Libano: Nazione   da sempre instabile

Ancora un nulla di fatto per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica libanese che dovrà subentrare al generale Michel Sleiman che, il prossimo 25 maggio, terminerà il suo mandato di sei anni.

Per la quarta volta, i deputati del Blocco 8 marzo, che comprende Hizbollah e il partito cristiano di Aoun, i deputati di Amal dello Speaker Berri e del partito Socialisa Progressista druzo, di Walid Jumblatt, hanno lasciato ieri (giovedì 15 maggio ndr) l’aula al momento del voto rendendo nulla, per mancanza di quorum, la votazione.

I deputati del blocco del 14 Marzo (la data della cosiddetta Rivoluzione dei cedri che, il 14 marzo 2005, ad un mese dell’assassinio di Rafik Hariri, riunì nel centro di Beirut una folla oceanica che pretese ed ottenne la ritirata di tutte le truppe siriane dal paese), i sunniti pro-Hariri del Partito Mustaqbal (Futuro), le Forze Libanesi di Samir Geagea e il Kataeb (Falange) cristiane dell’ex Presidente Amin Gemayel, hanno invece confermato il loro voto al candidato Samir Geagea.

Al primo scrutinio, lo scorso mercoledì 23 aprile, 52 deputati avevano scelto scheda bianca, 48 avevano votato Samir Geagea, 16 erano stati i voti per il candidato del partito di Walid Jumblat, Henri Helou, 1 solo voto era andato all’ex presidente Amin Gemayel, 7 erano stati i voti annullati. Sulle schede nulle erano stati scritti i nomi delle persone uccise dalle Forze Libanesi di Geagea durante la guerra civile libanese. Alla seconda e terza votazione si erano presentati in aula solo i deputati del Blocco 14 Marzo, che avevano confermato il voto per Geagea, mentre gli altri 81 deputati, del Blocco 8 Marzo, del partito Amal dello speaker Berri, del partito Socialista Progressista di Walid Jumblat e i Cristiani di Aoun e Frangiè avevano disertato le votazioni, dichiarate quindi nulle per assenza di quorum.

Nella tornata di ieri, si è assistito allo stesso film. Malgrado la mediazione tra Cristiani maroniti avviate dall’ex Presidente Gemayel, con i buoni uffici del Patriarca maronita, il cardinale Bechara Rai, un accordo sembra ancora lontano. Il 25 maggio prossimo il generale Michel Sleiman, sul cui nome sei anni fa, dopo lunghe trattative, si trovò l’ampio consenso delle forze parlamentari, lascerà il palazzo presidenziale di Baabda, sulle colline di Beirut, che resterà vuoto fino alla elezione di un nuovo Presidente.

Lo stesso Presidente Sleiman ha più volte smentito e criticato le voci che parlavano di una possibile estensione del suo incarico dopo il 25 maggio, arrivando a scrivere sul suo twitter di aspettare con impazienza quella data per terminare il suo mandato.

Tornato alle cronache nostrane per i casi Dell’Utri e Matacena e per i presunti rapporti di questi con Amin Gemayel, il Libano sta vivendo un’altra delle ricorrenti gravi crisi politiche, che ne hanno marcato in maniera spesso tragica i settantuno anni di storia dall’indipendenza dai Francesi: questa fragile democrazia che sopravvive sull’equilibrio sempre precario tra diciotto confessioni religiose, si regge sul Patto Nazionale tra le componenti libanesi del 1943, mai formalizzato per iscritto, e sull’Accordo di Taef, firmato nel 1989 da tutte le forze politiche libanesi nell’omonima città dell’Arabia Saudita, alla fine della guerra civile. Il Libano è una repubblica parlamentare, in cui gli equilibri istituzionali sono regolati dalla ripartizione del potere su base etnica e religiosa. Secondo tale schema, il presidente della repubblica è un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita. Inoltre, all’interno del Parlamento unicamerale, nel quale siedono 128 membri, i seggi sono assegnati in maniera tale da garantirne sempre 64 alla comunità cristiana e altrettanti a quella musulmana – sciiti e sunniti insieme. Per essere eletto Presidente della Repubblica, un candidato deve ottenere almeno 86 voti sulla totalità dei 128 parlamentari. Molti sono i candidati in lizza. Il candidato di partenza del blocco Haririano è il leader delle Forze Libanesi, Samir Geagea. Sempre nel gruppo filo-Hariri e anti-siriano, sono nomi candidabili quelli di Ziyad Baroud, Amine Gemayel, Robert Ghanem e Boutros Harb.

