Crimini e comunismo, condanna in Ungheria

Un signore ungherese di 92 anni, di nome Bela Biszku, è stato condannato a 5 anni e 6 mesi di carcere. Cosa avrà mai fatto un signore così anziano, che probabilmente non vivrà abbastanza a lungo per scontare tutta la sua pena detentiva (sempre che venga riconfermata in appello)? Negli ultimi tempi non ha commesso alcun reato. Ma nel 1956 era uno degli uomini più potenti del Partito Comunista ungherese e ordinò di sparare deliberatamente su civili in due occasioni, il 6 dicembre di quell’anno a Budapest e l’8 dicembre a Salgotarjan. Contribuì a creare l’equivalente ungherese della “volante rossa” italiana, una squadra di miliziani irregolari, formata dal Consiglio Militare del Partito Comunista, che compiva rappresaglie armate. Fra ottobre e novembre la breve e drammatica rivoluzione in Ungheria era già stata schiacciata dall’esercito sovietico. In dicembre, quando le squadre armate di Bela Biszku entrarono in azione, i “nemici del popolo” erano dunque già sconfitti e disarmati. Spararono contro manifestanti pacifici, che ancora avevano il coraggio di scendere in strada, nonostante la presenza dell’esercito e delle milizie. Ne uccisero 49. Nei mesi successivi, sempre Bela Biszku interferì con i tribunali per far spiccare condanne a morte per tutti coloro che erano sospettati di aver preso parte alla rivoluzione. A lui sono imputate 226 esecuzioni illegali. Questo anziano signore, dunque, ha almeno 275 morti sulla coscienza.

Il caso Biszku costituisce un precedente inedito per la giustizia ungherese. Fino al 2011, infatti, i suoi crimini sarebbero caduti in prescrizione. Fu proprio in occasione del suo arresto che, per volontà del premier Viktor Orban, venne introdotta una nuova norma che incorporava la Convenzione di New York per i crimini contro l’umanità. Niente termini di prescrizione, dunque: come Priebke e come gli altri criminali nazisti catturati in tarda età, anche Bela Biszku, comunista, è stato processato per delitti commessi nel nome dello Stato più di mezzo secolo fa.

Ancor più che la novità legale, che è importante per la sola Ungheria, conta per l’intera Europa il precedente politico. Non solo Bela Biszku è stato condannato per i crimini commessi, ma anche per negazionismo. Negare i crimini del comunismo è un argomento punito in Ungheria, esattamente come nell’Europa occidentale è reato il negazionismo dell’Olocausto nazista. Conferma un trend già presente in Polonia, dove sono stati processati Wojciech Jaruzelski e Czeslaw Kiszczak, entrambi alla testa della giunta militare comunista che impose la legge marziale nel 1981. Così come in Bulgaria, dove il Partito Comunista è vietato per legge. E in Georgia, dove il governo ha approvato il mese scorso la messa al bando dei simboli comunisti. Queste leggi vogliono dire una sola cosa: quello comunista fu un regime criminale e come tale va trattato. In altri casi, come nella ex Germania orientale, si è invece preferita la via della “riconciliazione” (con buona pace delle vittime): sono stati aperti gli archivi dei servizi segreti, ma i loro agenti sono ancora a piede libero. La memoria dei regimi fedeli all’Unione Sovietica è una delle cause principali dell’attuale crisi in Ucraina: i ribelli di Kiev abbattono le statue di Lenin, lottando contro una Russia che, al contrario, impone ancora alle scuole uno studio apologetico del passato sovietico.

È l’ulteriore dimostrazione che in Europa non esiste ancora una memoria condivisa. L’Ungheria fa parte della stessa Ue di cui sono membri fondatori anche l’Italia e la Francia, due Paesi i cui Partiti Comunisti sono tuttora onorati per la memoria della lotta di liberazione dal nazismo ed erano i più votati nel mondo occidentale. Il nostro stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel 1956, a proposito della repressione ungherese, non solo approvò l’intervento sovietico, ma condannò la posizione troppo tiepida di un altro dirigente comunista, Antonio Giolitti, che si dimise per protesta. “Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione (fra Usa e Urss, ndr) non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l’obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l’intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere - e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato - che l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo”. Uno di questi “salvatori della pace nel mondo”, pur avendo 92 anni, è ora condannato nel suo Paese. Una bella differenza fra le due memorie della stessa Europa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49