Ucraina/Medioriente, la tempesta perfetta

Lungo la linea dell’orizzonte geopolitico si sta addensando quella che potrebbe rivelarsi la “tempesta perfetta”. Due situazioni in evoluzione su due differenti quadranti potrebbero confluire in un unico scenario scatenando effetti catastofici.

Il primo teatro a cui prestare attenzione è quello ucraino. Nell’area la tensione crescente sta precipitando il Paese in una guerra civile. Le superpotenze coinvolte, Usa e Russia, stanno ingaggiando un braccio di ferro pericolosissimo per stabilire chi, alla fine, la spunterà. Tuttavia, nella fase odierna, appare chiaro che il Cremlino stia giocando una partita di rimessa in attesa delle mosse decisive della Casa Bianca. Quest’ultima, dal canto suo, sembra decisa a riprendersi la centralità dell’iniziativa politica sul fronte europeo, dopo una fase di evidente appannamento. In quest’ottica il nazionalismo ucraino sta perfettamente servendo allo scopo di esasperare i toni con gli interlocutori, per fare in modo che la situazione precipiti. Il governo provvisorio di Kiev assomiglia sempre più a una barca in balia dei marosi sollevati dalle pulsioni revansciste di Julija Tymošenko e dei suoi seguaci. Obama chiede agli alleati europei nuove misure coercitive destinate a “punire” il comportamento aggressivo di Mosca. È evidente che si stratti di un pretesto. Sembra di sentire il bue che chiama cornuto l’asino. Ne è prova il fatto che, dopo tanto agitarsi sugli atteggiamenti arroganti e ricattatori imputati al capo del Cremlino, Washington acconsenta alla misura ritorsiva di sospendere il trasferimento dell’acqua potabile per usi civili dalla terraferma ucraina alla penisola di Crimea. Un atto vile che ha l’evidente scopo di provocare un’identica iniziativa della controparte. Mosca potrebbe ordinare la sospensione della fornitura di gas all’Ucraina, determinando come conseguenza l’interruzione del flusso verso l’Europa. Un simile scenario sarebbe auspicato dagli Usa, giacché il vero oggetto del loro desiderio, nell’odierna fase di crisi, più che l’Ucraina, resta l’Unione Europea nella sua globalità. La nota stonata alle orecchie di Obama è stata la politica di avvicinamento alla Russia condotta in questi anni dai vari leader continentali, Silvio Berlusconi in testa. Costoro avevano puntato alla definitiva archiviazione della “guerra fredda” agendo la leva economica. L’azione europea, infatti, si è definita nella conquista di un mercato emergente con elevate potenzialità di sviluppo. Il matching tra domanda e offerta si è rivelato da subito più che favorevole alle produzioni continentali. Non è un caso se i più forti Paesi manifatturieri dell’Ue, la Germania e l’Italia, siano anche tra i maggiori partner commerciali della Russia.

Obama, ancora una volta, sta sbagliando i suoi conti. Il guaio è che, come già accaduto nel recente passato, saremo noi europei e in particolare il sistema produttivo italiano, a pagare il conto salato di una politica miope e perdente. L’economia continentale, nel contesto globale, non è che cresca granché. Chiudersi le porte degli scambi con la Russia è un suicidio politico che l’Europa non dovrebbe permettersi. Le potenze finanziarie europee sono impegnate fino al collo con gli investimenti e i prestiti concessi al sistema produttivo russo. Una crisi di quell’economia provocherebbe un effetto “Grecia” amplificato all’ennesima potenza.

Non meno dell’economia deve preoccuparci l’escalation militare. L’attivismo americano in Ucraina sta spingendo Mosca alle contromisure strategiche. Il cacciatorpediniere lanciamissili classe Udaloy “Vice Ammiraglio Kulakov”, è stato segnalato a largo delle coste britanniche. Lo scorso mercoledì 23, due caccia F-16 della Koninklijke Luchtmacht si sono alzati in volo dalla base di Volkel per intercettare due bombardieri strategici Tupolev TU-95 “Bear”, storico simbolo del deterrente atomico russo, che avrebbero violato lo spazio aereo olandese. I medesimi apparecchi sono stati successivamente intercettati dalla “caccia” inglese nel mentre si avvicinavano allo spazio aereo, senza violarlo, a Nord della Scozia. Inoltre, la cosa ci riguarda da vicino, sarebbe stata confermata la presenza della portaerei “Admiral Kuznetsov”, unità ammiraglia della Flotta del Nord, inquadrata nella 43° divisione lanciamissili, al largo della Sardegna. Fonti militari interpretano l’attivismo tattico dei russi come una modalità operativa di verifica della capacità degli apparati di difesa Nato, installati nelle diverse zone sensibili del territorio europeo.

