Rivolta in Messico: la bufala è servita

Ultime notizie da Città del Messico: “Dopo giorni di combattimento per le strade della Capitale, i rivoltosi legati al Partito nazionalista Patria hanno preso d’assalto il Palacio Nacional, sede della presidenza della repubblica federale. Enrique Pena Nieto, presidente in carica, è fuggito nella notte. Fonti giornalistiche sostengono che sia riparato negli Stati Uniti.

Anche in Messico, dunque, ha vinto la voglia di libertà. I manifestanti di “El Zòcalo”, la Piazza della Costituzione che è stata teatro degli scontri e luogo di concentrazione della protesta, sono tornati a presidiarla pacificamente dopo che le forze speciali della polizia hanno abbandonato i presidi di difesa allestiti negli ultimi giorni. Il mondo libero plaude alla fine di un incubo durato molti anni. “Ora il Paese può riprendere la sua marcia verso la stabilità democratica”, ha affermato il leader russo Putin nel corso di una conferenza stampa nella quale ha spiegato i motivi della richiesta di una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sui fatti di Città del Messico.

Tuttavia, la gioia dei manifestanti di El Zòcalo non ha contaminato tutti i messicani. Gli abitanti della penisola della Bassa California del Sud si sono ribellati al nuovo corso e hanno dichiarato di volere l’indipendenza per unirsi agli Stati Uniti d’America. Le autorità di La Paz, che è la capitale del piccolo Stato, hanno indetto un referendum tra la popolazione. I quesiti referendari riguardavano la volontà o meno di staccarsi dalla Repubblica del Messico e la decisione di chiedere o meno l’annessione agli Stati Uniti d’America. Degli oltre 600mila abitanti del piccolo Stato, si sono recati alle urne l’85% degli aventi diritto. Il risultato, ampiamente previsto, ha dato il 96,6% dei voti favorevoli alla secessione e altrettanti per la richiesta di annessione agli Stati Uniti. L’altro giorno, mentre il governatore del piccolo stato della Bassa California del Sud si recava a Washington per formalizzare la richiesta di annessione, fiumi di persone si sono riversati per le strade di La Paz a festeggiare il referendum con canti e balli. Sul palco improvvisato si sono alternati noti cantanti tra cui la star Peppe Savarese detto “scarola”, il quale ha intonato le più belle melodie napoletane. Il Senato americano ha provveduto a pronunciarsi a favore dell’annessione. Le nuove autorità di Città del Messico, invece, non riconoscono alcuna validità al referendum giudicandolo una smaccata provocazione del potente vicino americano.

Emiliano Zapata, presidente ad interim del nuovo corso, ha dichiarato che i messicani sono pronti a difendersi con le armi da un eventuale azione di forza degli Usa. La situazione è peggiorata quando la stampa ha diffuso un’intercettazione telefonica del capo dei rivoltosi che, rivolgendosi a un parlamentare dello Yucatàn ha detto, parlando di Obama: “Lo odio talmente che se lo incontrassi gli sparerei in faccia”. Il leader messicano, pur non smentendo la veridicità della telefonata, ha negato il contenuto dell’intercettazione sostenendo che è stato frainteso il senso delle sue parole. Sul fronte internazionale Zapata ha mosso i suoi primi, decisivi passi. Ha immediatamente chiesto l’ammissione del Messico alla Comunità degli Stati indipendenti di cui Mosca è capofila, intendendo così riportare il Paese nell’alveo della grande tradizione dei non allineati con gli interessi dell’“imperialismo” statunitense. L’iniziativa ha raccolto l’entusiastico consenso delle altre realtà dell’area centroamericana e caraibica.

Ieri mattina si sono riuniti d’urgenza i capi di Stato e di governo di Cuba, Nicaragua, El Salvador e Venezuela che hanno deciso di appoggiare la rivoluzione messicana approvando un finanziamento di 11 miliardi di dollari per sostenere l’economia disastrata del Paese. Nel contempo hanno diffidato gli Usa dall’intervenire militarmente o dal procedere all’annessione della Bassa California del Sud, minacciando di varare un severo piano di sanzioni contro il gigante americano. Per il momento Washington tace. Si attendono sviluppi nelle prossime ore”.

Cari lettori, tranquilli. È tutto falso. È, come si dice, una “bufala”. Non c’è stata, di recente, alcuna rivoluzione in Messico. Tutto è come prima e il presidente Pena Nieto è al suo posto nel Palacio Nacional. Nessun capo rivoluzionario lo ha defenestrato. Zapata è solo il nome di un leggendario guerrigliero e rivoluzionario, vissuto in Messico a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. L’unico “Emiliano” di cui si ha notizia è il folkloristico sindaco di Bari. Quel che più conta è che la bella penisola del Sud della California non ha chiesto di essere la 51esima stella sulla “Stars and Stripes”. E c’era sì un cantante soprannominato “scarola”, ma è roba da estati capresi di sessant’anni fa.

Allora, vi chiederete del perché di questa buffonata. Domanda legittima. In parte si è voluta, maldestramente, riprovare l’ebbrezza che sicuramente provò Orson Welles, quando nell’ottobre 1938 fece una radiocronaca (vera) dell’arrivo (falso) dei marziani sulla Terra. Mezza America credette al grande attore e fu presa dal panico. In realtà, convinti come siamo che “la Storia non è fatta di “se”, ma i “se” aiutano a capire la Storia”, come sosteneva qualcuno, abbiamo tentato una ricostruzione fantastica benché verosimile da proiettare in un universo rovesciato. Immaginate, allora, cosa sarebbe accaduto. Soprattutto, ponetevi la domanda: Obama, avrebbe mantenuto, in presenza di una crisi ai confini degli “States”, lo stesso aplomb distaccato da spettatore di una partita di tennis a Wimbledon? Avrebbe usato gli stessi i toni e le parole d’ordine sulla libertà e la democrazia con cui va, in questi giorni, inondando il campo occidentale, a proposito della vicenda ucraina? O piuttosto avrebbe fatto alzare in volo i cacciabombardieri per dare una bella ripulita in casa del vicino? Sarebbero stati veri comunque i discorsi sulla libertà se a reagire al potente di turno, anziché gli ucraini, fossero stati i messicani? Stando ai precedenti parrebbe di no. Lo ricordano bene gli abitanti della minuscola isola di Grenada che, nel 1983, per la sola costruzione sospetta di una pista d’atterraggio, si videro invadere dalle forze armate statunitensi. Senza ricordare l’infelice tentativo dello sbarco alla Baia dei Porci per liberare Cuba dai rivoluzionari comunisti, nel lontano 1961.

Morale della favola: si dice che sia l’occasione a fare l’uomo ladro. Allo stesso modo sono le circostanze a fare il governante democratico e amante della libertà o tiranno. Convenienze, nient’altro che convenienze, quelle che nel linguaggio della diplomazia si definiscono “priorità”. E i valori, gli appelli, la libertà, la democrazia, le marce per la pace, la lotta per l’emancipazione dei popoli? Tutto armamentario demagogico, in parte obsoleto, buono per ammannire i creduloni e gli entusiasti di sempre.

Ecco perché, sulla vicenda ucraina non riusciamo a farci prendere dal sacro fuoco della lotta per la libertà, spacciato da Obama per autentico “eroico furore”, pur restando, nel nostro piccolo, convinti, irriducibili libertari.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:51