La vittoria di Modi danneggia i marò?

Alla fine l’India ha votato. Dei 543 seggi della Camera Bassa (Lok Sabha) in palio, gli 815 milioni di elettori hanno consegnato una solida maggioranza al Bharatiya Janata Party di Narendra Modi. Il partito della destra nazionalista ha raccolto il consenso su una promessa ben precisa: rilanciare l’economia del Paese tornando a farla crescere annualmente al ritmo delle due cifre.

Modi si è reso credibile per il lavoro svolto negli anni alla guida dello Stato del Gujarat. Definito dall’Economist “il Guangdong indiano” (dal nome della più industrializzata e ricca provincia cinese), il Gujarat ha funzionato da locomotiva per lo sviluppo industriale del subcontinente indiano. Il suo Pil si è incrementato, negli ultimi anni, dello 0,3 per cento in più rispetto alle altre aree del Paese, grazie alle politiche di apertura agli investimenti esteri, fortemente incentivate dalla presidenza di Modi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. A fronte del 5 per cento del totale della popolazione indiana, il Gujarat assicura il 16 per cento della produzione manifatturiera nazionale e il 25 per cento del totale delle esportazioni. Il Gujarat, insieme allo Stato di Maharashtra, nel triennio 2005-08, ha visto incrementare la quota di valore aggiunto del settore industriale sul complessivo, a 37 punti percentuali.

La filosofia neoliberista a cui Modi ha ispirato la sua azione di governo è piaciuta alla classe economica indiana, che ha deciso di voltare le spalle al Partito del Congresso (Indian National Congress – INC), feudo incontrastato della dinastia Gandhi. Quest’ultima ha concluso la sua lunga parabola di governo, e di potere, sostanzialmente con un gigantesco fallimento. Troppi gli scandali e pochi i successi nelle politiche di crescita economica e sociale.

L’incontro con l’establishment finanziario locale ha recato in dote alla candidatura di Modi il sostegno dei media e dei mercati domestici. I risultati elettorali hanno spinto al rialzo la borsa di Bombay, con il S&P Bse Sensex che ha guadagnato fino al 6,2 per cento. L’entusiasmo per il nuovo “salvatore della Patria” non è limitato al contesto nazionale. Anche le grandi agenzie di rating e la comunità finanziaria internazionale sono pronte a scommettere su di un’immediata ripresa dell’economia indiana con la premiership di Modi, sebbene per la vittoria elettorale abbia fatto aggio, sulla precisazione di un circostanziato programma di governo, la narrazione di una storia di successo vissuta alla guida dello Stato del Gujarat. La sua affermazione, dunque, sarebbe il risultato di un’equazione.

Eppure Modi non è solo pragmatismo politico. La sua vicenda umana, ancorché controversa, restituisce l’immagine (non contraddetta nel corso della campagna elettorale) di un nazionalista indù profondamente convinto nel voler conseguire per il suo Paese, insieme a una leadership commerciale nel mercato globale e grazie all’arsenale nucleare posseduto, un’adeguata collocazione nel novero delle grandi realtà dello scenario strategico internazionale, al pari degli Usa, della Russia e della Cina. Questa ambizione spiegherebbe il perché il neopremier abbia usato più degli altri la vicenda dei nostri marò nel corso della campagna elettorale. Modi, infatti, ha invocato per i nostri militari l’applicazione del Sua Act, la nota legge indiana contro il terrorismo, con l’evidente intento di poter chiedere la pena di morte per gli imputati. Lo ha fatto probabilmente a beneficio dell’elettorato del Kerala, lo Stato di provenienza dei due pescatori deceduti.