Quello del blocco filo-Hizbollah è l’ex generale Michel Aoun, capo del Movimento Patriottico Libero. Altro nome maronita di peso della coalizione è Suleiman Frangiè.

Candidato del Partito dello Speaker Berri è il deputato Jean Obeid.

Figure di rilievo, considerate indipendenti ed istituzionali sono il generale Jean Kahwagi, capo di Stato Maggiore dell’Esercito, e Riad Salameh, Governatore della Banca Centrale.

Geagea e Aoun, i candidati più noti e controversi, ricordano a milioni di Libanesi momenti bui e drammatici della guerra civile che ha insanguinato il Paese dei cedri per quindici lunghissimi anni, dal 1975 al 1990.

Samir Geagea nasce il 25 ottobre del 1952 a Beirut, in una famiglia piccolo borghese, il padre è un sottufficiale nell'Esercito. Con grandi sacrifici della famiglia nel 1970 si iscrive alla facoltà di medicina della American University di Beirut continuando il suo percorso alla università cristiana Saint Joseph; lo scoppio della guerra civile rallenterà i suoi studi fino ad interromperli, laureandosi otto anni dopo. Nel 1983 è a capo delle Forze Libanesi, uno dei movimenti più feroci nella guerra civile. I suoi militanti si resero responsabili anche del massacro di centinai di Palestinesi inermi nei campi di Sabra e Chatila nel settembre del 1982. Finita la guerra, a Geagea vengono addebitati una serie di omicidi politici, in qualità di mandante e anche esecutore. Tra i vari fatti criminosi, Geagea guidò il commando che il 13 giugno 1978 assassinò il deputato Tony Frangieh (figlio dell'ex presidente della Repubblica Souleiman Frangieh), la moglie e la figlioletta di 4 anni. Sopravvisse solo il figlio Suleiman, attualmente deputato e capo del movimento politico al-Marada, alleato di Hizbollah e contrarissimo alla candidatura di Geagea. Nel 1994 Samir Geagea viene condannato all’ergastolo. Sconterà undici anni di carcere duro e verrà liberato, dopo amnistia, nel 2005, dopo forti pressioni statunitensi. Subito dopo la liberazione concessa per “motivi di salute” Geagea ritorna alla vita politica, guidando nuovamente le Forze Libanesi. La candidatura di Samir Geagea rappresenta una scelta molto forte, di rottura verso il passato tragico e in aperto contrasto al regime siriano di Assad, di cui il leader delle Forze Libanesi si è sempre dichiarato acerrimo nemico. Molti libanesi comuni, intervistati dalle televisioni locali, hanno dichiarato che, in caso di elezione di Geagea, lascerebbero definitivamente il Libano.

