La Ue contro Google,   “bentornata” censura

Se in passato sei stato comunista o fascista e adesso fai il liberale duro e puro, è sempre possibile rinfacciarti il passato. Occorre solo una ricerca su Google: basta che tu abbia scritto qualcosa delle tue vecchie idee sul tuo blog, che il passato imbarazzante riemerge, con gran gioia di quelli con cui stai litigando adesso.

Sei dunque costretto a dare spiegazioni e ad elencare le ragioni della tua conversione, una cosa che molti politici italiani non vogliono mai fare (perché vogliono tenersi aperte le porte di mille altre conversioni...). Ma anche per casi più banali, come controversie su un affitto, o casi giudiziari già risolti, o battibecchi privati che è meglio dimenticare, Google fa sempre da grillo parlante: il grande motore di ricerca sa tutto di te, si ricorda ogni parola che hai scritto e la mette a disposizione del pubblico mondiale. Questa è la regola, fino ad oggi.

D’ora in avanti, invece, la musica cambia, perché una sentenza della Corte dell’Ue ha stabilito un precedente rivoluzionario, che contiene, fra le altre cose, sia un sollievo che un pericolo immenso. “Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento dei dati personali pubblicate sul web da terzi”: così i giudici della Corte Ue in merito alla causa di un cittadino spagnolo contro Google. “Nel caso in cui - dicono - in seguito a ricerca effettuata partendo dal nome di una persona, l’elenco dei risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla detta persona, questa può rivolgersi direttamente al gestore per sopprimere il collegamento”. Qualora il gestore non dia seguito alla domanda, la persona può adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco dei risultati.

Cosa doveva nascondere questo cittadino spagnolo? Un cittadino spagnolo, nel 2009, contattò un quotidiano iberico chiedendo all’editore di cancellare gli articoli del 1998 in cui si parlava della sua casa: era costretto a venderla per debiti verso la previdenza sociale. Questi articoli erano ancora nell’archivio on-line del quotidiano e dunque visibili su Google. La vicenda dei suoi debiti era già stata risolta da anni e dunque “non più rilevante”. Era una notizia vera (non passibile di querela per diffamazione), ma vecchia. Comprometteva inutilmente il suo buon nome. Tuttavia l’editore spagnolo si rifiutò di rimuovere i dati perché la legge (riguardante gli archivi) non consentiva di farlo. Così il signore esposto al pubblico ludibrio si è rivolto direttamente al motore di ricerca, per chiedere di rimuovere il link. Ma Google, che resiste anche alla pressione di regimi totalitari e censori, non si è fatta intimidire e ha risposto di non essere responsabile dei dati che vengono trovati sulle sue pagine.

Da qui è nata la causa, prima in Spagna, poi in Europa. Ed è di ieri la sentenza, che protegge la privacy anche a scapito della libertà di espressione. “Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori on-line in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’avvocato generale dell’Ue (che aveva ritenuto “non responsabile” il colosso americano proprietario del motore di ricerca, ndr) e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni”, è questo il commento sconsolato di un portavoce di Google, ieri.

Già: la libertà di espressione. Qualcuno ci ha pensato? Se voglio far rimuovere idee politiche che non devono emergere, con questa sentenza lo posso fare. Se voglio semplicemente affossare un giornale on-line che non mi piace, con questa sentenza lo posso fare. Se voglio censurare notizie o opinioni “scomode”, con questa sentenza lo posso fare. Viviane Reding, la commissaria europea alla Giustizia, trionfante, dichiara che siamo finalmente “usciti dall’età della pietra del Web”. Ma possiamo entrare nell’età della pietra delle censure, come in Cina, a Cuba e in Iran. Una legislazione nuova sulla privacy ci voleva. Ma ora serve un controllo serratissimo su quali limiti verranno posti alla libertà di espressione. Altrimenti vince il più forte: censurando tutti gli altri.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:53