuto abbastanza soldi per promuovere la pubblicazione, ma nonostante ciò essa ha goduto di una crescita incrementale perché il prodotto è così buono che si vende da solo. Attraverso una varietà di articoli ben scritti che coprono contenuti locali, nazionali e internazionali, “Fra Noi” offre alla comunità non solo uno specchio in cui può vedere sé stessa, ma anche una finestra attraverso la quale può vedere il mondo. “Fra Noi” ha attraversato diverse incarnazioni come giornale, prima che lo trasformassimo in una rivista, nel mese di aprile del 2011. Abbiamo lanciato un sito Internet ibrido locale/nazionale nello stesso periodo (www.franoi.com) e anche una rivista regionale e relativo sito web per la comunità italoamericana dell’area di Boston, il Bostoniano (www.bostoniano.info) nel mese di gennaio 2013.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:48