La situazione in Libia peggiora sempre di più

Non è possibile prevedere in anticipo dove e quando ci sarà un terremoto. L’unica cosa che si può fare è preoccuparsi quando i sismografi iniziano a segnare un incremento delle scosse, in intensità e in frequenza, rispetto al normale andamento della magnitudo. Si prendono misure precauzionali per ridurre i possibili danni. Si predispongono piani di evacuazione delle popolazioni a rischio. Si preallertano la Protezione civile, le forze dell’ordine e gli ospedali in modo da essere pronti a intervenire al momento opportuno. In egual modo, in politica estera, non è possibile stabilire con precisione cronometrica quando scoppierà una crisi. Neppure si potrà prevederne la forza e l’epicentro. Tuttavia, si possono tenere puntate le antenne per cogliere in tempo possibili variazioni d’assetti che ci segnalino il pericolo. Le crisi internazionali sono come i terremoti e, come i movimenti tellurici, possono provocare esplosioni e incendi improvvisi dalle conseguenze incontrollabili.

Ora, è un po’ che le nostre antenne sono puntate in direzione della Libia. Laggiù c’è un clima irrespirabile. La cosa dovrebbe preoccupare parecchio, ma non il nostro Governo che sull’argomento “Libia” ha assunto una posizione inconsistente. I mezzi artigianali di cui disponiamo registrano l’accavallarsi sempre più frequente di “sciami sismici”, captati dal “terreno”. Proviamo allora a mettere in fila i fatti salienti, verificatisi dal 6 marzo scorso in poi, al netto dei quotidiani scontri armati tra le tribù in guerra tra loro.

6 Marzo. Si tiene a Roma la Seconda conferenza internazionale sulla transizione libica alla democrazia. A sentire le dichiarazioni finali rilasciate alla stampa, i risultati sono pressoché nulli. Fatto strano è che in un momento così delicato per il futuro del Paese, il Primo Ministro Ali Zeidan taccia.

10 Marzo. Il Congresso Generale Nazionale libico autorizza la costituzione di una forza interna formata da esercito regolare e milizie fedeli al governo onde intraprendere un’azione armata per liberare i porti dell’Est del Paese dal blocco imposto dalle milizie della Cirenaica. In pratica, è dichiarata la guerra civile.

11 Marzo. Il Parlamento provvisorio decide di sfiduciare il premier. Zeidan, sentendo puzza di bruciato non perde tempo a fare le valigie e fugge via. Temendo per la propria vita, ripara nottetempo in Germania. A Tripoli circola voce che l’ex primo ministro avesse ricevuto un divieto d’espatrio dal procuratore generale, Abdel-Qader Radwan, in quanto indagato per presunte irregolarità nella gestione dei fondi di Stato. Al suo posto viene nominato Abdullah al Thani, già ministro della Difesa nel precedente governo.

17 Marzo. A largo di Cipro, grazie a un blitz delle forze speciali della Marina Usa, viene catturata la nave cisterna “Morning Glory” battente bandiera nord-coreana. L’unità mercantile era salpata giorni prima da un porto libico della Cirenaica con un carico illegale di petrolio. Il contrabbando era stato organizzato dalle milizie che spadroneggiano nella parte Est del Paese e che sono in lotta contro il potere centrale per il controllo esclusivo del commercio del greggio estratto nelle loro zone d’influenza. Il governo di Tripoli aveva proibito alla nave di prendere il mare ma i ribelli, che erano di scorta a bordo, hanno ignorato l’ordine. Con l’intervento americano la nave è stata sequestrata e ricondotta nelle acque libiche. I ribelli, frustrati dall’insuccesso della missione, hanno annunciato immediate rappresaglie.

18 Marzo. Nel corso dell’audizione davanti alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato, la ministra Mogherini “dimentica” di riferire sull’escalation della situazione libica, limitandosi a ripetere la versione ufficiale sugli esiti della Conferenza internazionale di Roma.

21 Marzo. L’aeroporto di Tripoli viene chiuso a causa dei bombardamenti subiti. Due razzi hanno centrato la pista principale dello scalo libico. Gli investigatori stanno indagando per accertare la paternità dell’azione terroristica.

