La Cina è vicina, ma gli Usa di più

La Cina è vicina. Molto vicina. Gli alleati degli Stati Uniti nel Pacifico sono molto preoccupati per la nuova politica espansionista di Pechino. E chiedono la protezione degli Usa. È questo, in sostanza, il motivo della visita di Barack Obama in Giappone e Filippine, Paesi entrambi coinvolti in dispute con la Cina per la definizione delle acque territoriali e di isolotti che si trovano in quelle acque.

Proprio poche ore prima dell’arrivo del presidente statunitense a Manila, capitale delle Filippine, ieri è stato firmato a Camp Aguinaldo un nuovo accordo che prevede una maggior presenza di truppe americane nell’arcipelago per i prossimi dieci anni. Ufficialmente l’ambasciatore degli Stati Uniti, Philip Goldberg, ha detto che l’accordo servirà a entrambi i Paesi per “far fronte a situazioni di sicurezza più complesse, lottare contro il terrorismo (Al Qaeda ha una forte presenza nell’isola di Mindanao, nel Sud musulmano, ndr) e migliorare gli aiuti umanitari in casi di disastri naturali, come il ciclone Hayan”. Anche i colloqui fra Aquino e Obama si sono concentrati soprattutto sulla cooperazione militare. Ma la Cina, benché sia la grande presenza assente nei discorsi ufficiali bilaterali, è e resta nella mente di tutti. Perché al centro della contesa fra Filippine e Repubblica Popolare c’è un piccolo atollo, quello di Scarborough, in acque territoriali di Manila, ma rivendicato anche da Pechino.

All’inizio del 2013 fra i due Stati, attorno a quel piccolo pezzo di terra anulare in mezzo al Mar Cinese Meridionale, era scoppiato un grave incidente militare per la definizione dei diritti di pesca. “Abbiamo esaurito le vie diplomatiche e politiche”, aveva detto il ministro degli Affari Esteri filippino, Alberto del Rosario, quando aveva deciso di portare la questione all’attenzione dell’Onu. La questione dovrebbe essere giudicata dall’Itlos, il tribunale internazionale ad hoc per le dispute marittime, ma la causa non è ancora incominciata e i filippini stessi non hanno ancora presentato le loro carte. Dopo anni di accuse reciproche, manifestazioni nazionaliste in entrambi i Paesi coinvolti, interventi della guardia costiera filippina per allontanare i pescherecci cinesi, boicottaggi delle merci cinesi nelle Filippine e attacchi informatici cinesi contro i server filippini, alla fine Manila potrebbe aver ottenuto quello che desiderava: la protezione delle forze armate statunitensi. Adesso, per la Cina, si tratterebbe di sfidare direttamente gli Usa. E non le conviene, almeno per ora.

Il tour nel Pacifico di Barack Obama è iniziato dal Giappone. E sono proprio le isole nipponiche Senkaku a costituire la peggiore crisi con la Repubblica Popolare. L’ultimo inquietante sviluppo è l’allargamento, su quel piccolo arcipelago, dell’area di difesa aerea dell’aviazione cinese. Il che vuol dire che se un aereo statunitense o giapponese sorvola le Senkaku, i cinesi si riserverebbero il “diritto” di abbatterlo. Finora non è successo niente di simile, ma un aereo da ricognizione è già stato tracciato da radar cinesi. Una volta a Tokyo, Obama ha ribadito il suo sostegno militare: Il trattato di cooperazione e sicurezza tra i due Stati – ha detto Obama nella conferenza stampa congiunta col premier conservatore Shinzo Abe – “copre tutto il territorio amministrato dal Giappone, incluse le isole Senkaku”.

Oltre alla fermata a Seoul, in una Corea del Sud minacciata ben più da vicino dalla Corea del Nord (il cui dittatore, Kim Jong-un ha ripreso le provocazioni missilistiche e ha annunciato un prossimo test nucleare), anche la tappa di Obama in Malesia è legata al contenimento della Cina. Anche il governo di Kuala Lumpur, infatti, teme l’espansionismo cinese, perché Pechino rivendica tutte le isole del Mar Cinese meridionale, incluse quelle malesi. Le isole Spratly, in particolar modo, sono ricche di giacimenti petroliferi, non ancora sfruttati, e fanno gola a tutti i paesi rivieraschi. Oltre che dalla Malesia, sono rivendicate anche da Vietnam, Brunei, Filippine e, ovviamente, anche dalla Cina. Lo scopo della visita di Obama a Kuala Lumpur non era militare, ma commerciale. Tuttavia il messaggio è chiaro: in caso di contenzioso gli Usa saranno al fianco dei malesi e non dei cinesi.

È ancora troppo presto per parlare di guerra fredda nel Pacifico. Le relazioni fra Usa e Cina sono ancora molto cordiali. Quello a cui stiamo assistendo in questi mesi è, semmai, la preparazione di uno scenario che si paleserà nel prossimo futuro, perché Pechino è attualmente, assieme alla Russia, il governo che sta spendendo di più in tutto il mondo per potenziare le sue forze armate, la marina in particolare. Quando la Cina avrà la forza e/o l’interesse a dare il via alla sua politica muscolare di nuova potenza navale, allora sarà accolta da una catena di nuove basi statunitensi in tutti i Paesi del Pacifico occidentale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45