L’Italia, nel volgere dei prossimi dodici anni dovrà mettere in disarmo tutta la sua flotta di difesa aerea. Non lo farà nello stesso momento. Sono previsti degli “step” nel processo di disabilitazione dei velivoli in servizio. Tuttavia, sarebbe un errore colossale farsi trovare impreparati all’appuntamento con il ricambio generazionale dei mezzi di difesa. Già in passato è capitato di vedere ridotta la forza aerea a causa della miopia dei governanti del tempo. Allora il problema fu risolto sborsando una cifra stellare agli americani per il noleggio degli aeromobili. Gli ultimi F-16 li abbiamo riconsegnati nel 2012.
Questa volta non ci siamo fatti cogliere impreparati. Abbiamo aderito al programma “Joint Strike Fighter”, con un investimento iniziale di due miliardi di dollari e una commessa per l’acquisto di 90 macchine (l’opzione iniziale ne prevedeva un numero superiore), delle quali 30 del tipo F-35B - variante a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl-Short Take Off Vertical Landing), indispensabili per l’impiego sulla portaerei “Cavour”. La consegna dei velivoli sarà graduale, comincerà dal 2015 per concludersi nel 2027.
Il progetto riguarda la costruzione di cacciabombardieri multiruolo di quinta generazione, pensati per i teatri operativi dei prossimi decenni. La caratteristica principale è che sono i primi velivoli concepiti con capacità di attacco elettronico. Ciò vuol dire che rappresentano il sistema d’arma più avanzato e performante che possa essere messo in circolazione nel prossimo futuro. Il prodotto non ha pari al mondo. Neppure il suo diretto competitor, il caccia multiruolo di fabbricazione russa Sukhoi Su-35 (Flanker-E), benché sia un eccellente prodotto della tecnologia tradizionale, riesce a tenerne il passo. Tuttavia, i critici sostengono che le macchine costruite dall’americana Lockheed Martin, con un partenariato internazionale che comprende 27 aziende italiane, non siano all’altezza delle aspettative maturate. In effetti, gli aeromobili sono ancora in fase di verifica operativa. Non sono stati completati i test di controllo per individuare tutte le criticità su cui i costruttori dovranno intervenire. La questione comunque non riguarda i velivoli commissionati dall’Italia. Si prevede che, per il tempo delle prime consegne, le macchine avranno superato la fase Ioc (Capacità Operativa Iniziale). Il cronoprogramma prevede che entro il 2017 saranno in linea i primi tre velivoli, già pagati. Nel 2013 sono stati presentati ordini d’acquisto per ulteriori 6 macchine e materiali per altri 4 velivoli da assemblare nel biennio 2014-2015.
Ora, sostenere che si devono tagliare gli F-35 per sfamare i nostri poveri è una provocazione da quattro soldi. Al più se si taglia la commessa se ne fabbricheranno altri, di poveri, nel nostro Paese. Si parla di risparmi ma questa sinistra al Governo non racconta tutta la verità. Il progetto non prevede solo l’acquisto di 90 aeromobili. Nel pacchetto è stata inserita l’implementazione dello stabilimento di Cameri, in Piemonte, affidato alla gestione di Alenia-Aermacchi cui è stata commissionata dalla Lockheed- Martin la costruzione di 835 set di ali. Presso la struttura è stata installata la Faco, la linea di assemblaggio e di messa a punto dei velivoli destinati all’Italia nonché dei 37 velivoli acquistati dalla Reale Aeronautica Olandese. L’impianto industriale ha iniziato a operare nel 2013. La capacità operativa a pieno regime sarà raggiunta nel 2016, quando si arriverà allo standard di assemblaggio di 2 macchine al mese. Ma la partita più importante con i partner d’oltreoceano la nostra azienda leader di settore intende giocarsela sulla possibilità che l’impianto di Cameri sia individuato dalla casa madre americana come l’unico hangar abilitato, sul suolo europeo, alla manuntenzione e upgrade, per i prossimi 40 anni, degli aeromibili in servizio operativo nel Continente.
