I messaggi equivoci del presidente Usa

Stupisce ancora Barack Hussein Obama! Proprio quando pensi che ha toccato il fondo nella dolorosa palude mediorientale. Del tutto indifferente nei confronti dell’Iraq e della Siria che bruciano, non perde l’occasione del Nowruoz - il capodanno persiano - per mettere i piedi sulle teste degli iraniani e gridare i suoi osanna ad un regime decisamente dittatoriale. Obama non può non sapere che le elezioni in Iran non hanno a che vedere con la democrazia e con la libertà, che in Iran viene repressa con i modi più nudi e crudi, e offre i suoi ammiccamenti ai governanti iraniani. Il presidente degli Stati Uniti stupisce davvero tanto i persiani. Abbiamo raccolto la mole dello stupore; qui non menzioniamo, per pudore, le parole con cui l’hanno espresso. Cosa cerca l’Amministrazione statunitense a Teheran?

La domanda che aleggia da decenni, soprattutto in Occidente, e non trova risposta è: come mai un popolo come quello persiano con la sua civiltà e cultura millenarie possa essere governato da un siffatto regime religioso e assai reazionario. I mass media occidentali non hanno certo aiutato a chiarire questa enigmatica contraddizione; anzi, molte volte hanno contributo ad ingrossare la coltre di magma dell’incomprensione. Per non andare molto lontano, ricordiamo che il cammino degli iraniani per la democrazia partì nel primissimo Novecento quando, in seguito alla rivoluzione costituzionalista, i persiani ebbero il primo parlamento e la prima costituzione nel 1906.

Ma il duplice cappio che stringe oggi la gola del popolo iraniano si presentava sin d’allora: le spregiudicate ingerenze straniere e la correità delle pedine interne. Da un lato i “raffinati” inglesi che riempirono il parlamento di elementi di poco valore e attenti ai loro interessi, e i “rozzi” russi che bombardarono il palazzo del parlamento, dall’altro lo Sciah di Persia che li assecondò per conservare il suo trono e i suoi vantaggi derivanti. Certo, l’attuale consuetudine all’applicazione della ferocia da parte del regime teocratico ha superato di gran lunga quella di un tempo e questo, insieme all’inadeguatezza del regime, ha imposto che il malsano rapporto tra ingerenze straniere e pedine interne si svolga sottobanco. Ma la composizione e la natura del rapporto non cambiano e seguono la formula di sempre: il regime opprime e l’Occidente tace colpevolmente e all’occorrenza si rende complice e si riempie la bocca con parole vacue e blande.

Il messaggio del presidente statunitense per il Nowruoz, apparentemente al popolo iraniano, è pieno di riferimenti agli uomini del regime tirannico che hanno portato allo stremo il Paese e la sua popolazione. Mentre il regime al potere in Iran viene condannato per ben 60 volte - anche nel 2013 – dai vari organismi delle Nazioni Unite, Obama non fa neanche una parola sulla disastrosa situazione dei diritti umani in Iran. Segue pedissequamente il protocollo degli incontri degli ultimi anni: ignorare del tutto la materia dei diritti umani. Il regime teocratico iraniano ha sfruttato il pantano degli Usa in Iraq nel 2005 e, nominando Ahmadinejad, ha intensificato le sue aggressioni terroristiche proprio in Iraq. All’interno ha provato ad estromettere Rafsanjani e ha consegnato tutta la gestione dell’economia e il fiume dei petrodollari in mano ai pasdaran. Ma ancora una volta sono stati gli iraniani a schiaffeggiare il regime despota nel 2009. Alle elezioni per il secondo mandato di Ahmadinejad, Khamenei, sicuro dei suoi successi – leggi: insuccessi Usa in Iraq – ha messo da parte l’apparente formalità del sistema elettorale antidemocratico del suo regime e ha fatto uscire dal cilindro delle urne il suo protetto Ahmadinejad.