Il profilo personale di Narendra Modi non è certo quello di un moderato. In primo luogo, le sue origini sono umilissime e questo, in un Paese castale come l’India, fa la differenza. La sua famiglia appartiene alla casta bassa dei Ghanchi, venditori di tè. Anch’egli da bambino aiutava la modesta economia familiare vendendo tè per le strade di Vadnagar, sua città natale. Modi non ha conosciuto gli agi di un’educazione appresa nelle migliori scuole del Paese o presso le istituzioni universitarie europee. La sua laurea in scienze politiche l’ha conseguita seguendo i corsi a distanza, i cosiddetti “extra moenia”, organizzati dall’Università di Delhi. La sua vita familiare è quantomeno oscura. Ha una moglie “sulla carta”, di cui però non si hanno notizie. In realtà, Modi ha consacrato la sua esistenza alla lotta, anche violenta, per l’affermazione del nazionalismo indù. La macchia indelebile che mina il suo passato è rappresentata dall’accusa, mai cancellata, di aver ispirato una brutale azione di vendetta ai danni di una parte della popolazione di religione islamica. La pulizia etnica di cui Modi si sarebbe reso responsabile portò, nel 2002, al massacro di oltre mille indiani appartenenti alla comunità islamica del Gujarat. Per questa vicenda, negli anni scorsi le potenze occidentali, in particolare gli Usa, non hanno gradito dialogare con lui. Nel 2005, gli venne negato il visto per entrare negli Stati Uniti. Tuttavia, le ragioni etiche le quali determinarono quell’atteggiamento severo oggi sono scomparse. Pecunia non olet!

Questo è l’uomo. Il fatto che abbia minacciato azioni molto dure nei confronti dei nostri marò, Latorre e Girone, non può essere considerato con superficialità e neppure giudicato alla stregua di mera propaganda elettorale. La volontà di potenza di Modi è reale per cui c’è da temere il peggio nell’evoluzione del contenzioso con l’Italia. Quantomeno non c’è d’aspettarsi che il neopremier indiano si presti con rassegnazione alle richieste della nostra ministra Mogherini, accettando d’interrompere il procedimento giudiziario in corso per dare l’assenso all’apertura della procedura di arbitrato internazionale, così come richiede l’Italia.

Scordiamoci pure il sostegno degli Stati Uniti, impegnati come saranno a intrattenere buoni rapporti con il nuovo arrivato, in funzione del principale obiettivo che Washington intende raggiungere per salvaguardare gli equilibri nell’area: tenere basso il livello di confronto tra l’India e il vicino Pakistan, suo storico nemico.

Dopo che il nostro governo, sulla questione ucraina, ha compiuto uno sciagurato voltafaccia ai danni della Russia, tradizionale alleata dell’India, all’Italia, nelle condizioni date, resterebbe soltanto la possibilità di giocare la carta della pressione dell’Unione Europea. Ve li immaginate il tedesco Schulz o il lussemburghese Juncker, l’uno o l’altro nelle vesti di presidente della Commissione Europea, andare in India a dire: “Ridateci i marò italiani o scordatevi di vendere un solo spillo sul nostro mercato”? Il tutto è crederci. Come si può credere all’esistenza di Babbo Natale.

Tuttavia, alcuni commentatori osservano che proprio il pragmatismo affaristico mostrato da Modi potrà, in qualche misura, funzionare da passepartout per trovare una soluzione che serva, a un tempo, a riportare a casa i nostri ragazzi e a salvare la faccia a tutti i protagonisti, italiani e indiani, di questa esperienza kafkiana. Ma se così non dovesse essere allora prepariamoci al peggio. Ora, più che mai, occorre che noi tutti si riscopra un minimo sindacale di onore, mischiato a una modica quantità di amore per la dignità della nostra Patria. Verranno giorni duri per affrontare i quali dovremo stringerci l’un l’altro come se, almeno per una volta, fossimo tutti davvero fratelli di una sola Italia. Senza distinguo alcuno. Senza campanili da scalare. Senza casacche ideologiche da indossare.

Se Narendra Modi, com’è probabile che avvenga, dovesse scegliere la via dell’intransigenza, noi italiani non avremmo molte opzioni a disposizione a meno che qualcuno al governo, facendo prevalere insulse ragioni d’opportunità di politica commerciale, non pensi di abbandonare Latorre e Girone al loro destino. Anche questa è un’opzione e, per quanto ripugni crederlo, non possiamo escluderla a priori dal novero dei possibili comportamenti dei nostri rappresentanti istituzionali. Ci domandiamo soltanto come potremmo noi tutti, non soltanto loro politici, sbrigarcela con la nostra stessa coscienza. Svegliarci al mattino e guardarci allo specchio senza provare vergogna. Andare a letto e addormentarci tranquillamente senza avvertire l’ombra di alcun rimorso. Come potremmo? Semplice a dirsi! Non si può.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52