Per fare due conti, alla fine l’investimento per l’acquisto delle 90 macchine si confermerebbe in circa 12 milardi di dollari, spalmati su un arco temporale di dodici anni. In contropartita, il sistema industriale italiano riceverebbe contratti in grado di rendere redditivo l’investimento. Se si dovessero tagliare le commesse d’acquisto andrebbero in fumo tutti gli accordi di partnership collegati al progetto. Sarebbe un’occasione persa per le nostre aziende e per i nostri lavoratori. Sono previsti incrementi occupazionali valutati in 10mila nuove unità lavorative, quando andrà a regime la fase di manutenzione della flotta europea degli F-35. Il presidente Obama, nel corso della sua visita ufficiale al Governo italiano, si è detto preoccupato per la possibilità che il nostro Paese riduca sensibilmente l’investimento. È chiaro che lui pensa agli affari delle sue aziende. Sarebbe salutare se la nostra politica facesse lo stesso, piuttosto che perdersi in amenità su improbabili risparmi di spesa. Tagli se stessa se proprio ci tiene a risparmiare.
Un approccio serio condurrebbe i nostri rappresentanti a incrementare le entrate in alternativa al taglio secco della spesa. Come fare? Si tratta di rinegoziare gli accordi con il partner statunitense per assicurarsi, ad esempio, in aggiunta alla manutenzione della flotta europea anche quella delle macchine della U.S. Navy e della U.S. Air Force, dislocate in Europa. Si tenga conto che non siamo soli nella partita, la Turchia è un temibilissimo competitor. Tuttavia abbiamo una superiorità competitiva importante che ci viene dalla capacità operativa dell’impianto di Cameri. Inoltre, le nostre imprese hi-tech riceverebbero un benefit dallo sviluppo di un know-how estremamente avanzato. La soluzione è nel mettere nella filiera il maggior numero possibile di piccolo e medie imprese che siano in grado di partecipare al programma garantendo altissime performance. L’esperienza maturata al fianco delle industrie americane potrebbe essere riversata nel miglioramento delle produzioni correnti.
L’impedimento che osta al conseguimento di questo importante vantaggio è costituito dalla rigidità dell’applicazione, da parte statunitense, della Ndp (National Disclosure Policy). Si tratta del reticolo normativo che disciplina il trasferimento di informazioni classificate Usa a partner stanieri. In questo caso la politica dovrebbe soccorrere le nostre aziende. Mister Obama è venuto a chiederci tanto. Non sarebbe disdicevole chiedergli di riconfigurare le normative e i protocolli di sicurezza per consentire alle imprese italiane un accesso più agevole al programma. In realtà, preoccupa che, da parte delle solita sinistra, si sia trovato, nella spending review, un accattivante pretesto per “tagliare le unghie” alla capacità di difesa strategica del nostro Paese. Se fosse per loro, che comunisti erano e comunisti restano sebbene oggi giochino a fare i renziani, la forza armata dovrebbe limitarsi a raccogliere gli immmigrati clandestini in mare per portarli al sicuro nel nostro Paese e a sfilare nelle parate pacifiste con i rametti di ulivo al posto dei fucili.
Tuttavia non se ne può fare una colpa a coloro che l’hanno pensata, e continuano a pensarla, allo stesso modo di sempre. Fanno il loro mestiere. La responsabilità più grave ce l’hanno, ancora una volta, le micro-formazioni che partite da destra sono approdate all’altra sponda per soccorrere gli avversari. Non si offendano Alfano e compagni se li si definisce “utili idioti”, ma cos’altro sono visto che, per un piatto di lenticchie, non hanno avuto nemmeno il coraggio di chiedere a Renzi una garanzia sulla titolarità del dicastero della Difesa? Almeno con Letta, a quel ministero c’era Mauro. Sugli Esteri, neanche a parlarne. E dicono che sono alleati di Governo alla pari: come le colf. Sarà molto istruttivo vederli all’opera quando il ministro della Difesa comunicherà la decisone di tagliare il programma d’investimento per l’acquisto degli F-35. Diranno che sono ancora lì, incollati alle poltrone, per il bene del Paese? Peccato, però, che seduti al tavolo della roulette russa ci sono gli italiani. Non loro.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:50