Milioni di iraniani hanno colto lo spazio creato dall’incauto azzardo di Khamenei e sono scesi in piazza inneggiando a Karuobi e Mussavi, candidati anch’essi di regime, danneggiati dai brogli. Peccato che questi - come dice un detto persiano “la lama del coltello non taglia il suo manico” - hanno ritirato subito gran parte delle loro richieste allineandosi e hanno lasciato la gente in balia dei boia. Anche se questa “ritirata strategica” non ha potuto salvarli dalla ferocia di un regime totalitario che non ammette la minima divergenza e questi tuttora si trovano agli arresti domiciliari. La primavera in Medio Oriente parte dunque nel 2009 a Teheran dal volto morente di Nedà, per propagarsi al Nord Africa. Proprio in questo periodo il presidente Barack Obama intensificava sotto banco il suo rapporto epistolare con Khamenei, tanto costante quanto dannoso per un cambio democratico in Iran. Guarda caso la fase discendente del potere di Khamenei è cominciata dopo le coraggiose manifestazioni degli iraniani - cha da subito hanno oltrepassato i tentennamenti di Karuobi e di Mussavi e rivendicato le loro istanze democratiche - e in seguito all’inasprimento delle sanzioni economiche sancite dal Consiglio di Sicurezza e intensificate dagli Usa e dall’Ue.

Tralasciamo la disputa che le sanzioni contro un regime dittatoriale alimentano le difficoltà alla popolazione. I sostenitori di quest’alibi dimenticano che la pessima condizione economica del Paese e il crollo verticale del tenore di vita degli iraniani negli anni del governo del regime islamico in Iran sono dovuti alla corruzione endemica e all’incapacità intrinseca degli uomini del regime. Fingono di non sapere che da quando Rouhani è alla presidenza della Repubblica islamica le impiccagioni, comprese quelle pubbliche, hanno avuto un picco e la speranza di miglioramento economico è svanita del tutto. Forse non hanno l’audacia di individuare e vedere la vera soluzione della problematica iraniana. Il presidente statunitense considera l’insediamento di Rouhani un fatto positivo e rinfaccia agli iraniani, schiacciati dai tentacoli del regime, la sua telefonata con il presidente dei mullà. Obama comprende molto bene che dagli attriti tra le fazioni del regime non arriva nulla agli iraniani ma, probabilmente, non bada a questo.

Allora perché rivolgersi con tanta ipocrisia al popolo dell’Iran? Perché prendere gli iraniani per idioti? In trent’anni di screzi interni al regime, nulla di buono è venuto alla popolazione se non morte e povertà. La domanda fondamentale rimane sempre la stessa: l’Amministrazione degli Stati Uniti d’America intende cambiare la sua politica contro il popolo iraniano da quella intrapresa nel lontano 1953, quando ha abbattuto il governo democratico di Mossadeg? Il presidente statunitense non smette di chiamare gli iraniani un popolo assai talentuoso e geniale, ma nello stesso tempo lo confonde a ogni occasione con il sanguinario regime oppressore, e questo è inaccettabile. Accostare ad un regime dittatoriale il popolo che lo combatte è assurdo.

Il presidente Obama deve rispondere agli iraniani del perché nel gennaio 2009 ha lasciato i dissidenti iraniani in Iraq in balia di un dittatore nano, qual è l’iracheno al-Maliki, protetto di Khamenei, consentendo che ne massacrasse un centinaio; eppure l’Amministrazione statunitense aveva firmato con i dissidenti iraniani un contratto di protezione. Parliamo degli stessi dissidenti iraniani che nel 2002 hanno rivelato i piani segreti del regime dei mullà per la costruzione delle armi nucleari, che ora il presidente americano non si scomoda di ricordare. Stona davvero il messaggio costruito di Obama. Un detto persiano recita: “passerà l’inverno, ma resterà il nero del carbone”. Riuscirà il presidente statunitense a cancellare la macchia nera della sua amministrazione di aver a lungo osannato la sanguinaria teocrazia in Iran?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46