Il secondo teatro che attrae l’attenzione degli osservatori è quello mediorientale, con particolare riguardo allo stallo nelle trattative di pace tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese. In realtà, sulla possibilità che si giungesse a un accordo di pace concreto, siamo sempre stati scettici. I segnali contraddittori che pervenivano dalla dirigenza politica dell’Anp, lasciavano poche speranze alle possibilità di successo. I palestinesi non si sono mai mossi dalle posizioni di partenza, assolutamente irricevibili da parte israeliana. In particolare, non è stata offerta la benché minima apertura all’idea del riconoscimento reciproco della sovranità di due Stati indipendenti. La contestazione del diritto all’esistenza di uno Stato ebraico sovrano in terra di Palestina è stata presentata dall’Anp come fattore ideologico-religioso non negoziabile della causa palestinese. Si attendeva, dunque, che Abu Mazen e i suoi tirassero fuori dal cappello il pretesto per interrompere il negoziato, nonostante gli sforzi della delegazione americana al tavolo di pace che ha sfidato non una volta l’alleato israeliano pur di costringerlo ad accettare sacrifici in cambio di un accordo definitivo che garantisse in via permanente la sicurezza dell’area. Quindi, tutto è saltato nel momento in cui l’Anp ha annunciato solennemente di aver sipulato un’intesa con il movimento di Hamas, attivo nella Striscia di Gaza. Ora, Hamas è notoriamente un’organizzazione terroristica che ha nel proprio statuto la distruzione d’Israele quale fine costitutivo della sua missione. Ben si comprende del perché ogni possibilità di dialogo sia da considerarsi totalmente vanificata. Conseguenza immediata della decisione palestinese è stata la risalita della tensione nella West Bank.

Questi due teatri, al momento ancora separati, potrebbero trovare un punto di saldatura se l’Anp dovesse tentare la carta di chiedere il sostegno russo per controbilanciare la presenza Usa a difesa di Israele. A questo punto l’aver costretto Mosca all’isolamento potrebbe spingere il Cremlino, che ha già dalla sua un forte ascendente sulla situazione in Siria e un rapporto privilegiato con il nuovo Egitto di Al Sisi, lo stesso personaggio al quale gli americani hanno imprudentemente voltato le spalle, ad assumere la protezione strategica degli interessi palestinesi. Se si giungesse allo scontro frontale con le Forze di Difesa Israeliane, attraverso una terza intifada, il Corpo Navale di Gerusalemme potrebbe attuare il blocco delle coste di Gaza. Sarebbero impegnate le forze speciali antiterrorismo della 13° flottiglia “Shayetet” per neutralizzare il lancio di missili contro il territorio israeliano e per tagliare i rifornimenti ad Hamas.

In questo ipotetico scenario come si comporterebbero i russi? Proverebbero a forzare il blocco da nord-est con le unità della Flotta del Mar Nero di stanza nella base siriana di Tartus, oppure da sud-ovest mediante l’impiego dell’incrociatore Varyag e dell’incrociatore lanciamissili nucleare classe Kirov “Pietro il Grande”, che l’11 novembre del 2013 hanno attraversato il Canale di Suez facendo base nel porto egiziano di Alessandria? E la piccola Marina israeliana verrebbe lasciata sola a fronteggiare la potenza di fuoco delle navi da guerra russe? Probabilmente si realizzerebbe quello scenario apocalittico da tempesta perfetta che speravamo, per il bene dell’umanità, di non dover tornare a vivere, dopo la crisi di Cuba del 1962 e gli anni bui della “Guerra fredda”. Allora, ci risponda mister Obama: nei suoi piani è questo il futuro che ci attende?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49