Michel Aoun è nato anch’egli alla periferia di Beirut, ad Haret Hreik ora feudo Hizbollah, il 19 febbraio 1935. Figlio di una modesta famiglia libanese, si arruola giovanissimo nell’Esercito. Nel 1984, appoggiato anche dalla comunità musulmana, viene nominato Capo di Stato Maggiore. Tra il settembre 1988 e l’ottobre 1990, nelle fasi terminali della guerra civile libanese, Michel Aoun, presiede un governo militare di transizione osteggiato dalla Siria e da altre fazioni combattenti. L’incarico gli viene affidato dall’allora presidente del Libano, Amin Gemayel, sulla via dell’esilio in Francia. Per più di un anno Aoun combatte strenuamente contro l'esercito siriano, nel tentativo di respingerlo dal Libano e lancia un’offensiva armata, quartiere per quartiere, contro le Forze Libanesi di Geagea, quando queste si oppongono al progetto politico-militare di ricostituzione dell'autorità statale libanese. Durante le ultime fasi della guerra Aoun si vede costretto a rifugiarsi nell'ambasciata francese di Beirut per non essere ucciso dai bombardamenti che la Siria scatena verso di lui e trova poi asilo a Parigi. Tornato in Libano nel maggio del 2005 dopo quindici anni vissuti in Francia, Aoun guida il Movimento Patriottico Libero e si allea con l’altro partito cristiano filo-siriano Marada, comandato da Suleiman Frangieh, che insieme a Hezbollah e Amal si oppone al Blocco pro-Hariri 14 Marzo. Il 3 dicembre 2008, in una storica visita a Damasco, Aoun stringe amicizia con i suoi vecchi oppositori siriani e dichiara la sua intenzione di costruire il futuro insieme alla Siria e lasciarsi il passato alle spalle. Allo scoppio del conflitto in Siria nel marzo 2011, Aoun è tra i primi a dichiarare il suo sostegno al governo di Assad.

Ziyad Baroud, vicino al Blocco 14 marzo, è uno dei possibili altri candidati presidenziali. Giovane e dinamico, Baroud gode di una discreta popolarità. Nato nel villaggio di Kesrouan il 29 aprile 1970, ha conseguito una laurea in legge presso l’Università Saint Joseph. È stato ministro dell’Interno dal luglio 2008 al gennaio 2011.

Amine Gemayel, già presidente del Libano dal 1982 al 1988, dopo l’assassinio di suo fratello, appena eletto presidente, Bachir Gemayel. Nel 1988 si trasferisce in Francia dove rimane fino al 2000, quando rientra in Libano. Proviene da una nota famiglia maronita del villaggio di Bikfaya. Gemayel è il leader del Partito Kataeb (Falange). L’ex presidente è stato tra i fondatori della coalizione del 14 Marzo nel 2005 ed è un feroce critico di Hezbollah. Durante la guerra civile libanese il Kataeb si è reso protagonista di feroci combattimenti contro i combattenti dell’Olp in Libano e contro l’esercito siriano.

Robert Ghanem, nato il 18 giugno 1942 nel villaggio occidentale della Bekaa di Saghbin, E’ stato deputato dal 1992 e nominato nel 1995 ministro dell’istruzione, dello sport e della gioventù nel governo del primo ministro Rafik Hariri.

Boutros Harb, attualmente è il ministro delle telecomunicazioni. Harb ha formato un gruppo di deputati indipendenti vicini al 14 marzo. E’ stato eletto deputato nel 1972 all’età di 28 anni. Oltre a mantenere il suo seggio parlamentare, ha ricoperto numerosi incarichi ministeriali in governi precedenti e diretto una serie di commissioni parlamentari.

Suleiman Frangieh, vicino al Blocco 8 marzo, membro di una importante famiglia maronita del nord. Suo nonno è stato presidente del Libano dal 1970 al 1976. Frangieh è un fedele alleato del presidente Bashar Assad. Frangieh è nato nella città di Tripoli nel 18 ottobre 1965. Ha ricoperto diversi incarichi ministeriali tra il 1990 e il 2005, ed è stato deputato tra il 1992 e il 2005 e dal 2009 fino ad oggi.

