La Nato alla prova della Russia

Non ci sono trattative che tengano. Nonostante la promessa di ritirare le proprie truppe dal confine ucraino, il Cremlino le sta mantenendo, pronte all’azione. Lo ha denunciato ieri il segretario generale della Nato, il danese Anders Fogh Rasmussen, in una conferenza stampa carica di tensione. “Pensavamo di vivere in un’Europa interamente libera e pacifica”, ha esordito l’ex premier, sottolineando come l’intervento russo in Ucraina e la sua annessione della Crimea cambino completamente lo scenario a cui eravamo ormai abituati da un ventennio.

Era stato lo stesso Rasmussen, assieme al comandante in capo della Nato, il generale Breedlove, a lanciare l’allarme per la presenza massiccia di divisioni russe ammassate ai confini dell'Ucraina. Secondo il generale, si tratta di forze già in allerta e pronte a muovere in ogni momento. Rasmussen invitava, già la settimana scorsa, a non sottovalutare la possibilità di un intervento russo in Transnistria, la regione della Moldavia, proclamatasi indipendente e decisamente filo-russa, che potrebbe essere annessa come la Crimea. La Transnistria si trova schiacciata fra la Moldavia (al confine nordorientale della Romania) e l’Ucraina, senza sbocchi sul mare. Un intervento russo dovrebbe necessariamente passare per un attraversamento via terra (leggasi: un’invasione) dell’Ucraina meridionale, attraverso la storica città di Odessa, anch’essa abitata da una forte minoranza russa. Un’altra ipotesi che la Nato sta valutando è un’invasione russa del Donbass e, in genere, delle regioni orientali dell’Ucraina.

Nel corso del primo negoziato di pace fra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e la sua controparte americana, John Kerry, in questo fine settimana, il Cremlino ha molto insistito per l’autonomia piena delle regioni orientali. Viste le forze dispiegate a ridosso di quelle regioni, la richiesta di Mosca suona più grave di una semplice richiesta di autodeterminazione di popoli altrui. Non è fare facile allarmismo, dunque, se la Nato teme un nuovo colpo di testa russo. I segnali, in teoria, ci sono tutti. E la settimana scorsa, l’intelligence della Nato aveva avvistato e segnalato un gran movimento logistico in direzione Sud, come se fossero in corso preparativi per un’imminente campagna militare. Se Putin non mette in moto il ritiro annunciato, un qualunque incidente di frontiera potrebbe provocare una guerra vera fra Mosca e Kiev.

Ma alla fine cose potrebbe mai fare la Nato? Nulla. Da un punto di vista politico, l’Alleanza Atlantica non ha alcun modo di giustificare un intervento fuori-area a ridosso dei confini russi. Da un punto di vista militare, un intervento sarebbe un suicidio: con Mosca si rischia la guerra atomica. Non si scherza. Putin non è Milosevic, non è Saddam, non è Gheddafi. È il presidente della prima potenza nucleare del mondo. L’unica risposta possibile, in caso di invasione russa dell’Ucraina orientale o di un intervento in Transnistria, è quella delle sanzioni economiche. Che non servono a scongiurare un attacco, un’occupazione o anche un’eventuale pulizia etnica, ma possono almeno servire a lanciare un forte segnale alla Russia, danneggiandone gravemente un’economia che è ancora fragile.

Il problema, per la Nato, sarà, a questo punto, la conservazione della sua credibilità, soprattutto nei confronti degli alleati orientali più esposti alla politica di Mosca. Estonia, Lettonia e Lituania si trovano in una posizione militarmente indifendibile: il loro più lungo confine di terra è con la Russia, dalla Polonia non possono essere rifornite pacificamente, perché c’è di mezzo l’enclave di Kaliningrad (russa). Dovrebbero ricevere rinforzi solo dal mare e dall’aria. Ma, come constatava il presidente estone Toomas Hendrik Ilves, la settimana scorsa, per inviare una squadriglia di aerei sono occorsi tre giorni. In quei tre giorni, i russi sarebbero in grado di occupare quasi tutto il territorio delle repubbliche baltiche. Una crisi fra Russia e baltici è attualmente fuori dall’orizzonte, ma, come ricordava sempre Ilves «abbiamo visto che accadono cose che ritenevamo legate al passato, come l'invasione di altri Paesi”.

Nella dottrina militare russa, fin dal 1993, un intervento armato è preso in considerazione anche per proteggere i russi all’estero, tagliati fuori dalla madrepatria dopo lo scioglimento dell’Urss. Nel 2008 in Georgia ed ora anche in Ucraina, Putin sta implementando questa dottrina, senza farsi troppe domande. Grandi enclave russe sono presenti anche in Estonia e in Lettonia. Non è difficile pensare che, se il Cremlino dovesse portarsi a casa un pezzo di Ucraina, le prossime prede sarebbero proprio le repubbliche baltiche. Per questo motivo, in questi giorni la Nato sta conducendo esercitazioni aeree sui loro territori. Erano manovre di routine, già previste da tempo, ma in queste circostanze acquisiscono un significato molto più importante. È in discussione anche l’installazione, nei prossimi anni, di nuove basi permanenti sul Baltico.

E, se l’Alleanza Atlantica dovesse prendere sul serio la minaccia di Mosca (cosa non scontata), dovrebbe rimettere mano a tutta la sua dottrina e il suo intero schieramento. Finora le democrazie occidentali si erano preparate a combattere piccole guerre lontane dall’Europa, o nemici a-territoriali, quali il terrorismo e la guerra informatica, o ancora minacce limitate di armi di distruzione di massa da contrastare con un piccolo scudo anti-missile. Una guerra di terra, in territorio europeo, è fuori dall’orizzonte dei nostri strateghi almeno dal 1989. Eppure, nonostante le distrazioni degli ultimi 25 anni, era ed è ancora oggi proprio questo l’unico vero scopo della Nato: la difesa dell’Europa libera e democratica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47