Libia, guerra civile: ora fate qualcosa!

Per gli statunitensi la situazione libica è “estremamente fluida”. Tradotto in linguaggio corrente significa che la Casa Bianca è stata allertata circa la possibilità, nelle prossime ore, di un’escalation della crisi interna all’apparato istituzionale libico. La situazione sul campo segna, infatti, una progressiva crescita dell’alleanza che si richiama al generale Khalifa Haftar. Si va coalizzando un fronte laico che si contrappone apertamente al tentativo di trasformare lo Stato libico in una realtà governata dalla legge islamica della Shari’a. Si tratta di una novità visto che, finora, il caos è stato tale da non consentire di distinguere con precisione le diverse posizioni assunte da tutti i gruppi, schierati sul terreno a contendersi spazi di potere.

Il tentativo di golpe posto in essere lo scorso 5 maggio e mirato a condurre il Paese su una deriva islamista, è sostanzialmente fallito visto che lo stesso neopremier Ahmed Maiteeq, ha accettato la richiesta degli insorti di sospendere le attività del Parlamento sine die e di convocare per il prossimo 26 giugno nuove elezioni. Nonostante le dichiarazioni volte a tranquillizzare la comunità internazionale, sembra del tutto evidente che adesso la contesa politica abbia lasciato il campo alla voce delle armi. Il che non sarebbe di per sé negativo a condizione, però, che si giungesse alla reale stabilizzazione del Paese nel più breve tempo possibile. D’altro canto, è scontato che le milizie jihadiste e filoqaediste, che avevano trovato nella Libia del dopo Al-Qadhdhāfi il paradiso in terra, non ci staranno a farsi espellere per via democratica e negoziale dalla ricostruzione dell’architettura istituzionale dello Stato. Intendono batttersi e lo faranno senza esclusioni di colpi. Non dimentichiamo che la milizia di Ansar Al-Sharia ha ancora alleati e sodali molto potenti in giro per il mondo. A cominciare dall’emirato del Qatar che ha avuto un ruolo fondamentale nella cacciata di Al-Qadhdhāfi.

Probabilmente è già troppo tardi per pensare all’invio di una forza d’interposizione che eviti lo scontro diretto tra le parti. Bisognava farlo prima. Ma forse è un bene che questa opzione non sia sul campo in questo frangente. Al momento, i vertici operativi delle potenze occidentali sono in stato d’allarme. Nelle prossime ore si potrebbe porre il problema dell’evacuazione del personale diplomatico e dei civili occidentali presenti ancora in Libia. Il Pentagono ha trasferito presso la base siciliana di Sigonella altri quattro aerei da trasporto speciale V-22 Osprey, oltre a 200 marines specializzati in operazioni di esfiltrazione da teatri ostili. Le ambasciate dei principali Paesi africani e mediorientali hanno chiuso i battenti. Gli ultimi, in ordine di tempo a lasciare Tripoli, sono stati i rappresentanti diplomatici dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.

Le autorità italiane, invece, si sono limitate, tramite l’ambasciata italiana a Tripoli ad avvisare i nostri cittadini ancora presenti in quelle zone che sarebbe stato più prudente cambiare aria, almeno per il momento. L’ambasciatore italiano, Giuseppe Buccino Grimaldi, che ha ricevuto dal ministro degli esteri la nomina a “inviato speciale dell’Italia per la Libia”, ha voluto rassicurare l’opinione pubblica che il personale d’ambasciata sta facendo il possibile pur di restare in contatto con tutti i nostri connazionali, circa 1200 persone, ancora presenti sul territorio libico. Ci conforta saperlo.

Per l’Italia, tuttavia, si profila un pericolo all’orizzonte ancora più grande. L’appoggio ricevuto dalle forze speciali dell’esercito regolare libico, potrebbe indurre il generale Haftar a stringere i tempi dell’attacco frontale alle principali città-fortezze del jihadismo in Cirenaica. La strategia di assedio e di bombardamento con mezzi pesanti e, in contemporanea, l’impiego dell’aviazione contro obiettivi sensibili, dovrebbe avere come effetto la chiusura delle milizie filoislamiche in un cul-de-sac. L’operazione di accerchiamento delle principali città costriere come Tobruk, Darnah e la stessa Bengasi, taglierebbe tutte le vie di fuga alle milizie islamiche sia in direzione ovest, sia in direzione sud, verso il deserto del Al Kufrah. Sarebbe preclusa agli integralisti islamici la possibilità di riparare in Sudan. Lo sconfinamento a ovest, in Egitto, al momento appare impraticabile attesa la situazione che oggi vive quel Paese, che è di grande ostilità verso le forze dell’islamismo politico. L’unica via di fuga percorribile resterebbe quella marittima. Se così fosse per noi si avererebbe la tanto temuta apocalisse. Una marea di clandestini provenienti dalla Cirenaica con le carrette del mare. Unica differenza, per nulla trascurabile, è che al posto di donne e bambini e, in genere, poveri disgaziati in fuga dalle guerre e dalla fame, ci troveremmo ad ospitare sul suolo patrio il peggio del terrorismo jihadista e qaedista. Costoro, un volta rinsaldati i ranghi, saranno in grado di rimettere in piedi la rete criminale direttamente nel cuore dell’Europa.

Urge, quindi, che le nostre autorità intervengano per evitare il peggio. In nome di Dio! Mogherini, Alfano, Pinotti, e anche lei presidente Renzi, smettetela una volta per tutte di ripetere il monotono ritornello del “deve pensarci l’Europa” e fate qualcosa! Lo avete compreso o no che siamo soli a fronteggiare la catastrofe?

Nella rinione interministeriale del 20 maggio scorso sulla crisi libica avreste dovuto decidere di interrompere immediatamente l’operazione “Mare Nostrum” e provvedere, chiedendo il sostegno delle forze Nato, a operare il blocco navale delle coste libiche. Non l’avete fatto commettendo un gravissimo errore di valutazione. Tutti i barconi che salpano da quel Paese, infatti, andrebbero intercettati appena fuori le acque territoriali e ricondotti ai punti di partenza. C’è il concreto rischio che l’operazione di liberazione della Libia dal fanatismo religioso e dalla criminalità organizzata si trasformi in un’invasione incontrollata del nostro territorio. Non lo possiamo permettere. La verità è che siamo messi male. Nel pieno di una crisi drammatica dagli esiti imprevedibili, ci troviamo ad affrontare il peggio con un governo debole, composto da dilettanti che non sanno che pesci prendere se non ripetere la solita cantilena ”affronteremo il problema con i nostri partner europei”. Con tutto il rispetto, a noi sembra di ascoltare un disco rotto. E mentre Roma discute, Sagunto brucia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:48