Jean Obeid, ex deputato e ministro, Obeid è visto come una figura moderata; vicino a Nabih Berri, mantiene buoni rapporti anche con il leader del Partito socialista progressista Walid Jumblatt. Obeid è nato l’8 maggio del 1939, nel villaggio di Zghorta, ma la sua famiglia è originaria di Tripoli. Obeid è stato parlamentare dal 1992 al 2005. Nel 1993 è stato nominato ministro di Stato nel governo di Rafik Hariri, nel 1996 ministro dell’Istruzione sempre nel governo di Hariri e in seguito ministro degli Esteri.

Il generale Jean Kahwagi comandante dell’esercito libanese. Kahwagi è nato il 23 settembre 1953, nel villaggio di Bint Jbeil. È stato nominato comandante dell’esercito nell’agosto 2008. Il general Kahwagi è sempre emerso come uno dei pochissimi candidati di consenso, che riflette l’ampio sostegno popolare per i militari. Sia il presidente Michel Sleiman che il suo predecessore Emile Lahoud sono stati comandati dell’esercito.

Riad Salameh, governatore dal 1993 della Banca centrale, è riconosciuto a livello mondiale come uno dei migliori Governatori di Banche Centrali. E’ molto rispettato nel settore bancario e nei circoli finanziari e gode della fiducia della comunità internazionale. Salameh è nato nel villaggio di Kesrouan il 17 luglio 1950. Ha conseguito una laurea in economia presso l’Università americana di Beirut. Lo stallo per l’elezione del nuovo Capo dello Stato rappresenta solo l’ultima crisi politica di un Paese che, dopo la guerra con Israele dell’estate 2006, ha vissuto anni molto convulsi, che hanno visto esplosioni di violenze interclaniche e interconfessionali che hanno provocato centinaia di morti tra la popolazione civile.

Dalla morte del presidente Hariri nel 2005 ad oggi, il 37 per cento del tempo è passato senza un governo stabile, per le continue crisi politiche e i cambi repentini di maggioranza parlamentari. Fatti gravi avvennero nel maggio 2008, quando miliziani armati di Hezbollah presero per alcuni giorni il controllo di diversi quartieri di Beirut per impedire lo smantellamento della rete di telecomunicazioni del Partito e la sostituzione del generale dell’esercito a capo della sicurezza (vicino a Hizbollah) dell'aeroporto cittadino. Ci furono scontri armati per le strade e numerosi morti. L’Emiro del Qatar riuscì a mediare tra le parti che vennero invitate a Doha e che firmarono un accordo. Con l’accordo di Doha venne dato vita ad un governo di unità nazionale guidato da Fouad Siniora, il braccio destro di Hariri ed esponente di punta del Movimento 14 Marzo.

Nel febbraio 2011, il Blocco 8 Marzo e i loro alleati e i deputati vicini a Walid Jumblat ritirarono i ministri dall’Esecutivo Siniora e appoggiarono la nascita di un Governo presieduto dal leader sunnita Najib Mikati, dimessosi poi il 6 aprile 2013 in seguito alle forti critiche sulla sua posizione ondivaga nella crisi siriana .

Dopo 330 giorni di governo provvisorio, il 16 febbraio 2014 è nato, sotto l’egida del primo ministro Tammam Salam, un centrista sunnita di 68 anni di grande esperienza politica, un governo di interesse nazionale, con la tutela morale del presidente della Repubblica, Sleiman.

L’esecutivo, in un capolavoro di equilibri, tipico del Libano, conta 24 ministri, che rappresentano i partiti in campo, tranne le Forze libanesi di Geagea, che si rifiuta di avere a che fare con Hezbollah dopo l’aiuto fornito da questi al regime di Bashar al-Assad, in Siria. La coalizione 14 Marzo dell’ex premier Saad Hariri anti-Siria, ha otto ministeri, otto sono dell’area sciita di Hezbollah; i restanti otto ministeri sono stati assegnati a personalità vicine al presidente della Repubblica, Michel Suleiman.