21 Marzo. La Mogherini incontra a Bruxelles il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. Niente emerge se non un generico: “Si è parlato della Libia”.

22 Marzo. Viene rapito in Cirenaica un italiano. Si tratta di Gianluca Salviato, quarantottenne della provincia di Venezia. Era lì per lavoro. Tecnico della “Ravanelli Costruzioni”, Salviato doveva effettuare un collaudo presso una struttura a Tobruk. Uomini armati lo hanno prelevato dalla sua auto appena fuori città. Gli investigatori ritengono che si tratti di un rapimento a scopo d’estorsione. D’altro canto, è noto che in quella zona i terroristi usano i nostri connazionali come bancomat. Salviato ha problemi di salute. Se non adeguatamente curato, rischia la vita. Sulla vicenda, silenzio dalla Farnesina.

24 Marzo. L’a.d. di Eni, Paolo Scaroni, si precipita a Tripoli dal nuovo premier Al Thani a fare gli interessi dell’Italia, insieme a quelli aziendali. Obiettivo: mettere in sicurezza i rapporti commerciali resi particolarmente a rischio dall’instabilità politica del Paese.

Queste cose sono accadute nell’arco di venti giorni. Domanda: è un tempo sufficiente per lanciare l’allarme o si deve attendere la catastrofe? I terremoti, si sa, non li scatena l’uomo, ma le crisi internazionali sì. In queste ore rischiamo che “l’infezione libica” si propaghi agli Stati limitrofi che, in fatto di stabilità, non godono di salute migliore. Basta guardare la carta geografica. Ad Ovest della Libia c’è l’Algeria. In uno spicchio di nord-ovest, la Tunisia. A Est, l’Egitto. A sud-est, il Sudan. Nell’area meridionale ci sono il Ciad e il Niger. Ma a nord, al di là della lingua di mare, c’è l’Italia. È accettabile che il territorio libico, con l’azzeramento dei controlli di sicurezza alle frontiere, divenga una gigantesca piattaforma di lancio per le azioni del terrorismo più spietato? O che si radichi nell’area una nuova “mafia del deserto” dedita a scambiare petrolio con armi e droga? O che, in combinato disposto con il “buonismo” della sinistra italiana al potere, si implementi il business criminale della tratta di esseri umani, attraverso la redditizia gestione dei flussi d’immigrazione clandestina dalla Libia all’Italia?

È, dunque, necessario che ci si svegli dalla catalessi che finora ha paralizzato le leadership occidentali. Possibile che, come pugili suonati, partiamo all’attacco solo quando sentiamo pronunciare la parola “Putin”? Serve di stendere un cordone sanitario che isoli la Libia da tutti i suoi vicini. Soltanto schierando una nutrita forza militare di sicurezza, magari sotto insegne Nato, l’escalation di anarchia e terrorismo potrà essere contenuta prima che esploda in tutta la sua virulenza. Oggi, in particolare, abbiamo un credito con la Russia per la storia della Crimea. A chi aspettiamo per riscuoterlo? L’Italia dovrebbe sentire più degli altri il bisogno di porre argine alla situazione. Una volta tanto prendiamo esempio dagli altri, non ascoltiamoli solo quando insultano Berlusconi. Lo scorso anno la Francia del compagno Hollande, quando ha visto minacciati i suoi interessi strategico-economici, non ha perso un minuto per dispiegare il suo esercito nel Mali. Il Paese della fascia del Sahel era divenuto preda di un’ondata terroristica proveniente in parte proprio dalla regione libica del Fezzan, dove l’islamismo jihadista ha installato le sue basi logistiche. Parigi, per agire, non ha atteso la copertura del mandato Onu, quella è arrivata dopo.

Ministra Mogherini, si faccia un esame di coscienza e valuti se sia il caso di proseguire questa sua esperienza di Governo. Dimentichi i suoi trascorsi arcobaleno e di marce per la pace con i suoi amici dell’Arci. Quello non era pensare in grande, erano semplicemente giochi di adolescenti. Questa è realtà nuda e cruda, roba seria. Decida presto cosa fare. Lo faccia per il bene del suo Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:51