Anche nelle elezioni presidenziali, sullo sfondo, nel bene e nel male, c’è sempre la grande Siria. Damasco ha infatti tradizionalmente considerato il Libano come una propaggine naturale del proprio territorio e ha mantenuto truppe di occupazione nel paese fino a tutto il 2005, quando i due vicini hanno normalizzato le loro relazioni diplomatiche, con l’apertura di Ambasciate che prima non esistevano. Secondo alcuni osservatori, il Blocco 8 Marzo, che sostiene apertamente Bachar Assad, punterebbe a rinviare il voto fino alla assai probabile rielezione in Siria del Presidente Assad, il prossimo 3 giugno. A quel punto Assad potrebbe esercitare di nuovo tutta la sua influenza per condizionare l’elezione del nuovo Presidente libanese, come è successo nel passato. Come dire si tornerebbe così al famoso adagio di Henry Kissinger: “date il Libano alla Siria e avrete la pace nella regione”.

Il Libano teme inoltre l’incubo del contagio della guerra siriana, di fatto già in corso. Il coinvolgimento delle milizie sciite di Hezbollah accanto al presidente Assad, che ha consentito di recuperare terreno contro i ribelli nelle aree a ridosso del confine, ha aggiunto legna al già acceso fuoco settario. La Siria rappresenta oggi un magnete per gli estremismi religiosi sciiti e sunniti e per le loro varianti terroristiche e il Libano si sta gradualmente trasformando in una succursale di quel campo di battaglia.

La violenza scuote in effetti il Libano dall’assassinio di Rafiq Hariri, del febbraio 2005, con l’aggravante dell’onda senza fine che arriva dalla Siria: il milione di sfollati siriani arrivati in Libano in 33 mesi di guerra, continua a crescere. Centinaia di famiglie, di tutti i ceti sociali, passano ogni giorno la frontiera vicino ad Arsal, in fuga dalla guerra civile.

Alla Siria e alle sue vicende si collega la lunga serie di attentati che ha scosso il Libano nell’ultimo anno e mezzo e che ha provocato nel solo 2013 oltre 100 morti. Diverse autobombe hanno insanguinato, con un altissimo tributo di vittime civili, le strade, anche centrali, di Beirut, Tripoli al nord e Sidone al sud.

L’ultima, il 2 gennaio scorso, nel quartiere periferico meridionale di Beirut di Haret Hreik, vicino all'emittente televisiva Al-Manar: l'organo di informazione di Hezbollah. L'attacco ha provocato 5 morti Nel marzo 2014, sempre a Beirut, si sono verificati gli incidenti più gravi dallo scoppio della guerra civile siriana. Il 23 marzo nei pressi dello stadio cittadino si sono scontrati, a colpi di armi automatiche e granate, sostenitori, in maggioranza sciiti, del presidente siriano Bashar al-Assad appartenenti al Partito del Movimento Arabo e manifestanti antisiriani, in gran parte sunniti, collegati al Movimento per il Futuro di Saad Hariri, lasciando sul terreno un morto e 13 feriti.

Il Libano incarna insomma la frammentazione politica, religiosa ed etnica che contraddistingue l’area mediorientale. La vita politica libanese è infatti stata sempre influenzata e resa instabile tanto dalle divisioni politiche interne quanto dalle tensioni regionali. Il Paese dei Cedri, un tempo definito ‘la Svizzera del Medio Oriente’ per l’importanza regionale del suo sistema finanziario, è stato, dalla guerra civile del 1970 in poi, al centro della competizione geopolitica dei più importanti attori della regione mediorientale, a cominciare da Israele e dalla Siria, fino ad arrivare all’Arabia Saudita e all’Iran, divenendo quasi un oggetto, più che un soggetto, delle dinamiche politiche del Medio Oriente.

Adesso il termine costituzionale del 25 maggio è veramente vicino e fa paura a tanti, perché se venisse superato senza un nulla di fatto, il Paese dei Cedri si troverebbe senza capo dello Stato e la crisi istituzionale potrebbe diventare veramente pericolosa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47